I film da riscoprire: The Forty-Year-Old Version
Non è difficile capire il perché del silenzio intorno a The Forty-Year-Old Version. Già dall’anteprima, disponibile su Netflix, si intuisce quanto sia lontano dal canone cui la nostra educazione hollywoodiana ci ha abituato. In bianco e nero, con una donna afroamericana come protagonista e un umorismo da commedia sofisticata: non esattamente il film che t’aspetti faccia il record d’ascolti in prima serata. Ma se dovessimo dar retta solo alle sponsorizzazioni e al box office, noi cinefili non avremmo più pane per i nostri denti, no?
Uno dei migliori film dell’anno
In America, The Forty-Year-Old Version ha vinto il premio alla miglior regia al Sundance Film Festival ed è stato inserito nella lista dei migliori film del 2020 dal National Board of Review. Solo pollici in su e recensioni positive, con tanto di pronostici su eventuali nomination agli Oscar. In molti l’hanno salutato come uno dei migliori debutti dello scorso anno. La firma, però, come preannuncia il titolo, è di tutt’altro che una novellina. Radha Blank, che di The FYOV è autrice, regista e attrice, porta tutta la sua esperienza di sceneggiatrice ed entertainer, e non solo quella.
Radha è anche il nome del suo personaggio, in questo film che è evidentemente semi-autobiografico. È una donna di colore sola con residenza ad Harlem, cui oltre una decade prima si prospettava una brillante carriera nel teatro. Ora che i quaranta si avvicinano, tutto ciò che rimane di quelle aspettative è un premio “30 Under 30”, una sorta di targa ai giovani prodigiosi da tenere d’occhio. «L’abbiamo fatto» commenta caustico il presentatore di un fittizio programma «ma dove si è cacciata?». Radha non ha scritto più niente dal 2010, e così quel premio tanto rivangato con ossessiva nostalgia è diventato una prematura lapide nel suo curriculum. E la promessa di un futuro successo garantita dal suo potenziale si è trasformata in un macigno che pesa eccome.
Black poverty porn
Mentre attende che un suo copione veda la luce di un palcoscenico, Radha si guadagna da vivere come insegnante, ma è tanto evidente che non vorrebbe essere lì. Come chiunque abbia fiducia – anche eccessiva, probabilmente – nel proprio talento, questa donna si impegna assai poco per nascondere la sensazione di essere sprecata per quel ruolo. Radha non ha il coraggio di affrontare i suoi ragazzi come una brava insegnante dovrebbe, e certamente neanche la voglia. D’altro canto loro la sostengono (quasi tutti, almeno) e idolatrano come una Shakespeare della comunità nera, ma giusto perché avere un punto di riferimento sgangherato è sempre meglio che non averne affatto.
La grande occasione le si (ri)presenta quando il suo agente e migliore amico riesce a procurarle un ingaggio. Harlem Ave., il suo dramma su una coppia di commessi afroamericani in un quartiere rinnovato dalla gentrificazione, ottiene finalmente una chance, ma prima di andare in scena dovrà passare per diverse riscritture. Il produttore sostiene che non si percepisca che sia stato scritto da una donna di colore. Radha ritiene che sia solamente ossessionato dal black poverty porn. Insomma, di cosa dovrebbe parlare un dramma perché sia autenticamente afroamericano? Di una madre che si buca in un vicolo, si chiede Radha? E cosa significa, soprattutto, scrivere un’opera che porti il segno di una donna di colore? Forse che a uno sceneggiatore di colore si richiedano delle marche distintive che possano identificarlo come tale? È il grande dilemma di Radha che la accompagna in buona parte del film: riscrivere le sue stesse parole per compiacere il grande pubblico bianco.
Find Your Own Voice
È alquanto ironico, però, che la Radha del film riversi la sua creatività in un’alternativa carriera da rapper. Insomma, nel genere musicale di più largo successo e diffusione che sia a matrice ed espressione afroamericana. La vera Radha Blank, poi, quella che scrive e dirige, farcisce il film con una colonna sonora fatta di pezzi jazz e hip-hop, mentre ci nomina Coltrane e Quincy Jones. Di più, confeziona un’opera che ha molto di Spike Lee, e un po’ anche di Lee Daniels e Barry Jenkins. Ma soprattutto Spike Lee e il suo Lola Darling, a cui non ha mai fatto mistero di dovere molto. Questo perché Radha Blank è, dopotutto, un’afroamericana, e non è un caso che il suo copione sia ambientato proprio ad Harlem e abbia per protagonisti due giovani neri che lavorano in un negozio di alimentari.
In un senso più ampio, Radha Blank è anche una donna, vicina ai quaranta e a una crisi di mezz’età, politicamente scorretta, facile preda all’ira e profondamente insoddisfatta. Colore della pelle a parte, non è impresa ardua mettersi nei suoi panni quando lei stessa non vorrebbe starci. Quando si guarda allo specchio e non le piace come si vede. Quando tenta di convincere e di convincersi che ciò che ha da dire vale la pena di essere ascoltato. Lei, che voleva solo essere un’artista, ma che sta ancora cercando la propria voce – FYOV, acronimo di Forty-Year-Old Version, sta anche per Find Your Own Voice.
La vera voce di Radha Blank
Si può dire che Radha Blank la sua voce l’abbia cercata a lungo, o perlomeno il modo di farla venire fuori. La sua vita – della vera Radha, intendiamo – è piena di copioni che non sono mai usciti dal cassetto. Ma si può anche dire che alla fine l’abbia trovata, in quest’opera che non è solo un notevole lavoro di dialoghi e narrazione, ma anche di estetica e composizione. I frequenti primi piani sul volto di Radha avvicinano al movimento interiore del personaggio e restituiscono la presenza dell’attore, in uno spazio che è quasi sempre rarefatto (come nei teatri di cui a stento vediamo la platea). Gli improvvisi movimenti di macchina, il montaggio sporco, i long take e certamente pure il bianco e nero sintetizzano una personale esposizione che è la sua visione – la sua storia, la sua versione, la sua voce.
The Forty-Year-Old Version è disponibile alla visione su Netflix.
Andrea Vitale