Intervista: Guido Carpi, vita di Vladimir Il’ič Ul’janov
Lenin: La formazione di un rivoluzionario (1870-1904) di Guido Carpi, professore ordinario di letteratura russa presso l’Università di Napoli “L’orientale”, è il primo volume della biografia su Lenin pubblicata da Stilo Editrice. Si tratta di un volume che, sulla base di un apparato storico e letterario ricchissimo, racconta la vita di Vladimir Il’ič Ul’janov e il percorso che lo porterà a scegliere «il proprio nuovo nome di battaglia – Nikolaj Lenin». Abbiamo posto Guido Carpi qualche domanda sul suo lavoro:
Il volume si apre con alcuni versi di Majakovskij in cui il poeta afferma che «la lunga vita del compagno Lenin va scritta e descritta di nuovo». Da dove nasce l’esigenza di raccontare oggi la vita di Vladimir Il’ič Ul’janov?
Ho affrontato questo tema per un intero ordine di motivi, ma in particolare perché le biografie di Lenin attualmente disponibili mi sembrano tutte o irrimediabilmente invecchiate o divise per tifoserie: quelli che io chiamo “leninofagi” e “leninomani”. E invece, a trent’anni dalla fine del ciclo storico apertosi nel 1917, è arrivato il momento di fare luce sulla figura di Lenin in modo più distaccato.
Naturalmente, quando ci si accinge a un lavoro di carattere non strettamente specialistico, la prima cosa da fare è chiarire bene a se stessi per quale pubblico si sta scrivendo, e io ho cercato di organizzare il materiale per rendere il libro fruibile sia da un pubblico accademico sia da un uditorio più generalista. In particolare, spero che esso possa risultare utile al variegato mondo della militanza politica, specialmente a lettori giovani, politicamente impegnati, che siano interessati a capire come Lenin si poneva determinati nodi problematici: in che modo ci si può formare una griglia ideologica adatta a capire un determinato contesto (per lui, la Russia di fine Ottocento-inizio Novecento) e a incidere su di esso; che logica seguire nel porsi gli obiettivi e nel ricalcolarli continuamente; come coniugare analisi dei fenomeni e prassi politica; che tipo di organizzazione darsi; come selezionare una nuova figura di militante e come plasmarne l’identità di gruppo.
Il contesto storico così come l’ambiente di quegli anni è ricostruito molto dettagliatamente (in alcuni punti, come nel capitolo dedicato alla rivista «Iskra», ci si dimentica quasi di star leggendo un saggio). Quali sono state le fonti storiche e letterarie che ha utilizzato per ricreare così fedelmente lo Zeitgeist di quegli anni?
Nello scrivere di Lenin, è la stessa sovrabbondanza delle fonti a costituire un ostacolo molto serio. Innanzitutto, i suoi testi vanno letti nell’edizione sovietica canonica (55 volumi, più un volume supplementare edito nel 2000) e poi cercati nuovamente nell’edizione italiana (45 volumi), da cui citarli. In nessun caso si può partire dall’edizione italiana, condotta sulla base dell’edizione sovietica del periodo staliniano, dato che molti testi mancano, sono presenti in forma censurata oppure sono tradotti in modo approssimativo: ad esempio, Lenin usa una serie di termini ricorrenti, che funzionano come “segnali”, ma in italiano, di volume in volume, essi vengono tradotti in modo differente. Un altro esempio, di cui si parlerà nel secondo volume: alla Conferenza di Praga del 1912, Lenin propone di riorganizzare il partito come “rete molecolare” flessibile e meno verticistica, ma i passaggi relativi (del tutto eterodossi dal punto di vista sovietico) sono stati pubblicati solo nel 2008.
Vi sono poi i verbali dei congressi di partito, i 40 volumi delle Miscellanee leniniane, con materiali della sua cerchia, e soprattutto i volumi del Carteggio fra i ‘centri’ direttivi via via guidati da Lenin (a partire dalla redazione dell’«Iskra» nel settembre 1900) e i membri dell’intera rete di attivisti: sono migliaia di pagine di corrispondenza fra centinaia di militanti, fondamentale per seguire “in tempo reale” le loro azioni, analisi, aspettative. È chiaro, infatti, che la memorialistica successiva – pur importantissima – soffre di un punto di vista ex post ed è costruita su una selezione tendenziosa dei fatti.
