La filosofia dalla scala di servizio
La filosofia non è per i giovani, diceva Ezra Pound, e chissà perché il poeta dei Cantos non teneva dietro a quanto sosteneva Epicuro: «Chi è giovane non esiti a filosofare, e chi è vecchio non si stanchi di filosofare. Infatti per nessuno è troppo presto e per nessuno troppo tardi, per occuparsi della salute dell’anima».
A chi piacesse pensarla come il filosofo della tarda grecità, c’è un volume in libreria tanto corposo quanto incompleto: La filosofia dalla scala di servizio – I grandi filosofi tra pensiero e vita quotidiana di Wilhelm Weischedel per i tipi di Raffaello Cortina editore nella collana Scienza e Idee curata dal rimpianto Giulio Giorello (pag. 341 euro 23,00).
Una filosofia a uso e consumo degli uomini
Si badi bene: incompleta non secondo la stessa ammissione dell’autore, che prende in considerazione soltanto trentaquattro pensatori, ma in quanto nella rosa dei prescelti non figura neanche una donna. Non dico una Simone Weil alla quale da sempre si rimprovera la contraddittorietà – come se il pensiero non fosse di suo contraddittorio, e anche se Albert Camus la definì l’unica vera voce del Novecento -, ma perlomeno Edith Stein o Hannah Arendt solo per dirne un paio. Eppure quando prende in esame Meister Eckart, l’autore quasi lamenta la tradizione che vuole la filosofia ad uso e consumo degli uomini, ricordando come il priore di Hocheim, seicentocinquanta anni or sono, contraddisse questa convinzione andando a predicare in lingua tedesca nei conventi femminili. E molto prima Socrate, stando al Simposio di Platone, mise in bocca a una donna, Diotima, la verità sull’amore.
Ma al di là delle polemiche, il volume in questione è godibilissimo, dal piglio divulgativo e pieno di curiosità, non tanto per il pensiero dei filosofi – che pure è risolto con prosa semplice e ricca di citazioni -, quanto per la loro vita. Vite da enfant prodige, da indigenti, da pietre dello scandalo, ma sempre il sacro fuoco della filosofia li anima. Filosofia che altro non è se non una domanda, prima sulla natura e il cosmo, poi sull’uomo, il mondo e su Dio.
Vite da geni precoci
Enfant-prodige fu Blaise Pascal, che fu istruito dal padre attento a che studiasse le lingue e a tenerlo lontano da matematica e scienze naturali, passioni del giovane autore dei Pensieri. Ma c’era poco da proibire, e a 12 anni Blaise, sdraiato per terra con un gesso in mano, disegnava triangoli e cerchi riscoprendo per conto suo la geometria euclidea; a 16 scrisse un trattato sulle sezioni coniche valido ancor’oggi e a 19, per aiutare il padre nel suo lavoro di esattore, costruì una macchina calcolatrice. La sua è la via della mistica intrapresa da quel “Bisogna conoscere se stessi” dal sapore socratico. Quando morì, a 39 anni nel 1662, gli trovarono addosso un cilicio con tanto di punte confitte nella carne e, cucito all’interno della sua veste, un biglietto con su scritto “certezza, sentimento, gioia, pace”.
Enfant-prodige fu pure Leibniz, che a 8 anni impara il latino da solo e a soli 15 anni è già studente universitario, così a 21 l’Università presso Norimberga gli offre una cattedra che però lui rifiuta per non essere imbrigliato dall’Accademia. Scrive un’autobiografia in terza persona dove si legge: “egli è smunto, di media statura, ha un viso pallido, spesso mani molto fredde (…) La sua voce è debole e sottile e gli è difficile pronunciare le gutturali e la k.”
Due vite, due Confessioni
A proposito di autobiografie, due spiccano a distanza di molti secoli l’una dall’altra ma con lo stesso titolo: le Confessioni prima di Sant’Agostino, poi del pensatore più egocentrico di tutta la storia della filosofia, Jean-Jacques Rousseau.
