Natural Born Killers: cosa rimane del film di Oliver Stone?
Nel 1994, Oliver Stone gira uno dei suoi film più controversi: Natural Born Killers, uscito in Italia con il titolo, fortunatamente tradotto alla lettera, di Assassini nati.
Partendo da una sceneggiatura acquistata per quattrocentomila dollari scritta da un giovane Quentin Tarantino, che si stava affermando come una delle penne più talentuose del panorama cinematografico di inizio anni’90, Stone decide di cambiare il testo originario, squisitamente “tarantiniano”. Di quel testo mantiene solo i protagonisti, la coppia di assassini Mickey e Mallory Knox, e riscrive una storia incentrata sul rapporto morboso tra violenza e mass media che, alimentandosi a vicenda, danno il via ad un’escalation di cattiveria e fenomeni di emulazione senza fine.
L’impatto all’uscita
Inutile riportare la pioggia di critiche negative che Stone ebbe all’uscita del film (come Kubrick per Arancia meccanica). Non solo stroncavano la pellicola, ma accusavano il regista di elogiare la violenza rendendola divertente e leggera – critiche che, fortunatamente, con il passare del tempo sono risultate prive di fondamento.
Un film però diventa importante quando riesce a sollevare un dibattito a distanza di anni, quando mantiene vivo l’effetto sul pubblico anche in epoche diverse: e dunque oggi, a distanza di più di vent’anni dalla sua uscita, cosa rimane ancora intatto di questo film?
Assassini e parassiti
Probabilmente non le interpretazioni, per quanto eccellenti, della coppia Woody Harrelson e Juliette Lewis, di cui il primo ancora in ottima forma (anche se con qualche capello in meno), e la seconda in una fase della carriera proiettata verso il viale del tramonto.
Non rimane la rabbia dei fan di Tarantino per aver cambiato radicalmente una delle prime sceneggiature del maestro, perché gli stessi ormai hanno accettato Assassini nati come uno dei titoli più importanti degli anni ’90.
Non rimane neppure così attuale il messaggio che il film lascia: gli assassini che forse sono meno cattivi dei parassiti che si nutrono di violenza per fare ascolto. Un concetto espresso nel film chiaramente e forse, con il senno di poi, in modo un po’ troppo didascalico, come nella scena dell’interrogatorio a Mickey condotto dal giornalista interpretato da Robert Downey Jr. in forma di “storia maledetta” (qualora si volesse fare un parallelismo con la sublime trasmissione nostrana) nel carcere di massima sicurezza.
Cosa rimane allora di questo film che con il passare del tempo è stato tanto odiato quanto amato?
Natural Born Killers e la sua eredità
Alla resa dei conti, anche se i contenuti sono di bruciante attualità, ciò che rimane intatto è sicuramente la potenza visiva, che ha permesso a questo film di essere apprezzato ancora oggi, più di vent’anni dopo.
La regia di Oliver Stone è imbizzarrita, drogata, allucinata e ubriaca, ma incredibilmente lucida nel suo intento: narrare la follia di una coppia di assassini convinti di essere nati con un talento speciale, quello di uccidere.
Le inquadrature oblique, già conosciute grazie a Terry Gilliam e ancora prima grazie al grandissimo Sam Peckinpah – registi influenzati, o meglio soggiogati da Orson Welles, uno dei più grandi maestri americani – in questa pellicola vengono totalmente esasperate, susseguendosi per tutto il film, passando da sinistra a destra come un pendolo che scandisce la pazzia dei protagonisti.
I supporti fotografici con cui il film è stato girato variano dal classico 35mm al 16mm, passando poi al formato vhs e al super 8, per finire addirittura all’animazione, il tutto incorniciato da scenografie composte da sfondi artificiali, ambientazioni western, colori accesissimi e luci sovraesposte.
Un vero e proprio cocktail cinematografico filtrato nell’imbuto di un montaggio frenetico e preciso che riporta tutto nel “pentolone” del formato panoramico classico (1,85.1) per la proiezione sullo schermo.
Per molti, questa sovrabbondanza di registri narrativi (viene tirata in ballo anche la sitcom) potrebbe risultare pesante e indigesta ad una prima visione, ma come a tutte le grandi opere bisogna concedere una seconda possibilità, in cui sicuramente si apprezzeranno molte cose che sono sfuggite alla prima visione.
La durata e il montaggio
Natural Born Killers inizialmente durava molto di più. La versione lunga, di quasi 150 min, che comprende alcune parti truculente durante la rivolta carceraria a metà film, è introvabile, almeno in Italia. Esiste invece una versione integrale in vhs uscita solo negli Stati Uniti con tantissime e meravigliose sequenze che però, oggettivamente, avrebbero appesantito eccessivamente il racconto e ne avrebbero devastato la comprensione da parte del pubblico.
A distanza di anni, l’unica cosa che il film ha in comune con Tarantino è il direttore della fotografia, il grande Robert Richardson, inseparabile collaboratore di Quentin a partire da Kill Bill, ma con il tempo la scelta di Stone (sia poetica sia stilistica) ha permesso al film di invecchiare bene e meritarsi un posto di prestigio nella grande cinematografia di fine secolo. Alcuni teorici sostengono che Stone sia stato uno sperimentatore nel linguaggio cinematografico paragonabile a Eisenstein e Dziga Vertov, ma questo lo potrà stabilire solo il tempo, fra cinquant’anni forse se ne potrà discutere ancora. Quello che conta oggi è l’opera in sé, che ha saputo incassare i cazzotti del tempo e ha resistito in una società che dal 1994 sì è oggettivamente evoluta, forse in bene o molto più probabilmente in peggio.
Non vi resta che rivederlo.
Jacopo Zonca