Densità, romanzo d’esordio di Raffaele Notaro (edito da Mondadori), racconta la storia di un’amicizia speciale tra Filippo e Gabriele, compagni di scuola e compagni di squadra nella società di nuoto. Filippo e Gabriele sono un’improbabile coppia: incarnazione di successo innato il primo, impacciato e impopolare il secondo. La loro amicizia, che sembra fatta di due densità diverse e incapaci di mescolarsi tra loro malgrado il contatto fisico, è la chiave per capire tutti i segreti che ruotano intorno alla figura di Filippo, tragicamente scomparso in un incidente i cui contorni restano avvolti da un’aura di mistero, una fatalità che oscilla tra il suicidio e l’omicidio, a seconda degli umori e delle dicerie che serpeggiano in paese, Castel Carpino, luogo immaginario dalle forti rassomiglianze con la provincia dell’Italia centro-meridionale.
Terra e acqua sono i due elementi predominanti nel romanzo. La terra, che dà lavoro, sostentamento e vita agli abitanti, si lascia ricoprire di fiori belli e piante commestibili ma a volte può essere implacabile nel portare via la vita delle persone, come nel caso di una immensa frana nella quale la nonna di Gabriele aveva tanti anni prima trovato la morte. La memoria di quella frana è viva nel ricordo della piccola comunità, che ne tramanda la memoria come una minaccia ancora incobente. È facile ricostruire nel pensiero come andarono i fatti anche per chi non era presente: la terra si era mischiata all’acqua delle piogge incessanti, che ne avevano modificato la densità, e la nuova densità della montagna aveva ceduto parte della propria energia potenziale sprigionando energia cinetica, fino a smottare rovinosamente e a causare un disastro. Potremmo dire che la densità in questo romanzo è il metro per misurare vita e morte, sopravvivenza o rovina, e il contesto nel quale si svolgono i fatti ha tutto il sapore di un monito per chiunque pensi di intervenire artificialmente nelle relazioni e nelle leggi della natura.
L’altro elemento predominante è l’acqua. Le nubi minacciose che si stagliano sul cielo di Castel Carpino hanno un corrispettivo nell’acqua della piscina dove si svolgono gli allenamenti settimanali, le gare e dove, infine, dove si consumerà la tragedia. La liquidità di questo elemento scivola addosso con naturalezza su Filippo, che nell’acqua trova il suo habitat più consono, mentre è costretto a convivere con enormi resistenze al di fuori di essa. Resistenze che non dà a vedere per recitare l’incarnazione del ragazzo perfetto, ma che lo rendono forse la persona più triste del mondo. L’acqua è per lui simbolo di facilità e assenza di preoccupazioni, ma anche metafora di morte e rinascita, come in un rito ancestrale, come la pratica del battesimo, che simula il perimento nell’immersione e nell’emersione la rinascita.
In questo romanzo corale le voci si intrecciano creando una suspense che attinge con moderazione al genere noir, ma l’indagine sulla morte di Filippo non ha alcuna velleità procedurale o poliziesca. Si tratta piuttosto di un’indagine spirituale, dove il piano reale si interseca con quello onirico e con quello metafisico, mostrando le sfaccettature di un mistero che non si può carpire pienamente. Nella moltiplicazione di angoli e punti di vista, ciascuna voce racconta la propria verità su Filippo, una verità parziale, soggettiva e distorta dalle emozioni, mentre spetta al lettore mettere insieme i pezzi di questo mosaico psicologico e trarre le opportune conclusioni.
Bisogna riconoscere a Raffaele Notaro la spiccata capacità di rivelare nelle relazioni umane la stessa frammentaria ambiguità che si sperimenta nella vita reale. Non è questo, infatti, un romanzo dove bene e male sono divisi con il taglio netto delle favole; bene e male, al contrario, si mischiano qui in parti variabili e coesistono nelle azioni e nelle responsabilità di ciascun personaggio. Per questo non è un noir o un poliziesco tout court: in presenza di un delitto, gli autori possono essere molteplici, e i confini delle responsabilità tra l’uno e l’altro sono sfumati dal dolore e dall’incomprensione, dall’amore e dall’imprudenza.
Giuseppe Raudino
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