Beato chi capisce! è questa la sentenza con cui si apre Io e Bafometto (Wojtek) il libro d’esordio di Gregorio H. Meier che fin dalle prime righe prova a ribaltare i ruoli, a capovolgere la realtà. Un giovane di trent’anni, «scioperato», si ritrova a tu per tu con il diavolo (Bafometto) e da qui inizia la sua avventura che prevederà incontri fantastici, destini alterati e viaggi lunari. Il mondo si sovverte nella prima riga, la proverbiale beata ignoranza diventa sapienza, ma una sapienza disillusa, provocatoria e consapevole di avviare una narrazione dove, più che mai, a essere sospesa dev’essere la comprensione così come comunemente la intendiamo.
A muovere l’azione è il desiderio del giovane Alchino di conoscere, nel più rapido dei modi, il maggior numero di nozioni sugli argomenti più svariati, nella speranza che la somma di queste dia risposte alle domande che si pone sui misteri della vita. Intorno a sé una sterminata biblioteca che da un lato dovrebbe aiutarlo nell’impresa dall’altro mostra i limiti della conoscenza umana (La sapienza è una cornacchia | che strappa occhi dalle orbite | che gracchia. Non lo diresti | ma dietro i modi sommessi | dei gesti, delle parole | ogni scienza ci recita | requiem e padrenostri). E così, proprio perché deluso da questo limite, Alchino si dedica alla magia nera per evocare Bafometto e intraprendere un viaggio nei cieli che a tratti ricorda quello più celebre dell’Astolfo ariostesco. La tradizione è quella delle narrazioni luciferine (Dante, Mann, Goethe), il genere è invece la satira menippea, rispettata in tutte le sue caratteristiche: prosimetro, stile serio-comico, punto di vista privilegiato, presenza di più piani narrativi per spostare l’azione (il viaggio verso la luna). E poi: il sovvertimento dell’ordine del mondo per evidenziarne le storture, guardarlo in controluce e provare a comprenderlo meglio di prima.
Infine Bafometto mi fu di fronte, quell’omuncolo dal fisico così risicato che a incontrarlo in città non farebbe paura nemmeno a un passerotto. Il cerchio gelido della pistola mi premeva deciso sulla fronte. Vidi scintillare una luce vivace nel suo sguardo. Mosse appena le labbra sottili, acciottolò poche parole: «Oggi è il giorno, sì! Oggi indagherò a fondo il mistero della vita. Che ci faccio qua? Perché Questo Tutto e non il nulla? Esiste un senso, un fine – Dio? Ma soprattutto: chi sono io, davvero? Un sapiente? Un pazzo? Un poeta? Qual è la mia faccia?». E, detto ciò, il diavolo premette il grilletto una, due, tre volte: PAM! PAM! PAM!
Quella di Bafometto è però solo una delle storie presenti nel libro di Meier. Alle pagine con l’astuto diavolo che «sa di più» si accostano quelle del puer perso nel labirinto o la riscrittura di miti quali quello di Edipo e quello di Teseo.
La commistione di elementi di varia natura e di forme diverse lascia – a ragione, anche per i richiami all’opera di Luciano di Samosata – pensare che l’insieme delle narrazioni contenute nel volume possa racchiudersi sotto l’etichetta, come detto, di “satira menippea” ma, ancora, Io e Bafometto può anche essere recepito come moderna raccolta di racconti dove, appunto, è la forma – oltre ai temi – a essere messa in discussione creando un originale cortocircuito tra materia classica e contemporanea. Eppure, a prescindere dalla catalogazione letteraria che il testo può subire, ciò che realmente domina la pagina in Io e Bafometto è la libertà espressiva, le possibilità narrative, i nodi e snodi di trama a cui il linguaggio può ricorrere se messo in condizione di poter essere prosa o poesia, le variazioni di senso accompagnate da giochi lessicali o l’oggettiva correlazione ad aspetti condivisi del nostro immaginario.
La mente per conforto
architetta trionfi
in pancia. Nel retino
carpe, siluri, lucci
i sogni che con poco
ci scrollano dai crucci.
Antonio Esposito
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