Estratto: Fatto e Finzione, Lavocat
Pubblichiamo in anteprima un estratto del volume Fatto e finzione di Francoise Lavocat (Del Vecchio, trad. Chetro de Carolis), in uscita oggi nelle librerie. Lo accompagna un’introduzione di Ilaria Troncacci, editrice di Del Vecchio.
Introduzione
di Ilaria Troncacci
La collana l’anima e le forme si prefigge l’ambizioso obiettivo di affermarsi come riferimento nel dibattito culturale e letterario italiano. Attraverso riproposte di testi fondamentali e la pubblicazione di nuovi studi si prefigge di delineare un percorso, in dialogo con il passato, proiettato verso idee nuove, nuove questioni e nuove prospettive.
L’uscita di Fatto e finzione di Francoise Lavocat, tradotto da Chetro De Carolis, così come la pubblicazione di Segni e stili del moderno di Franco Moretti, segnano l’avvio di questo progetto.
Françoise Lavocat con il suo Fatto e finzione propone di ripensare i confini della narrazione finzionale in letteratura, cinema, teatro e videogiochi. La sua attenta dissertazione elabora vecchie e recenti controversie sullo status della finzione nei campi della teoria letteraria, del diritto, della psicoanalisi e delle scienze cognitive. Facendo riferimento a molteplici campi di studio, il libro prende in esame questioni come il fenomeno dello storytelling, la storia del rapporto tra storiografia e creazione poetica, il rapporto tra finzione e censura.
Partendo dall’idea di una distinzione necessaria tra realtà e finzione, pur difendendo l’essenza necessariamente ibrida di quest’ultima, Lavocat rinnova interamente i termini del dibattito, che vorrebbero i confini tra realtà e immaginazione sempre più labili. Ma tali confini sono, secondo l’autrice, una necessità cognitiva, concettuale e politica e la loro scomparsa rischia di eliminare il piacere di spostarsi da un mondo all’altro. Lavocat si propone quindi di definire la finzione come un mondo possibile con una propria ontologia, concentrando l’interesse sul rapporto con i personaggi, la questione dei paradossi e della metalessi, questioni che rendono percettibile il confine tra mondi dando l’illusione di attraversarlo.
I mondi possibili della finzione
(Lavocat, Fatto e finzione, pp.494-499)
Di che natura sono i mondi possibili che circondano i mondi reali e i mondi finzionali?
Per definizione – o, comunque, sulla base della definizione che la filosofia occidentale, da Aristotele in poi, da del possibile –, i mondi possibili del mondo reale sono mondi non attualizzati. Lo stato di cose che sarebbe risultato da una vittoria della Germania nazista, non si è realizzato: tutt’al più, ha un’esistenza mentale. Esso si realizza soltanto sotto forma di finzione controfattuale, in romanzi come quelli di Philip K. Dick, Robert Harris o Philip Roth. Il mondo reale non esiste sotto forma di varianti.
La cultura contemporanea, tuttavia, mette in crisi questa evidenza. Quando i poteri pubblici pianificano e fanno recitare ad agenti dello Stato il copione di un attacco terrorista, per valutare ed eventualmente correggere i comportamenti degli attori coinvolti in caso di attacco reale, si tratta di una simulazione condivisa, che non ha nulla di ludico e che non è una menzogna. Tale situazione può essere analizzata come l’attualizzazione provvisoria e sperimentale di un mondo possibile, quello in cui avesse luogo un attentato.
Inoltre, i mondi virtuali traggono gran parte del loro fascino dal proporsi come mondi possibili attualizzati (in ciò sta il senso del nome dato da Linden Lab al metaverso Second Life). In effetti, molti utenti considerano i mondi virtuali come alternative al mondo reale, il che costituisce un argomento forte per fare apparire il reale più vicino alla finzione, visto che entrambi danno accesso ad altri mondi. Tuttavia,
secondo noi, lo statuto di variante del mondo reale, per quanto riguarda i metaversi, è un’illusione – in ogni caso, fino al momento in cui gli atti degli avatar non hanno in esso alcuna portata giuridica. Il che ne prova la natura parzialmente fittizia, che non fa che intensificarsi e manifestarsi nei più recenti metaversi informatici: è sull’isola di Calypso che sbarcano i nuovi arrivati in Entropia Universe, ed è su un’isola dal nome di un romanzo giapponese che approdano quelli di Ai Sp@ce. In questi mondi, l’accesso avviene tramite il riferimento a finzioni. Questi metaversi informatici gravitano nell’orbita degli universi di finzione testuali e grafici.
