Persuasione, da Jane Austen al cinema
Persuasione è l’ultimo romanzo di Jane Austen, che arriva cinque anni dopo Orgoglio e pregiudizio. Scritto poco prima della sua morte, non fu revisionato dall’autrice prima della pubblicazione, in quanto Austen morì prima di averne il tempo, nel 1817 (il romanzo uscì postumo l’anno seguente).
Prima e durante la stesura di questo romanzo, nella vita della Austen ci furono grandi cambiamenti dal punto di vista personale ed economico: si ammalò e in seguito alla morte del padre fu costretta a lasciare Steventon, dove era cresciuta. Questi cambiamenti e queste coincidenze che ritroviamo in parte nella trama di Persuasione hanno spinto alcuni studiosi a considerare Anne, l’eroina del romanzo, l’alter ego di Jane Austen.
Anne Elliot è la figura femminile più complicata e matura della scrittrice. Jane Austen ha dato vita a numerosi personaggi femminili come Emma Woodhouse o Elizabeth Bennet, tutte figure multistrate, intelligenti e all’avanguardia. Di solito non associamo Jane Austen alla tristezza o alla depressione, ma ci sbagliamo, perché c’è un personaggio speciale che si è sempre distinto tra le sue eroine letterarie, ed è Anne Elliot.
Malinconia e tristezza costruiscono lo sviluppo dell’intero romanzo. Anne Elliot si concede il lusso di essere triste, di non nasconderlo agli altri e di arrabbiarsi. Non le importa di ciò che la società potrebbe pensare di lei. La morte della madre durante la sua giovinezza e la perdita del vero amore lasciano sicuramente il segno su di lei. Da allora, si rassegna a vivere come responsabile del benessere della sua famiglia, senza che nessuno si preoccupi per lei, si offusca con il tempo, e questo la lascia vulnerabile e opaca.
Trama
Questa è una storia d’amore tra una ragazza ormai ventisettenne e un marinaio appena tornato in patria. Anne ha perso l’amore alcuni anni prima, e da allora non è riuscita a sposarsi. Ha una sorella più grande, anche lei nubile, mentre la più piccola Mary, è sposata con Charles Musgrove e vive ad Uppercross Cottage. Anne appartiene a una famiglia nobile ma in decadimento: il padre, Sir Walter Elliot, è un baronetto che riesce a vedere altro che sé stesso.
In un mondo privo di novità si inserisce la storia d’amore di Anne. Sette anni prima, innamorata del Capitano Wentworth, ha rifiutato la sua proposta di matrimonio sotto il “saggio” consiglio di suo padre e Lady Russell. Anne non dovrebbe sposare Wentworth perché lui non possiede nulla, non ha un’eredità e per giunta è un marinaio, mentre lei appartiene a una classe sociale più alta. Quel matrimonio, perciò, non sarebbe stato una scelta prudente, poiché avrebbe significato introdurre un cambiamento all’interno della famiglia che non sarebbe stato accettabile.
Pertanto, sette anni prima, rispetto alla narrazione, Anne ha rifiutato il capitano nonostante ne fosse innamorata e lui è partito subito dopo. Anne è stata persuasa a compiere la scelta prudente, salvo poi scoprire che in realtà si trattava di quella sbagliata: nessuno le ha più chiesto di sposarsi e il dolore per la perdita del suo amore l’ha consumata.
Una storia rivolta al passato
Questa è la cifra caratterizzante di questa storia d’amore, ben diversa da Orgoglio e pregiudizio: il futuro, infatti, non è una speranza di matrimonio, ma è diventato un continuo rimpianto. Tutta la storia è attraversata da questo senso di ricordi del passato, attraverso i quali si può arrivare ad avere una seconda possibilità. È come se fossero sempre presenti due tempi, in modo speculare, e così anche due Anne: quella del passato, giovane e ingenua, e quella presente, dove i due protagonisti si ritrovano ma non sono più quelli di un tempo. Anne è sicuramente cambiata.
Dopo un bel po’ di anni, Anne si ritrova faccia a faccia con il capitano: lei è sicuramente invecchiata e il suo titolo nobiliare non vale quasi più niente, mentre lui è un bell’uomo che ha speso molto del suo tempo in marina ed è in cerca di una moglie.
La storia si sviluppa come una sorta di monologo interiore in modo molto diverso da Orgoglio e pregiudizio, la cui narrazione invece è portata avanti interamente daldialogo. Eppure, si può dire che anche qui la protagonista non sia libera dai pregiudizi. Vive gli atteggiamenti del capitano come indifferenza e non sa, se come lei, anche lui pensi al passato. Anne è un narratore inaffidabile che non ha fiducia nelle sue possibilità. Si sente indegna rispetto a Wentworth e pensa che non avrà mai una seconda chance.
