Per una volta abbiamo deciso di andare controcorrente rispetto all’obiettivo di questa rubrica. I film da riscoprire nasce infatti con l’intento di ridare visibilità agli invisibili, a tutto quell’immenso sottobosco cinematografico che viene ingiustamente spazzato via dai film da Oscar e dai campioni al botteghino. Suggerendovi, a nostro modestissimo parere, quei titoli che potete ripescare nella vastissima offerta delle piattaforme, o in alternativa negli store. Ma non stavolta: il film di cui vi vogliamo parlare oggi è praticamente irreperibile.
Uscito nel 1972, Pink Flamingos (raramente citato anche in italiano come Fenicotteri rosa) è il film che più di tutti ha incoronato John Waters come maestro dell’underground. Inizialmente stroncato dalla critica, Pink Flamingos proseguì la sua vita tra i cosiddetti midnight movies: trattasi della pratica tutta americana di proiettare nelle sale, a tarda ora, film a basso costo e rivolti a un pubblico di nicchia, che consentì a inediti capolavori come The Rocky Horror Picture Show di assurgere allo status di cult e di circolare per anni. Soltanto pochi giorni fa il National Film Registry degli Stati Uniti ha inserito Pink Flamingos nel novero di film da preservare, per interesse storico e culturale, accanto a titoli come Nightmare e Il ritorno dello Jedi.
An exercise in poor taste: così recita la tagline sulla locandina. È una promessa che non può deludere le aspettative, anzi, le supera decisamente. Se poteste consentirvi questa visione, vi diremmo che non c’è modo di preparsi all’indicibile susseguirsi di stranezze che è quest’opera d’arte. Girato a Baltimora, la città natale di Waters, ma ambientato nei sobborghi di Phoenix, nel Maryland, Pink Flamingos è la storia di Divine – al secolo la nota drag queen dal medesimo nome – che vive sotto mentite spoglie con il nome di Babs Johnson. La sua abitazione è una roulotte nel bel mezzo del nulla, circondata da fenicotteri rosa di plastica. Le fanno compagnia la madre obesa che si alimenta unicamente a uova e soggiorna tutto il tempo in un box per bambini, il figlio Crackers sessualmente ripugnante e l’amica guardona Cotton.
Il tutto ha inizio quando una coppia di coniugi, i Marbles, apprende che i tabloid hanno incoronato Divine come la persona più disgustosa del mondo. Presi da inenarrabile invidia, i Marbles fanno di tutto per sfidare Divine e rubarle lo scettro: rapiscono ragazze e le rinchiudono nel seminterrato per farle violentare dal loro maggiordomo, vendono i nascituri in un illecito mercato di neonati e alimentano un giro di eroina nelle scuole elementari. Ma pensate che Divine si farà spaventare da tutto questo e possa rinunciare facilmente al titolo? Tutto quanto viene dopo – così come quanto vi abbiamo già svelato – è facilmente reperibile online: potete facilmente informarvi sulla trama su qualche sito in lingua inglese. Ma credeteci; leggere è una cosa, vedere coi propri occhi è tutt’altra.
Pink Flamingos non è solo una rincorsa alla scena più vomitevole e scabrosa che si sia mai vista al cinema: è anche un trattato sull’assurdità ambientato in un mondo che non ammette alcuna logica morale. L’intervento delle forze dell’ordine, sul finale, non è affatto risolutivo, ma alimenta al contrario la spirale di atti insani e riprovevoli. In un film che annovera omicidio, cannibalismo, castrazione, incesto ed esibizionismo sessuale, sembra naturale che tutto culmini nella più famosa scena di coprofagia della storia del cinema – quel celeberrimo finale, in cui Divine raccoglie escrementi di cane appena “sfornati” e li degusta sorridente. Ma non vorremmo tralasciare il momento in cui un pollo viene reso partecipe in quello che diventa così un amplesso a tre.
Pink Flamingos fa parte di quella che John Waters ha definito la sua Trilogia Trash, composta dai successivi Female Trouble e Nuovo punk story, ma nessuno dei suoi film ha più toccato le vette raggiunte con questa autentica perla di volgarità e bruttezza. Si può dire, anzi, che con l’età abbia optato per una condotta più morigerata – il pubblico italiano probabilmente conoscerà La signora ammazzatutti, reduce di svariate repliche televisive. Pink Flamingos resta l’emblema del cinema trash americano ancor prima per fattezze: girato a basso budget, con tecniche di riprese simili a quelle di un qualunque filmato amatoriale, persino il montaggio, la fotografia e la colonna sonora concorrono a un’estetica dilettantesca e di serie B. Non crediate, però, che sia solo un caso o un tentativo malriuscito di fare buon cinema: ci vuole estrema consapevolezza e conoscenza per consegnare ai posteri un’opera imperitura. John Waters ha fatto di Pink Flamingos il manifesto della cultura cinematografica underground, e di Divine un’indimenticabile icona di irresistibile oscenità. Le sue programmatiche parole parlano chiaro da sé: «Kill everyone now! Condone first degree murder! Advocate cannibalism! Eat shit!».
Andrea Vitale
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