In effetti, i mondi di finzione stanno al centro di costellazioni di mondi possibili costituiti da altre opere, interpretazioni, sfondi e oggetti a esse ispirati. Non ci possiamo trasportare (se non tramite una fugace fantasia, uno spostamento mentale, quasi sempre semi-incosciente) in un mondo diverso dal nostro, in cui un determinato evento della storia o della nostra vita personale non abbia avuto luogo o abbia avuto luogo diversamente. Le opere di finzione, al contrario, sono effettivamente circondate da un alone di varianti.
Queste più o meno fitte costellazioni di mondi possibili possono avere diversi gradi di attualizzazione (s’intende qui un modo d’esistenza sotto forma linguistica, cinematografica, recitata, digitale). Esistono, certo, molti possibili non attualizzati delle opere di finzione: le varianti non scritte, gli stati di cose che sarebbero risultati da altri sviluppi della storia, delle ipotesi formulate dal lettore e abbandonate nel corso della lettura (Eco 1979). Ma i mondi di finzione hanno la proprietà d’appartenere a universi più solidi delle fantasticherie o delle ipotesi prodotte nel mondo attuale. Essi sono circondati da altri mondi, più o meno costruiti e abitabili, appartenenti a sistemi più o meno complessi, estesi, in corso di espansione, collegati tra loro da ogni sorta di rapporti referenziali: fonti, brutte copie, imitazioni, continuazioni, adattamenti, transfinzioni, fanfiction, prodotti derivati. La cultura contemporanea e la cybercultura – che esacerbano il riciclaggio di personaggi, essi stessi soggetti a continue ricomposizioni sui supporti più svariati – non si lasciano analizzare in termini di intertestualità ma come combinazioni dei possibili (Azuma 2010 [2001]).
La nostra epoca è infatti caratterizzata dalla costituzione e dalla progressiva crescita di galassie finzionali. Curiosamente, spesso a servire da matrice sono opere vecchie di oltre un secolo, quelle ottocentesche. Richard Saint-Gelais ha potuto studiare il continente delle opere transfinzionali contemporanee che vedono il ritorno dei personaggi di Madame Bovary (2011); l’opera di Jane Austen o quella di Conan Doyle conoscono, attualmente, una simile estensione intermediale. Tuttavia, anche certe opere più antiche sono state matrici di vastissimi universi, come l’Orlando furioso ariostesco, il Don Chisciotte (con buona pace di Cervantes!) o L’Astrea: nel Seicento, alcuni episodi di questo romanzo hanno dato luogo a numerosi adattamenti teatrali e due romanzi hanno come personaggi i figli dei suoi protagonisti – con le cui nozze si chiude l’opera originale.
Questo capitolo non è la sede per una comparazione diacronica di questi universi (la loro costituzione, la grandezza, i rapporti con i mondi di partenza, il ventaglio dei generi e dei media coinvolti, l’eventuale portata trasgressiva, o ancora quanto, nella loro espansione, vi è di spontaneo e quanto di strategicamente pubblicitario). Accontentiamoci di notare che i processi di appropriazione per estensione dell’universo, a partire da un mondo di partenza, quasi sempre sfruttano nuovi media: balletti o tragicommedie nel Seicento, diari nell’Ottocento, giochi, serie televisive, fumetti, social network informatici tra la fine del Novecento e il Duemila. I mondi possibili delle finzioni hanno dunque la facoltà di attualizzarsi, diventando mondi di riferimento per chi ci si trasporta. Essi modificano il mondo reale tramite l’imitazione, il gioco, la modellizzazione dei comportamenti. Una delle caratteristiche proprie alle finzioni è dunque d’essere al centro di costellazioni, in continuo mutamento ed evoluzione, di possibili non attualizzati e attualizzati, il che spiega certi accavallamenti tra realtà e finzione, ma allo stesso tempo ne fonda ontologicamente la differenza.