Il poeta manovale: riscoprire Thierry Metz
A un poeta vero, autodidatta, le analogie fioriscono in punta di penna. Thierry Metz da poeta è passato leggero sulla terra, da uomo ha guardato faccia a faccia il tragico. A un tratto la sua vita si è interrotta ché con i suoi occhi chiari ha visto la morte in diretta del secondo suo figlio, Victor, e nulla fu più come prima.
Un dopo di alcolismo e ospedali psichiatrici lo hanno condotto al suicidio a quarant’anni nel 1997, era il 16 aprile e levò la mano su di sé in quel di Bordeaux. Eppure nella sua poesia semplice, ci sono pochissime tracce di morte.
Riscoprire un poeta
È che semplice è cosa che sta prima, e fra due cose è impossibile pensare la seconda senza aver pensato la prima. Sembra banale, invece è semplice ché la banalità appartiene al complesso, laddove si generano differenze e sono dolori. Grazie a un uomo coraggioso, scrittore ed editore, Riccardo Corsi, Thierry Metz quest’anno di maggio è tornato in Italia con un libro che sa di uccelli, arcobaleni, aquiloni, angeli che bramano nelle tenebre l’ali, rabdomanti e uomini.
Diario di un manovale – l’edile era il suo lavoro, lavoro che crocifigge in un verso solo “Il lavoro non è nient’altro che un’urgenza disperata” -, è la storia di un’analogia, un doppio cantiere, quello di giorno a scavare terra e spaccare pietre, quello di sera in attesa di dilatare l’istante e fare spazio – poco, come il ditale di latte di Chlebnikov – per una parola ispirata. “Con le parole di tutti i giorni/semplici passeri”: Metz spalanca l’istante “L’istante ha solamente i nostri gesti per rivelare l’inesauribile”.
Un istante dove trovano casa il gallo e la ghiandaia, mani stanche che in un bistrot si riposano, giochi a campana dove il primo che arriva diventa arcobaleno. Casa semplice e di un ordine lindo, dove stanno “il vuoto con il vuoto, il pieno con il pieno”. Là, non c’è traccia del dolore e della disperazione che porteranno il poeta manovale all’irreversibile: Metz, come un padre o una madre premurosi, protegge i suoi lettori dall’abisso che lo inghiottirà.
La sua è poesia vera, un inno alla gioia intesa come unico sentimento per chi assapora il reale oltre la distrazione, distrazione che la voce ignora. Grazie alle Edizioni degli animali per il testo a fronte, e ancor prima al traduttore, il poeta Andrea Ponso. Ma ancor prima grazie a Jacques Brémond, editore francese di Metz di cui fu amico, una sorta di folletto che ancor oggi stampa in caratteri mobili nella sua straordinaria fucina in Francia.
Proprio lui, Brémond, barba lunghissima, regalò a Corsi i diritti di Sulla tavola inventata, altra raccolta merveilleuse pubblicata dalle Edizioni degli animali, due anni or sono. Due libri da far propri, senza ombra di dubbio.
“Scrivo nell’ortica, non nella rosa. Non ancora ma ci arriverò. La prossima tappa, se ci sarà: sarà il girasole”.
Appendice: chi era Thierry Metz
Nasce nel 1956 a Parigi e all’età di 21 anni si trasferisce con la famiglia nelle vicinanze di Augen. Divide il suo tempo tra lavori di manovale e poesia che confluisce nel libriccino Sulla tavola inventata pubblicato da Jacques Brèmond.
Grazie al poeta e scrittore Jean Grosjean pubblica nella collana l’Arpenteur di Gallimard il Diario di un manovale, ora tradotto in Italia dalle Edizioni degli animali. Sempre per i tipi di Gallimard, più tardi pubblica le Lettres à la Bien Aimée. Altre sue opere saranno pubblicate da editori indipendenti quali Opales e Pleine Page.
Dalla sua morte l’opera sua continua in Francia ad essere pubblicata da Jacques Brèmond e altri editori. Del 2020 è il documentario a lui dedicato L’Homme qui penche ispirato da un Diario di prose brevi pubblicato in Italia da Via del Vento Edizioni.
Monica Perozzi