Una coppia in viaggio verso un orfanotrofio, un misterioso guaritore che vive nelle lande desolate a Nord di un paese nordico, un hotel lussuoso ma pressoché vuoto in mezzo alla foresta. È di notte che ogni cosa riacquista la giusta dose di vita e che accadono gli incontri più inaspettati. Il nuovo romanzo di Peter Cameron, Cose che succedono la notte, uscito per Adelphi e tradotto da Giuseppina Oneto, porta il lettore ai confini dell’inconscio, a chiedersi dove l’immaginario diventa reale.
Un treno che viaggia nella notte, si ferma nel cuore della campagna ricoperta da una spessa coltre di neve. Un uomo e una donna approfittano di questa sosta improvvisa per saltare dal treno come se dovessero far perdere le proprie tracce. Il freddo è pungente, nulla di percepibile all’orizzonte, il buio si diffonde intorno a loro. Tuttavia non si tratta di una coppia in fuga, partiti da New York i due hanno attraversato mezzo planisfero per arrivare proprio in questa cittadina sperduta, «erano in viaggio da giorni, prima in aereo, poi in treno e in traghetto, adesso di nuovo in treno, poiché erano diretti in un posto ai confini del mondo, nell’estremo Nord di un paese nordico, per giunta difficile da raggiungere. Era come un viaggio del secolo precedente, ma questione di giorni piuttosto che di ore, la terra solida e concreta sotto i loro piedi, sempre a insistere sulla propria vastità». Arrivati al Borgarfjaroasysla Grand Imperial Hotel, una struttura un po’ fatiscente, vuota e che lascia intendere i grandi fasti imperiali del passato, l’atmosfera suggerisce subito all’uomo qualcosa di surreale. La conversazione con la receptionist, la camera immersa nel freddo e quella immobilità che pervade sua moglie: sono tutti elementi che fanno percepire perlomeno la stranezza del luogo. La donna gravemente malata con un cancro uterino al quarto stadio, cade in un profondo torpore dal quale fatica a risvegliarsi. La malattia la tiene imprigionata in se stessa, la forza di credere in una guarigione l’ha abbandonata, «mi ci è voluto tantissimo tempo, un tempo incredibile, per rassegnarmi a quello che mi sta capitando, ma ci sono riuscita. Non posso più permettermi di contemplare delle possibilità, tutto ciò che si poteva fare è stato fatto e sono troppo stanca, troppo…».
La coppia è lì per far visita all’orfanotrofio in cui hanno deciso di adottare un bambino, lei, certa di morire, non vuole che l’uomo resti solo, per questo ha deciso di fargli avere un figlio, che biologicamente non era stato possibile dargli. «Potremo essere una famiglia per tutto il tempo che durerà. Magari durerà un anno e quando succederà – quando morirò – rimarranno loro due. Saranno una famiglia e lui non rimarrà solo. Non sa con quante difficoltà abbiamo trovato qualcuno che ci consentisse di adottare alla nostra età e in questa situazione, in questa mia situazione. Per questo siamo dovuti arrivare tanto lontano, per questo siamo qui: per dare inizio a una cosa vera, non per incontrare un impostore». Eppure sarà un viaggio in taxi che apparentemente ha per meta l’orfanotrofio, ma che in realtà li conduce erroneamente da padre Emmanuel, il guaritore che a detta di molti è in grado di fare miracoli, «ho visto arrivare gente nell’anticamera per non dire sulla soglia – della morte, e pochi giorni dopo filarsela via allegramente», a metterli in contatto, in qualche modo, con la realtà più cruda.
Tutto ciò che a occhio nudo possiamo vedere non ha alcun valore, distese di neve, il ghiaccio e il freddo che chiudono in una morsa i suoi abitanti, tanto che il paese di giorno sembra essersi svuotato, pochi negozi pressoché vuoti e un’unica strada che percorre trasversalmente tutto il paese: «l’uomo pensò alla neve che seppelliva tutto e gli venne in mente che un anno, da quelle parti, equivaleva a un giorno: metà trascorreva al buio, metà illuminata dalla luce, e l’inverno, in fondo, non era che una notte, una lunga notte seguita da un lungo giorno». È di notte, quando l’occhio è occultato dal buio, che tutto inizia ad animarsi, «non ero sola, nella stanza c’era una persona. È uscita dall’armadio ed è venuta accanto al letto. La vedevo. Se ne stava lì a guardarmi e quando le ho parlato è scomparsa». I dettagli, sono questi su cui si concentra Peter Cameron, i dettagli si insinuano nelle vite dei due protagonisti. Il Grand Imperial Hotel, la tendina di capitonné rossa per accedere al bar aperto tutta la notte, il barman Larùs dietro al bancone pronto a servire gli ospiti che l’uomo vede solo di notte, seduti sugli sgabelli, le stesse stanze dell’albergo tutte uguali ma che sembrano mutare forma nel silenzio della notte. Strani personaggi popolano la notte in albergo e fuori dalle sue mura, il paese, sembra rigettare gli avventori direttamente nei locali notturni.
È di notte che ogni cosa acquista e perde senso. Come la donna che d’un tratto sente il proprio corpo prendere vigore, ritrattare la propria fine, assumere la sensazione forte di poterlo dominare, accelerare la sua guarigione: «sento che il mio corpo è tutto diverso, disse lei, in pace con sé stesso. E se è accaduto questo miracolo, perché non potrebbe accaderne un altro?». Un sottile impercettibile canto del cigno che sembra echeggiare di stanza in stanza. È di notte che gli essere umani uniscono le proprie umane sventure in una qualche forma d’amore, «ci imbattiamo regolarmente in queste forme di contatto, pensò, e ci siamo assuefatti. Per questo desideriamo tanto il sesso e ci eccita la violenza: sono le uniche cose che riusciamo ancora a sentire, le uniche che scalfiscono la nostra armatura»; ed è sempre di notte che sembrano acquistare un potere ultraterreno in grado di cambiare le sorti degli altri.
«Lei deve fare tutto quello che è in suo potere per spianare la strada a sua moglie, qualunque strada sia. E deciderla spetta a sua moglie, solo a sua moglie», è dentro a questo sentimento inspiegabile che Peter Cameron muove i personaggi, è nella cecità interiore che devono trovare una svolta, è chiudendo gli occhi che potranno ricordare ciò che è stato e poter riavvolgere un filo invisibile che li tiene ancorati ai ricordi, «l’uomo dimenticò tutto e per un istante ricordò solo l’amore che sentiva per lei, nel ricordarlo con tanta intensità lo provò di nuovo, ne fu inondato senza poterlo contenere: quell’improvviso sentimento lo travolse sgorgando in lacrime, e lui cadde in ginocchio davanti alla moglie». Non è un caso che la coppia si sia fermata lì dove scorre un’energia notturna in grado di attrarre e respingere chi è alla ricerca del proprio inconscio, «nessuno arriva qui per caso o perché si smarrisce». La profondità in cui non siamo in grado di calarci è un desiderio latente, Peter Cameron dà ai propri personaggi la possibilità di chiudere i giochi confessandosi a vicenda, sciogliendo quei nodi che l’oscurità appiana rendendoli l’uno uguale a tutti gli altri. Ma se questa storia fosse tutta una proiezione personale di un uomo incapace di lasciar andare quella parte più animale, quella più recondita e quindi più vera di se stesso, a favore di un nuovo inizio che porta con sé la guarigione di un’anima inascoltata, forse allora potremmo dire di esserci immaginati tutto?
Paola Zoppi
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