«Non era imponente, la Fortezza Bastiani, con le sue basse mura, né in alcun modo bella, né pittoresca di torri e bastioni, assolutamente nulla c’era che consolasse quella nudità, che ricordasse le dolci cose della vita. Eppure, come la sera prima dal fondo della gola, Drogo la guardava ipnotizzato e un inesplicabile orgasmo gli entrava nel cuore».
Cos’è che provoca quest’orgasmo nel cuore di Drogo, protagonista del romanzo Il deserto dei Tartari di Buzzati? La prima volta che si trova di fronte la Fortezza Bastiani la vede per quello che è, una piccola e nemmeno imponente fortificazione che ormai porta i segni degli anni. Eppure c’è un’indecifrabile attrazione che, nonostante le sue reticenze e l’istinto gli dica di tornare indietro senza nemmeno varcarne la soglia, lo spinge non solo a entrarvi ma poi anche a rimanervi.
Inizialmente Drogo non resiste alla tentazione di affacciarsi dall’altro lato delle mura. Deve guardare oltre i confini, scoprire cosa nascondono alla sua vista le montagne e cosa c’è oltre il confine dello stato. Eppure neanche quello che vede quando finalmente riuscirà ad affacciarsi al di là delle mura sembra soddisfarlo e chiede ai compagni se nei giorni limpidi, quando la nebbia si dirada, si riesca a vedere altro oltre al deserto che si estende davanti ai loro occhi.
È con la promessa di una visione verso l’ignoto, verso ciò che c’è oltre i confini che la Fortezza seduce la prima volta Drogo. E una volta subitone il fascino ed esserne rimasto stregato, Drogo rimane avviluppato nella rete della routine giornaliera e dei riti militareschi del forte.
È soltanto col tempo che Drogo capirà la natura di quel luogo. Il tempo, che in effetti è una componente strettamente correlata ai luoghi nel romanzo di Buzzati, alla Fortezza è scandito dal susseguirsi sempre uguale dei turni delle ronde sulle mura e dall’incessante gocciolare notturno della cisterna. Il deserto stesso, verso cui ogni giorno tendono gli sguardi di tutti i militari della bicocca, non solo è il paesaggio da affrontare per chiunque decida di oltrepassare quelle montagne, il forte stesso e il confine; esso preannuncia anche l’aridità del tempo di chi decide di spendere la giovinezza, gli anni migliori, la propria intera vita sugli spalti di quella fortificazione. Eppure, nonostante ci sia dell’altro su cui posare lo sguardo, così come nel mondo ci sono vite di ben altri colori che di quelli piatti e smorti della Fortezza, gli occhi di tutti tendono a guardare verso l’immensa e secca piana dei Tartari:
«Era una specie di deserto, lastricato di rocce, qua e là macchie di bassi cespugli polverosi. A destra, in fondo in fondo, una striscia nera poteva essere anche una foresta. Ai fianchi la aspra catena delle montagne. Ve n’erano di bellissime con sterminati muraglioni a picco e la vetta bianca per la prima neve autunnale. Eppure nessuno le guardava; tutti, Drogo e i soldati, tendevano istintivamente a guardare verso nord, alla desolata pianura, priva di senso e misteriosa».
Ma la Fortezza Bastiani non è il solo luogo che nel romanzo è strettamente collegato al passaggio del tempo. Nel primo capitolo del libro, durante il tragitto che lo porterà al forte con i gradi di tenente, Drogo si trova a superare un dirupo che corre per un lungo tratto di fianco alla strada da lui percorsa. Dall’altro lato del burrone un’altra strada si snoda parallela alla sua. È su quella strada dall’altra parte del vallone che Drogo vede per la prima volta il capitano Ortiz, e in quell’occasione il dirupo diventa una linea di confine, quella linea d’ombra che segna la perdita della giovinezza e l’ingresso nella vita adulta. Lo stesso dirupo più avanti segnerà l’incontro di un Drogo ormai quarantenne con il tenente Moro e il passaggio dall’età adulta a una vita con la prospettiva di una vecchiaia imminente:
«Solo allora lo colpì, con dolorosa risonanza dell’animo, il ricordo del lontanissimo giorno in cui per la prima volta egli era salito alla Fortezza, dell’incontro col capitano Ortiz, proprio nello stesso punto della valle, della sua ansia di parlare con una persona amica, dell’imbarazzante dialogo attraverso il burrone. Esattamente come in quel giorno, pensò, con la differenza che le parti erano cambiate e adesso era lui, Drogo, il vecchio capitano che saliva per la centesima volta alla Fortezza Bastiani, mentre il tenente nuovo era un certo Moro, persona sconosciuta. Capì Drogo come un’intera generazione si fosse in quel frattempo esaurita, come lui fosse giunto ormai al di là del culmine della vita, dalla parte dei vecchi, dove in quel giorno remoto gli era parso si trovasse Ortiz».