Persuasione al cinema…
Persuasion è, finora, il punto di arrivo, la chiusura di un ciclo nella letteratura austeniana. Il rifacimento cinematografico del capolavoro di Austen risale la prima volta al 1995 per la regia di Roger Michell, per poi conoscere una seconda versione nel 2007, con la regia di Adrian Shergold.
La versione del 1995, inizialmente prevista soltanto per la tv, è un film di grande bellezza, uno dei migliori adattamenti austeniani mai realizzati, ed è anche una pietra miliare lungo la strada dell’affermazione di Jane Austen come fenomeno di massa, regina della cultura popolare contemporanea.
La trasposizione cinematografica è tutta sviluppata all’insegna del più ricercato realismo, fedelissima alla realtà che viveva l’autrice: i luoghi e le case sono veri, un po’ disordinati e dall’aria davvero usata; le strade sono sempre tendenzialmente sporche, piene di pioggia e fango e altri detriti; gli abiti stessi, pur accuratissimi, non sono certo inamidati e immacolati, ma vissuti (da notare l’intoccabilità decadente che emanano gli abiti di Sir Walter).
Gli stessi attori sono truccati e pettinati nel modo più naturale possibile, con i capelli che si muovono con loro e con il vento (una naturalezza che contrasta, in positivo, con le immobili e improbabili parrucche usate in ben più decantati adattamenti), e con volti espressivi che non temono i numerosi ed impietosi primi piani voluti dal regista. La luce degli interni, invece, ricrea abilmente quella che deve essere stata la reale quantità di luce degli ambienti dell’epoca, illuminati a candela nelle ore di buio: nel film non è mai dato vederli in piena luce se non di giorno, e di sera le fiammelle delle candele proiettano nitidamente una luce fioca gialla e danzante.
E quanto è bello l’inizio del film, tra le onde del mare con i marinai che possono finalmente festeggiare perché la guerra è finita, ed è finita bene, scongiurando la temuta invasione del Mostro, Napoleone. È un omaggio agli uomini che fecero l’impresa, sì, ma anche alla marina britannica, grande protagonista del romanzo e tanto amata da Jane Austen stessa, che aveva ben due fratelli nella Royal Navy. La marina operosa e vittoriosa rappresenta un’intera classe sociale emergente, la borghesia, che sta ormai soppiantando la decadente e ormai inutile aristocrazia – un tema portante del romanzo che il regista è stato attento a non trascurare.
La vittoria finale di Anne Elliot in questo film, del resto, viene celebrata proprio nell’ultimissima scena opportunamente condivisa con il Capitano Wentworth: i coniugi sono pronti a cominciare la loro nuova vita insieme sulla nave, lungo i mari, verso un mondo nuovo. Il lavoro attoriale di Amanda Root è perfetto nel dare vita a Anne Elliot, assecondando l’impostazione voluta dal regista per “far parlare” l’anima e la mente della protagonista. Ad esempio, a casa Musgrove, nel rivedere il Capitano per la prima volta dopo tanti anni e dispiaceri, Anne non vacilla e resta perfettamente padrona di sé stessa – se non fosse per quel gesto furtivo della mano, che si appoggia alla sedia stringendola forte, su cui indugia la machcina da presa e che testimonia il suo sconvolgimento interiore.
Il merito dell’adattamento del ’95
Vale la pena ricordare qui che una delle cifre stilistiche del film è il primo piano sulle mani dei due protagonisti, soprattutto quando entrano in contatto e raccontano un legame esistente ma ancora inespresso: non a caso, la loro tanto travagliata unione alla fine viene celebrata con uno stacco sulle loro mani giunte. Nel corso del film, l’attrice segue fedelmente il processo di rinascita che Jane Austen dipinge finemente nel romanzo. Il suo modo di muoversi, di camminare, di guardare e parlare cambiano nel corso del film fino a compiere una vera trasfigurazione nella scena del ricevimento nella casa degli Elliot a Bath, dove l’obiettivo segue Anne in una lunga, serena e regale camminata nella sala affollata da tutti i personaggi della vicenda, mostrandosi finalmente rifiorita, elegante, solida, padrona della propria vita.
Questo realismo è un esempio più unico che raro nel panorama di tali adattamenti e ci permette di entrare nel mondo di epoca georgiana vissuto e raccontato da Jane Austen stessa senza i filtri moderni, ricreando sullo schermo un effetto assai vicino allo stile coinvolgente e senza inutili orpelli dell’autrice. Un adattamento fedele allo spirito pungente e poco ironico del testo di partenza, sostenuto da una regia che lavora molto su dettagli e primi piani, cercando di offrire una visione più intima e diretta possibile dei personaggi e regalandoci un interessante esempio di cinema letterario dotato di un’anima.
Anna Chiara Stellato