Usciva l’11 febbraio del 2021 nei cinema italiani Rabbit Hole, fresco della nomination all’Oscar per la sua protagonista, una rediviva Nicole Kidman ritornata in stato di grazia dopo una serie di lavori da dimenticare. Destinato a una distribuzione limitata, il film incassò pochissimo nel nostro paese, come nel resto del mondo d’altronde. Il regista, John Cameron Mitchell, impiegò sette anni prima di tornare con un nuovo progetto. Eppure, a distanza di un decennio, questo film vanta più di un motivo per essere recuperato.
Innanzitutto per il cast: perché se Nicole Kidman resta una diva e interprete versatile oggi come allora, all’epoca era affiancata da un perfetto sconosciuto, l’esordiente Miles Teller. Uno dei film più apprezzati degli ultimi anni, Whiplash di Damien Chazelle, lo ha reso poi riconoscibile, così come altri successi commerciali. Resta poi la curiosità per l’adattamento di un testo teatrale di grande successo capace di vincere il Premio Pulitzer, il dramma omonimo di David Lindsay-Abaire.
Manca forse quella curiosità di scoprire come se la sarebbe cavata un controverso regista di nicchia come John Cameron Mitchell con un dramma mainstream. Il verdetto infatti ormai lo conosciamo: ben accolto dalla critica, purtroppo non ebbe un riscontro positivo da parte del pubblico. Rabbit Hole si rivelò un flop al botteghino, incassando addirittura meno dei suoi precedenti film, diventati col tempo dei cult (vedi Hedwig – La diva con qualcosa in più e Shortbus – Dove tutto è permesso).
Arriviamo dunque alla trama: Becca e Howie sono una coppia sui quaranta, benestanti, alle prese con l’elaborazione del lutto per la perdita del loro piccolo figlio. Howie lavora, Becca invece passa le giornate da sola nell’immensa e bellissima casa, ricevendo ogni tanto le visite di sua sorella e sua madre e desiderando di conoscere il neopatentato che ha investito suo figlio. Va a finire che tra i due nasce un’insolito rapporto di amicizia, tanto che lei sarà la prima a ricevere una copia del fumetto al quale il ragazzo sta lavorando, intitolato Rabbit Hole, da cui il titolo del film.
La storia non sarà nuova, ma è lodevole il modo in cui lo sceneggiatore David Lindsay-Abaire, già autore della pièce teatrale, affronta un tema così delicato: senza indugiare su una certa ruffianeria sentimentale a cui il cinema mainstream purtroppo ci ha abituati. Il dolore dei due protagonisti è infatti autentico ed è davanti a noi senza fronzoli e senza troppe lacrime. Rabbit Hole è un film composto ed elegante – al pari delle musiche composte da Anton Sanko – senza particolari guizzi, il che è una sfida non da poco per un regista che ci aveva abituati a pellicole fuori dagli schemi nello stile e nei contenuti. E siccome egli stesso ha dichiarato di voler firmare una regia invisibile, si può affermare che ci sia riuscito pienamente.
Sul versante degli interpreti, oltre ai già citati Miles Teller e Nicole Kidman, che ne è anche produttrice, occorre citare un bravo Aaron Eckhart nei panni del marito (e per una volta in un ruolo drammatico); soprattutto, però, Dianne Wiest, nei panni della madre: la grande attrice di un classico come Edward mani di forbice o dell’esilarante Piume di struzzo, senza contare gli Oscar per Hanna e le sue sorelle e Pallottole su Broadway.
Se di questi tempi vi manca andare a teatro, Rabbit Hole può essere l’occasione per godersi un adattamento emozionante con un cast stellare.
Rabbit Hole è al momento disponibile in dvd, in streaming su Prime Video e CHILI e in streaming a noleggio su Google Play.
Carlo Crotti
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