Categorie: CinemaCulturaPoesie

I versi inascoltati

Recensione del film “Lontano da qui” di Sara Colangelo

di Nunzio Bellassai

Il sole colpisce la sua casa gialla
e sembra quasi un segno di Dio

Una maestra d’asilo e un bambino speciale sono i presupposti per una storia imprevedibile, profonda e intensa. Una riflessione drammatica sulla condizione umana, sul talento e sui limiti della cultura in un ambiente opprimente, che non esalta le capacità del singolo, ma le soffoca fino a ridurle a semplici e spaventose ombre, oggetti passivi di un mondo che li risucchia.

Tra il thriller e il genere psicologico, Sara Colangelo crea un’opera colma di suspance, che lascia lo spettatore incollato allo schermo. Una tensione tangibile dall’inizio alla fine, con uno stato di sospensione senza valvola di sfogo che domina la pellicola. Il film drammatico, premiato al festival di Sundance, nasce come remake americano della pellicola israeliana del 2014 “Haganet”.

Maggie Syllenhaal, volto inconfondibile di “Mona Lisa Smile”, qui interpreta la parte della tenera maestra d’asilo, con un marito che la dà poche soddisfazioni e due figli che fuggono dal suo modello di vita, lo detestano. Una personalità brillante eppure frustrata, costretta a cercare esaltazione ed energia vitale in un corso di poesia, sullo sfondo della demotivante austerità di Staten Island.

Lisa rimane affascinata dalle sorprendenti capacità poetiche, innate, del piccolo Jimmy (Parker Sevak), una specie di Mozart della poesia, che, forse influenzato inizialmente dallo zio scrittore, a tratti improvvisamente recita versi straordinari, ricchi di pathos, che nemmeno Lisa riesce a eguagliare. Dalla prima volta che nota lo strano comportamento del bambino Lisa cerca di non perdersi neanche una poesia improvvisata dal bambino. La sua diventa un’ossessione, il complesso di inferiorità la spinge a usare i versi del bambino al corso, simulando che fossero suoi, con risultati soddisfacenti. I versi del bambino infatti la aiuteranno a far innamorare l’insegnante del corso (Gael García Bernal). Solo a metà film decide di entrare nelle vesti di mecenate, quando vorrà mostrare a tutti durante un’esibizione poetica il talento del suo alunno, il figlio che ha sempre voluto.

Il talento di Jimmy spinge Lisa dall’entusiasmo iniziale a una forma quasi maniacale di controllo sul bambino di cinque anni. Riesce a far licenziare la baby-sitter, a mettersi in contatto con lui via telefono anche fuori dall’orario scolastico, a trascorrere sempre più tempo con lui, con il pretesto del doposcuola, a rapirlo infine. La sua figura, che oscilla tra il possibile serial killer e l’insegnante generosa che stimola l’alunno talentuoso, sembra a un certo punto varcare i confini del suo lavoro professionale, senza mai toccare il bambino né abusare di lui, vorrebbe solo spingerlo a creare nuovi versi e annotarli, coltivare la sua dote congenita. Il bambino vive in un ambiente familiare complesso, con la madre assente, il padre molto impegnato, sembra provare un sentimento di empatia verso quella maestra che lo preferisce agli altri bambini, che lo porta in disparte durante il riposo pomeridiano, che crede e investe su di lui. Jimmy si fida ciecamente della sua maestra, pare gradire la sua presenza stimolante, almeno fino a un certo punto.

“La solitudine è sempre tempo passato con il mondo.”

Alla fine il giudizio su Lisa non è del tutto negativo, il personaggio viene riabilitato alla fine. Lisa vorrebbe evitare che Jimmy venga soffocato dalla società, in cui utilitarismo ed economia dominano come sovrani incontrastati. Jimmy è un bambino di cinque anni, ma sembra già avere un destino segnato dal padre che lo vuole lontano dal mondo dell’arte e della letteratura, temendo che possa fare la fine dello zio, correttore di bozze in un giornale. La riflessione sulla decadenza della cultura, in una società pragmatica e consumistica, che soffoca l’individualismo e la diversità, che non investe più su valori culturali, accende un faro sulla situazione non solo americana, ma globale, dove l’arte, la musica, le materie classiche e umanistiche sono relegate agli ultimi posti, utili solo a intrattenere o a fare ridere, come si è detto recentemente. Si investe sempre meno sulla cultura e Lisa vorrebbe fuggire dalle imposizioni, dalla sua vita grigia e opprimente, ma per lei è troppo tardi. Tuttavia risulta intollerabile per lei l’idea che il bambino un giorno sarà destinato a fare un lavoro che non apprezza, a un’esistenza che non gli appartiene veramente.

«Ho una poesia.» continua a dire la voce isolata e innocente del bambino, soffocata dentro la macchina della polizia, ma nessuno lo ascolta più.

Nunzio Bellassai

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