Il saggio, così come specificato dal sottotitolo, si sofferma a raccontare gli anni della formazione del giovane Ul’janov, le letture (per esempio Černyševskij) e gli eventi (la morte del fratello Aleksandr) che lo hanno portato a divenire Lenin. Di norma tutti conoscono il Lenin degli anni della rivoluzione, ma pochi invece sono a conoscenza della formazione di Il’ič, che lei ha magistralmente ricostruito in queste pagine. Come mai la storiografia ha finora posto poca attenzione a questo aspetto della sua vita?
È chiaro che il Lenin capo di Stato e fondatore della Terza Internazionale ha avuto un impatto enorme sia sui suoi contemporanei che sulle generazioni successive: al confronto, quelle precedenti sembrano beghe insignificanti (lo sembravano, ad esempio, ai leader della socialdemocrazia tedesca, spesso chiamati in causa come arbitri nei continui litigi fra bolscevichi e menscevichi). È un fatto, però, che il leninismo come nucleo di teoria, prassi e organizzazione si venga formando in quegli anni, con una significativa accelerazione nel periodo della Grande guerra. Le faccio un esempio: spesso mi trovo a discutere col mio amico Gianni Fresu, ottimo studioso di Gramsci: le sfumature diverse nel valutare questo o quell’aspetto del leninismo deriva dal fatto che lui “vede” Lenin attraverso la percezione che ne aveva Gramsci, come grande statista e fondatore di un nuovo, poderoso apparato egemonico, mentre il “mio” Lenin è essenzialmente quello pre-rivoluzionario. Un Lenin che cavalca per le lande siberiane vestito e armato da cow-boy, fa ruzzoloni in bicicletta per le strade di Ginevra, compie massacranti gare di trekking alpino e sfugge agli sgherri dello zar avventurandosi a piedi per i fiordi ghiacciati della Finlandia…
Dal lavoro di scavo biografico emergono diverse anime (il letterato, il rivoluzionario, il politico ecc.). Durante tale indagine, quale delle diverse sfaccettature del personaggio Lenin ha catturato di più la sua attenzione e perché?
Quello che lui stesso chiamava “orecchio rivoluzionario assoluto”: la capacità di reagire in modo fulmineo alle nuove configurazioni. Quando si esauriscono le potenzialità di una configurazione, Lenin se ne accorge prima degli altri e rimescola le carte a costo di un temporaneo autoisolamento, spiazzando tutti, per farsi trovare pronto al giro successivo. Uno schema inaugurato (non senza elementi d’improvvisazione) nel 1904-05 e riproposto poi in modo sistematico, ormai da consumato giocatore su più tavoli e da generatore di effetti a catena.
Ci può anticipare quale aspetto di Lenin ci sorprenderà di più nel secondo volume?
Penso, la repentina mutazione attraversata dal bolscevismo con la Grande guerra: percepito negli anni Dieci come un’anomalia settaria e marginale dal mainstream socialista europeo, allo scoppio del conflitto il bolscevismo esce dal bozzolo secondo-internazionalista finalmente dotato di un proprio peculiare principio connettivo. Nucleo dottrinario delle origini, esperienza politica pregressa, indirizzi analitici finora privi di collegamento si trovano improvvisamente inquadrati in una visione complessiva del mondo che a sua volta – non appena resasi presente a se stessa – inizia ad espandersi, a incorporare componenti nuove e ad aggregarle al sostrato precedente in composti originali. È il bolscevismo, ora, a percepirsi come asse centrale del sistema politico, a disporre e raggruppare gli altri elementi lungo il proprio perimetro e a impostare il rapporto con ognuno di essi in funzione di scopi programmati da subito con chiarezza adamantina e perseguiti con la metodica pervicacia di un Terminator.
Giovanni Palilla