Racconto: Pictures – Jacopo Zonca
Agosto 2016
Ho cominciato a scattare fotografie da piccola, il mio primo scatto l’ho fatto a cinque anni e mezzo, al mare, la prima cosa che ho fotografato è stato il viso di mio padre. Il suo sorriso illuminato dal sole di agosto, i suoi occhi verdi così profondi. Mio padre era fotografo, mi ha insegnato tutti i trucchi del mestiere. A sei anni mi ha regalato la mia prima macchina, una Nikon con due rullini. Era primavera e siamo andati in montagna a scattare foto a qualunque cosa: alberi, foglie, animali, montagne… Papi ha intuito subito che avevo talento. Mi portava nel suo studio, mi mostrava come sviluppare la pellicola, come ottenere una buona esposizione, poi quando sono diventata più grandicella e le mie foto cominciavano a essere sempre più belle mi ha insegnato a cambiare ottica, per dare alla foto uno scopo «narrativo» diceva lui, non una pura e semplice immagine piatta. Così a dieci anni sapevo già tutto quello che riguardava la fotografia. Sono diventata l’assistente ufficiale di mio padre, anche se i suoi colleghi appena mi vedevano ridacchiavano… ma lo capisco, una bambina che porta al collo una macchina che sembra più grossa del suo petto. Comunque mamma era sempre più contenta quando io e mio papà andavamo a scattare le foto nel week end. Una volta sono uscita da sola, avevo sedici anni e ho fotografato due ragazzini che si baciavano in un parco. È stata una sensazione meravigliosa. No so spiegarla. Mi sembrava di avere il potere di immortalare l’amore nella sua vera essenza. Mi sono sentita unica al mondo. Ho provato un piacere unico. Ho parlato con mio padre, gli ho fatto vedere la fotografia e lui ha detto che era splendida, da esposizione. I suoi occhi brillavano. Non mi ha parlato più per una settimana però… pensavo fosse offeso, pensavo fosse arrabbiato perché io scattavo meglio di lui. Ma poi una sera è tornato con il sorriso sulle labbra e mi ha detto che mi avrebbe portato a fare foto bellissime. Mamma era felicissima.
Arriviamo a casa di una bellissima amica di papà. Lei mi accoglie e mi chiede se voglio qualcosa da mangiare o da bere. Papà dice che si fida di me, e mi chiede di cominciare a scattare. Io inizialmente non capivo. Poi papà e quell’altra signora hanno cominciato a spogliarsi e baciarsi come quei ragazzini, e allora io ho cominciato a scattare, quella sensazione di gioia e di onnipotenza è subito ritornata e non riuscivo a smettere di scattare fotografie. Alla fine papà e quell’altra signora erano tutti sudati, e i miei scatti erano più di sessanta. Tornando a casa io ho capito che papà non si stava comportando in maniera onesta con mamma, però quella sensazione era così meravigliosamente violenta ed eccitante che non potevo dire nulla. Papà aveva capito tutto.
Papà ha detto che questo era il nostro piccolo segreto. Quando sviluppavamo le foto lui mi dava consigli su come inquadrare meglio certi momenti, per coglierne l’essenza. Da quel momento mi ha sempre portato con lui, e ho sempre fotografato lui e le sue amiche mentre facevano… insomma quella roba lì. Siamo andati avanti mesi, fino a Natale. Dopo la cena della vigilia mio padre ha detto a mia madre che saremmo andati a scattare delle foto in una chiesa durante la messa di mezzanotte, mamma con un sorriso gigantesco ha detto: Sì! Andate pure… Ma non siamo andati in chiesa, siamo andati in un motel vicino a casa, dove c’era una signora con i capelli rossi che ci aspettava. Mio papà ha preso una stanza, siamo entrati e la bella signora ha cominciato a spogliarsi, mentre mio papà si fumava una sigaretta, poi ha spento il mozzicone sulla mano della signora e ha cominciato a spogliarsi. Io scattavo, scattavo ogni espressione di mio padre e quelle della donna. Quello è stato il servizio più intenso… mio padre si è impegnato proprio… sembrava che facesse male a quella donna perché urlava tanto.
Una settimana dopo siamo andati in un posto dove facevano delle esposizioni di fotografie con un sacco di signori che facevano quella roba lì. Doveva essere una cosa segreta perché eravamo in una specie di sotterraneo. Papà mi teneva la mano. Hanno detto che le mie foto, erano le più belle. Mai provata felicità più grande. Papà si è messo a piangere. Siamo tornati a casa dalla mamma. Papà le ha detto che ero la più brava fotografa del mondo.
Con il passare del tempo però, mi è venuta voglia di provare quello che faceva papà. Lui ha accettato di fotografarmi. Ero emozionatissima, siamo andati nel motel dove ci eravamo incontrati con la signora dai capelli rossi durante la vigilia di Natale, papà ha portato un suo amico. Bellissimo. Io non sapevo da che parte cominciare, mi tremavano le gambe ma ho cominciato a spogliarmi. Papà stava per scattare una foto, e il suo amico era già pronto a stringermi tra le sue braccia.
Poi papà ha urlato, «No!».
C’è stato un secondo di silenzio, mi è venuto da piangere… papà mi ha fissata, aveva lo sguardo triste.
Ha dato la macchina fotografica al suo amico, si è spogliato velocemente, ha detto che avrebbe fatto tutto lui. All’inizio mi ha abbracciato come faceva quando ero piccola, mi ha stretto forte. Ma quella volta mi ha fatto anche molto male. Mentre mi faceva male si è messo a piangere, poi il mio cuore non ha retto e ho cominciato a singhiozzare, piangevo come una bambina mentre ci abbracciavamo e lui continuava a farmi male. Ma era bello.
Quella foto è la cosa più preziosa che ho.
Non c’è nulla di più prezioso di quella foto.
Jacopo Zonca