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Amatissima: l’exploit letterario di Toni Morrison

Nel 1981, Angela Davis pubblicava Women, race and class, un saggio che affronta la condizione delle donne afroamericane da un’ottica intersezionale, collegando l’identità femminile alla subalternità sociale. Analogamente potremmo considerare Beloved, romanzo cardine della Morrison, come uno spartiacque: segna l’exploit letterario dell’autrice, premio Nobel nel 1993, ed è dedicato alle tematiche dell’infanticidio e della maternità condizionata dallo schiavismo. Di Toni Morrison si è detto che «come ogni artista senza un proprio stile, divenne pericolosa» ed è davvero difficile ascriverla a un genere: ci sono tracce di gotico, monologhi interiori, richiami costanti al blues e infinte varianti letterarie.

Beloved è la storia di Sethe, che fugge da Sweet Home e raggiunge l’Ohio libero, con in grembo sua figlia, sopportando le insidie della natura e i morsi della fame. È soprattutto la storia di un’emancipazione mozza, dei traumi che riaffiorano e che porteranno la donna a confondere la maternità con il possesso, il quotidiano semilibero con i ricordi della schiavitù. A fare da ponte tra la vita e la morte, Beloved, la figlia sgozzata che riappare e che reclama l’amore sottratto.

Baby Suggs e Denver

In Beloved ci vengono presentate ben tre generazioni di donne, partendo da Baby Suggs che è una schiava liberata e madre di Halle, il marito di Sethe: come donna, possiede dei tratti sciamanici, è capace di attrarre un’intera comunità e di sentire profondamente gli altri. Durante la sua permanenza in Ohio, nella casa che chiamano “124” (giacché – quasi fosse uno schiavo marchiato – non possiede un vero nome), si avvicina alla morte e scopre i colori, cercandone costantemente la presenza: è un simbolismo sottilmente costruito dalla Morrison, che vuole comunicarci il grigiore dello stato americano e l’eccentricità di Baby Suggs, che occulta il significato dietro al significante. Sarà molto difficoltoso, per lei, confrontarsi con l’infanticidio, dopo una vita dedicata alla saggezza. Denver, invece, è la seconda figlia di Sethe: schiva, attenta e prematuramente consapevole. Sente l’abisso che la divide da sua madre e  rappresenta la figlia sopravvissuta, a scapito di Beloved che non è stata risparmiata. Denver rappresenta una sorta di reincarnazione della scrittrice: proprio come la Morrison, che era l’unica figlia a poter studiare al college, Denver si salva grazie al lavoro e alle lezioni che frequenta segretamente, presa dal desiderio di emanciparsi. È lei la figlia che sfugge al legame tossico di Sethe e Beloved, dando vita a un vero e proprio svincolamento psicologico. Si legge in un passo della terza parte:

Bisognava salvare qualcuno, ma, a meno che Denver non trovasse un lavoro, non ci sarebbe stato nessuno da salvare, nessuno da cui tornare a casa la sera e, tanto più, nessuna Denver. Era un pensiero del tutto nuovo per lei, avere un io di cui prendersi cura, da preservare.

Sethe e la maternità sofferta

Toni Morrison, durante il suo lavoro di editor, si era imbattuta in un ritaglio di giornale del 1855: il brano narrava la storia di Margaret Garner, giovane madre costretta a uccidere la propria figlia, pur di salvarla dal ritorno alle piantagioni. Seduta di fronte al fiume Hudson, dopo aver abbandonato il suo impiego attuale, la scrittrice si decise a trasformare il fatto di cronaca in una vero e proprio personaggio letterario, per il quale scelse il nome di Sethe. Nella tradizione popolare, e in quella classica, esistono diversi riferimenti alla madre infanticida: dalla Medea della tragedia di Euripide, alla Llorona della cultura messicana, frequentemente citate negli studi di psicologia sulla maternità e il possesso. Il personaggio di Sethe, caratterizzato da un albero che marchia la sua schiena (simbolo delle torture inflitte agli schiavi), rappresenta appieno il rapporto simbiotico, che porta inevitabilmente al soffocamento delle identità coinvolte (madre e figlio). Dopo aver vissuto con la macchia dell’infanticidio, che inevitabilmente la allontana dal resto della società, assiste al miracolo del ritorno di sua figlia: colei che era stata seppellita riemerge dalle acque e torna in vita, portando con sé il nome che era stato inciso sulla lapide,  Beloved (nella traduzione italiana, Amatissima). Avendo basato la propria identità sul rapporto con i figli, due dei quali fuggono dalla madre, Sethe è incapace di contenere il potere della primogenita: col passare del tempo, la relazione si trasforma in una dipendenza. In una società schiavista, che sottrae il bambino alla madre e stabilisce una distanza emotiva, incarnata dall’appellativo Signora, Sethe non riesce a equilibrare l’amore per i propri figli. In questo quadro che sembrerebbe patologico, Toni Morrison rifiuta il giudizio e sonda la psiche femminile, rimaneggiando continuamente la linea temporale, per collegare le cause ai drammatici effetti.

Beloved, Amatissima

Il personaggio di Beloved ha qualcosa di archetipico e ricorda i cicli Vita-Morte-Vita dei quali parla Clarissa Pinkola Estés, in Donne che corrono coi lupi: così come la donna sa quando uccidere o quando portare in vita determinati aspetti della propria esistenza, lo spirito della bambina sa quando tornare e quando farsi sentire. Dal momento che ha vissuto in un limbo e conosce prematuramente la morte, si attacca alla vita con voracità: dopo aver individuato l’oggetto del proprio desiderio, incarnato da Sethe, è disposta a succhiarne via tutte le energie. Come ogni fantasma, dapprima infesta la casa e, dopo essere stata cacciata dal nuovo compagno di Sethe, decide di incarnarsi nuovamente: ora è una ragazza giovane, che aspetta Sethe sulla soglia di casa e si ciba di immagini della madre. Il rapporto tra le due, che inizialmente rinvigorisce Sethe e cancella ogni senso di colpa, finisce per invertire i ruoli tra le due: Beloved è improvvisamente fagocitante e pingue, cancella ogni confine dell’identità e si fonde con la madre.  Da un punto di vista stilistico, è colei che stimola la vena poetica della Morrison: a lei sono dedicati i versi, l’ineffabile che si nasconde dietro ogni poesia, la morte che è sublimata dal ritmo e dal canto. Soprattutto, la prosa diventa improvvisamente frammentata, quando Beloved parla in prima persona: è la sua identità a perdere pezzi, mentre salta ogni fase della crescita e inverte il corso dell’esistenza.

Nel tentativo di circoscrivere un romanzo immortale, che si apre a infinite interpretazioni, ribadisco un concetto: sarebbe inutile incasellare la Morrison, come donna e come scrittrice, giacché non esiste genere che possa rappresentarla, senza svilirla. Oltretutto, nelle sue opere, letteratura e politica si fondono, restituendoci l’integrità dell’autrice e il suo bisogno costante di aiutare gli altri.

Rebecca Cicchetti

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