Un estratto dalla silloge poetica di Gaia Boni, Fiori nudi, edita da CartaCanta editore.
A volte credo fermamente d’essere una cascata
in piena quasi costante, traboccante
così il mio grido inevitabile
è l’urlo cosciente dell’acqua che sta per cadere
la consapevolezza di disfarsi come proprio prolungamento
un moto di volo che precipita
eppure ogni volta riparte
– forse la mia voce non è che un grido.
Non sai come guardarmi
– mai
il mio leggero strabismo
che voi tutti dite di Venere
lo porto come trono di finissima ceramica
sulle spalle cieche, sui piedi e le dita dolenti
e tu pensi di farmi accomodare
con veemenza pure
non ti accorgi del tuo passo gigantesco
il sussultare della terra
la perdita d’equilibrio
direttamente proporzionale alla tua vicinanza.
Sei venuto a parlarmi in assenza di iperboli
ti tremavano le dita smagrite
non era emozione a spingerti ma il tuo cuore guasto
– mi ripeti il tuo futuro mentre scarnifichi le unghie
e il mio nome che era composto nel tuo,
ti ammonisco con una sberla sofferta sulle mani, ignorata
e riconosco che il mio nome è mancante e libero.
Gaia Boni
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