Manodopera (Mano de obra) è un libro dell’autrice cilena Diamela Eltit uscito in lingua originale nel 2002 e in Italia lo scorso anno per i tipi della Polidoro editore nella sapiente traduzione di Laura Scarabelli. È un testo che ha fatto parlare molto di sé e che ha dato molto da riflettere: difatti, sta già per uscire la prima ristampa.
Si tratta di un’opera complessa e stratificata, dai molteplici piani di lettura. Di per sé, il libro è diviso in due parti: nella prima, intitolata El despertar de los trabajadores [il risveglio dei lavoratori], ci troviamo dentro la testa di un anonimo narratore di un supermercato; la seconda, Puro Chile, è costituita da brevi capitoli che hanno come ambientazione l’appartamento di un gruppo di lavoratori del supermercato. Comune a entrambe le parti sono dunque due entità: l’operaio e il supermercato, quest’ultimo inteso come paradigma di una struttura ampia e mondializzata, simbolo del neoliberalismo. In una lunga diretta su youtube, l’autrice ha spiegato che del supermercato le interessava principalmente l’idea del mercato come breccia creativa.
Tramite l’ambientazione del supermercato, Diamela vuole tematizzare la tragedia del lavoro oggigiorno, intrecciandolo allo stesso tempo al passato. Un tratto distintivo dell’opera, che forse trascende qualsiasi tipo di categorizzazione (romanzo? raccolta di micro-racconti?), è la paratestualità [1]: tutto il libro è costituito tramite un montaggio testuale che ostenta una giustapposizione tra le sue parti. Si comincia con la citazione di Sandra Cornejo in apertura, tratta da Un abedul [una betulla], in cui è contenuto un invito a ripensare alla storia in luce del suo presente. A seguire, il titolo della prima parte nonché dei lunghi monologhi in esso contenuti: sono tutti titoli di periodici di sinistra, allusioni a retaggi storici e fortemente politicizzati. Quando poi si va a leggere il monologo del narratore-impiegato, si crea una forte tensione così come un grande contrasto tra la fonte dei titoli dei capitoli e il discorso completamente apolitico di chi parla.
L’operaio in Manodopera è cosificato (come si vede nella splendida copertina a cura di Adriano Corbi), il suo corpo lacerato, e la rabbia che possiede viene espressa nel linguaggio:
Il mio udito raccoglie l’insulto e lo amplifica al punto da produrmi una sottile lacerazione alle tempie. La terribile e devastante parola che mi rivolgono rimbomba nella mia testa e mi fa stare male. Mi ferisce e mi perfora, la parola, aprendomi uno squarcio nel rene. Mi ferisce. Mi perfora.
La lingua è un elemento molto centrale e a cui Eltit è molto attenta, e lo conferma il fatto che tra la prima e la seconda parte avviene una vera e propria cesura: sebbene anche il titolo della seconda parte sia un riferimento ben preciso (il giornale della Unidad Popular, il partito politico che appoggiava la presidenza di Allende), i titoli dei capitoli sono banali, mancano della paratestualità della prima parte. A loro volta, la lingua dei personaggi non è più la violenta prosa morbosa del primo narratore, ma è un racconto caratterizzato da determinati tratti sociolinguistici, in cui si nota una particolare esplosione dell’oscenità (in particolare nell’eloquio di uno dei personaggi, Gloria).
Per concludere, Manodopera è un’opera volutamente non immediata (di grande aiuto è la ricca e curata nota critica a cura della traduttrice) e che è diretta a un particolare tipo di lettore, ovvero il lettore attivo. Tutto il testo è caratterizzato oltre che da paratestualità anche da metatestualità (la prima parte finisce non casualmente con la frase: «Bisogna porre fine a questo capitolo») e il discorso neoliberale del mercato si allarga infatti anche al discorso stesso della letteratura: Diamela cerca di attivare il lettore affinché rompa il ciclo del consumismo passivo che impone il mercato anche a livello critico. Nelle sue stesse parole:
Al mercato non preoccupa né interessa né necessita lettori letterati, bensì soggetti monetari, gran parte di questi lettori sono l’effetto di una operazione di mercato che è il sostentamento del progetto politico neoliberale […] una sensibilità light che è la forma di comunicazione dominante ma che, e questa è la cosa più interessante, finisce per bloccare qualsiasi domanda letteraria, impedisce l’inevitabile e legittima domanda critica attorno alla cultura. [2]
Giovanni Palilla
Note:
[1] Colomina-Garrigos, Lola: “Paratextualidad y metaffición como discurso contestatario a la lógica capitalista en Mano de obra de Diamela Eltit”. Confluencia, vol. 27 N. 1, 2011.
[2] Eltit, Diamela: “La compra, la venta”, Nueva narrativa chilena (ed. Carlos Olivarez). Santiago de Chile: LOM, Ediciones, 1997. 57-60. Print, pp. 58-59.
Fonti:
Niebylski Dianna C.: “Entre el elogio banal y el insulto soez: la vulgaridad como amenaza a la colectividad obrera en Mano de obra de Diamela Eltit”. Taller de letras, 57, 2019.
Pérez-Hidalgo, Rubén: “Tres caras de una misma moneda. El Tungsteno, Puerto Apache y Mano de obra”. A Contracorriente: Revista de Historia Social y Literatura en América Latina, Vol. 10, N. 3, 2013.
Rios, Marina Cecilia: “Mano de obra by Diamela Eltit: Bodies on Stage, Transpositions between Literature and Art. Perifrasis. [online]. 2020, vol.11, n.22.
Rodriguez, Fermín A.: “Abierto las 24 horas: estética y (súper)mercado”. A contracorriente. Vol. 16, Num. 3. Dossier “El cuerpo del trabajo”, coord. Alejandra Laera & Fermín Rodríguez (Spring 2019).
Scarabelli, Laura: “Il mondo-supermercato di Diamela Eltit: un esercizio di lettura”. In: Eltit, Diamela, Manodopera, nota critica, 2020. Alessandro Polidoro Editore: Napoli.
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