Agostino, colonna portante del pensiero cristiano, visse una gioventù da scapestrato: a Cartagine, dove si era recato a studiare retorica, fa parte di un gruppo di studenti detti “sovversivi” che si divertono in scorrerie notturne ai danni di passanti indifesi. Scrive opere teatrali e tesse relazioni amorose cui dedica giorni e notti e anche da accademico, prima nella città africana, poi a Roma e Milano, conduce una vita tutt’altro che irreprensibile: convive con una concubina che ama teneramente e dalla quale ha un figlio. Ben presto i sensi di colpa, oltre le reprimende materne – è figlio di quella che sarà Santa Monica -, lo inducono a cambiare vita: ripudia non senza dolore la compagna e a 33 anni si fa battezzare.
Le Confessioni di Rousseau, pubblicate postume, oscillano fra una giusta consapevolezza della propria unicità e una hybris quasi demoniaca. L’autore dell’Emile visse 66 anni di disordini, sventure vere o solo immaginarie e di scontri aperti con amici e nemici. S’imputa tutti i vizi, Jean Jacques, e nella sua autobiografia arriva a informare il lettore delle sue preferenze erotiche: forse a causa delle botte prese da bambino, per tutta la vita l’essere picchiato gli procura il piacere più grande anche se non osa chiederlo alle sue compagne e con orgoglio riferisce della sua propensione all’onanismo e all’esibizionismo. Nonostante sia il grande teorico dell’educazione, Rousseau non sa mettere in pratica i suoi principi: manda i 5 figli, avuti da un angelo di donna che sposa dopo 23 anni di vita in comune, in orfanotrofio perché lo disturbano mentre studia e sono onerosi da mantenere.
Un’esistenza ricca (in tutti i sensi)
Vita disordinata ebbe invece Voltaire, principe dell’Illuminismo: addirittura non si è concordi nemmeno sulla data e il luogo di nascita, ma di sicuro la balia, visto che l’infante era stato dato per spacciato, lo fa battezzare in fretta e furia. Eppure la Chiesa sarà, insieme ai fanatici, il suo più grande nemico, paladino com’è della libertà di pensiero tanto da assumere l’Illuminismo più come prassi che come teoria. A lungo non può stabilirsi da nessuna parte, Parigi gli vieta il soggiorno e di quando in quando finisce alla Bastiglia, dove però ha il privilegio di sedere ospite alla tavola del direttore del carcere. Sebbene lo si diffami, lo si metta al bando, lo si esili e le sue opere vengano vietate e bruciate – molte opere possono uscire soltanto anonime e quando si scopre che le ha scritte lui, Voltaire ne rinnega la paternità senza scrupoli: “Bisogna mentire come un diavolo!” -, conduce una vita di piacere ed esosa ma, benché il suo patrimonio sia detenuto talvolta in modo sospetto, alla fine è ricco: possiede un castello, un paio di case coloniche e 160 servitori.
Il caso Fichte: come nacque un filosofo
C’è poi chi all’idea del solo mestiere di filosofo, scarta; è il caso di Johann Gottlieb Fichte che da subito non volle limitarsi a pensare, volle agire. Nato nel 1762 da una povera famiglia di contadini, da piccolissimo ebbe come prima occupazione quella di guardiano di oche da cui s’affrancò così. Una domenica il padrone della tenuta è assai dispiaciuto di essersi perso il sermone del pastore, ma il piccolo Fichte è in grado di ripetere parola per parola qualsiasi predica; sa imitare il pastore così perfettamente che il padrone entusiasta decide di fornirgli i mezzi per la sua istruzione, “ed è così che il mondo filosofico avrà il suo Fichte”. Come avrà il suo Talete, Parmenide, Eraclito, Platone, Aristotele, Zenone, Plotino, Anselmo, Tommaso, Cusano, Spinoza, Hume, Schelling, Hegel, Schopenhauer, Kierkegaard, Feuerbach, Marx, Nietzsche, Jaspers, Heidegger, Russell e Wittgenstein. Tali e tanti gli altri filosofi presenti nel libro, per ciascuno una decina di pagine fra vita, morte e pensiero nella traduzione di Markus Ophalders.
Monica Perozzi