Drogo in effetti sembra accorgersi del trascorrere del tempo solo quando per congedi momentanei si trova ad affrontare il viaggio per tornare in città e poi da lì per fare ritorno alla Fortezza. Una volta in città, l’ufficiale si accorge che quella non è più il luogo che aveva lasciato anni prima. Tutto è cambiato senza di lui e ormai Drogo si sente un estraneo tra i suoi vecchi amici, un alieno tra gli abitanti che durante la sua assenza hanno continuato a vivere le loro vite:
«Straniero, girò per la città, in cerca di vecchi amici, li seppe occupatissimi negli affari, in grandi imprese, nella carriera politica. Gli parlarono di cose serie e importanti, stabilimenti, strade ferrate, ospedali. […] Per quanto tentasse (ma anche lui forse non era più capace) non riusciva a far rinascere i discorsi di un tempo, gli scherzi, i modi di dire. Girava la città in cerca dei vecchi amici – ed erano stati molti – ma finiva per ritrovarsi solo su un marciapiedi, con tante ore vuote davanti prima di far venire la sera».
La Fortezza non solo sembra accelerare lo scorrere del tempo, ma lo azzera, lo assorbe, agendo quasi come un buco nero che succhia la giovinezza di chi vi dimora. Durante la sua permanenza nel forte, Drogo non ha la percezione che il tempo stia scorrendo e riesce ad accorgersene soltanto quando esce e ritorna nel quartiere, nelle strade e nella casa della sua giovinezza. Nonostante abbia la stessa età dei suoi coetanei, gli anni per lui non sono semplicemente trascorsi come lo sono per gli altri. Sono perduti per sempre. Ed è ormai troppo tardi quando se ne rende conto, lui sembra essere rimasto lo stesso di quando è partito, mentre il mondo ormai si è abituato a vivere “senza alcun bisogno di Giovanni Drogo”.
Questa correlazione tra i luoghi e il trascorrere del tempo si rintraccia anche in molti dei racconti di Buzzati. Esemplare in questo senso è il racconto I sette messaggeri. Il protagonista di questo racconto decide di partire per arrivare fino all’estremo confine del regno di suo padre, che però sembra non finire mai. Il suo unico legame con la città natale e coloro che lì sono rimasti sono i messaggeri del titolo che vengon inviati indietro, al palazzo del re. Per forza di cose, man mano che la carovana del principe avanza verso i confini, essi ritornano da lui a intervalli sempre più ampi.
Il protagonista sa che continuando ad avanzare avrà sempre meno occasioni per avere contatti con tutto ciò che era legato al mondo del se stesso trentenne prima di partire. Eppure decide di continuare ad avanzare nonostante sia conscio ormai che non raggiungerà mai il confine, che si frapporranno tra lui e la fine del regno sempre nuove terre, nuove colline, nuove città.
Una prima analogia con Il deserto dei Tartari si ritrova già nel viaggio, che ricorda quello intrapreso da Drogo la prima volta che si dirige verso la Fortezza. Il giovane ufficiale si aspetta un viaggio breve e lo stesso amico che lo accompagna per il primo tratto gli dice che già è possibile vedere le prime fortificazioni del Forte, eppure poi si ritrova a trascorrere l’intero giorno a cavallo in un tragitto che sembra quasi non avere fine.
Ciò che accomuna i due protagonisti del romanzo è però soprattutto l’allontanamento, non solo spaziale, dalla città natale. Anche il principe de I sette messaggeri, quando riceve le lettere da quelli che erano i suoi amici o dai suoi familiari, si sente ormai estraneo a quel mondo, tanto da non capire il senso di quei messaggi:
«Mi portavano curiose lettere ingiallite dal tempo, e in esse trovavo nomi dimenticati, modi di dire a me insoliti, sentimenti che non riuscivo a capire».
La scelta del principe di continuare il viaggio non è diversa da quella compiuta da Drogo. Entrambi trovano la consapevolezza della vacuità delle loro scelte dopo essersi resi conto del tempo che li divide dalla loro vita precedente, rappresentata dalla città di origine. Ormai per loro è troppo tardi e se anche decidessero e avessero la possibilità di tornare indietro, sarebbero comunque degli alieni in un mondo magari familiare ai loro ricordi ma comunque ormai estraneo.
Si può quasi pensare che i due siano sui fronti opposti dello stesso mondo e che mentre Drogo muoia proprio mentre i nemici che ha aspettato per tutta una vita appaiono all’orizzonte, il protagonista de I sette messaggeri muoia poco prima che il resto della sua carovana possa scorgere da lontano, tra i picchi montuosi, la Fortezza Bastiani e il confine del Regno.
Pierluigi Faiella
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