Esce in questi giorni l’ultimo romanzo di Flavio Ignelzi, Fai ciao, per Polidoro Editore. Dopo la notevole raccolta di racconti I punti in cui scavare, Ignelzi torna al romanzo con un romanzo di decostruzione, in cui il suo protagonista scende sempre più in profondità nel proprio inferno personale.
La prima particolarità di questo libro è l’intreccio. La storia è montata al contrario – fatto salvo l’epilogo – permettendoci di di entrare in scene slegate – quasi fossero racconti – del cui contesto sappiamo ben poco. Scopriamo nelle prime pagine che Samuel odia la madre, ha avuto un qualche incidente con un compagno, parla con qualcuno di indefinito al telefono e che suo padre è assente. Elementi, questi, che ritorneranno a ritroso nel romanzo, ricostruendo una storia forte su un’adolescenza in fiamme.
Samuel è un ragazzino che vive una situazione familiare disastrosa. Una frase che potrebbe essere alla base di moltissimi drammi della narrativa di sempre. Ma Samuel non è il classico ragazzino che soffre la sua famiglia. Samuel è esasperato. Samuel vede e sente ciò che i suoi genitori neppure provano a nascondergli. E così fugge. È il primo passo del suo percorso: staccarsi dai genitori, dal confort di una casa, ma staccarsi anche dalle urla e dai problemi che non è possibile dimenticare. Un viaggio in solitaria, un viaggio che Ignelzi ci presenta come fosse emblema di altro. Di una vita a scuola di ulteriore isolamento, di un rintanarsi nella musica perché nessuno sembra capace di ascoltare e comprendere ciò che sente.
Un viaggio di breve durata, perché la fuga dai problemi – per quanto possiamo desiderarla – non è mai la vera soluzione. Ignelzi prende un ragazzino solo, traumatizzato, con i nervi ormai pronti a collassare e lo mette in condizione di andare oltre ogni suo limite. Ed è proprio nel percorso a ritroso che risulta evidente quanto le cicatrici siano profonde e quanto azioni a prima vista prive di importanza assumano via via senso.
Fra tutti i personaggi di Fai ciao, Arabella e il padre di Samuel sono gli unici capaci di tirar fuori emozioni al ragazzo. Una per telefono, in lunghe chiacchierate dal sapore acidulo, l’altro direttamente, anche lui in forma sempre più strana, più lo sviluppo della sua storia diventa chiaro. Ed è emblematico, considerando le rivelazioni sui due personaggi nel corso del viaggio à rebours, poiché viene messo in luce quanto la solitudine sia radicata. Quanto un ragazzo non sia pronto – forse nessuno di noi lo è – a percorrere quel tracciato da solo, le parole mai pronunciate bloccate nello stomaco a macerare odio.
Maurizio Vicedomini
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