La Medusa di Martine Desjardins tra orrore e rivalsa
Se pensiamo alla mitologia greca, una delle più famose figure che torna alla mente è senza dubbio Medusa. La leggenda della Gorgone mortale è stata, nel corso dei secoli, oggetto di studio e rivisitazione negli ambiti più disparati, anche se, nell’immaginario collettivo, rimane ancora salda la credenza di associare a questa creatura un’immagine prettamente negativa e abominevole. Non a caso, la testa anguicrinita e lo sguardo pietrificante sono due delle caratteristiche che hanno reso Medusa un’icona della mostruosità, confinandola all’interno di una rappresentazione che non rende giustizia a questo personaggio poliedrico.
Simbolo di terrore tanto quanto di seduzione, fascino e protezione, la figura di Medusa assume una nuova connotazione nell’omonimo romanzo gotico firmato da Martine Desjardins, giunto in Italia grazie alla casa editrice Alter Ego. Il personaggio nato dalla penna della scrittrice canadese, difatti, deriva tanto dal mito greco quanto da una narrazione volta a valorizzare il lato umano e fragile dell’Io; un connubio, questo, che permette di entrare in perfetta sintonia con i pensieri intimi e sofferenti di una creatura da sempre lasciata ai margini della società e vittima dei più crudeli pregiudizi.
Non ho mai versato una lacrima in vita mia. Né di tristezza, né di rabbia, né di disperazione, né di dolore – ancor meno di riso o di felicità. Nemmeno una piccolissima lacrima di coccodrillo.
La Medusa di Desjardins vive relegata nella casa di famiglia per via di una grave malformazione agli occhi che la rende quanto di più simile ci sia a un abominio. Dopo aver mostrato le sue Difformità alla domestica, la protagonista viene spedita nell’Athenæum, una misteriosa organizzazione che accoglie ragazze affette da malformazioni nel nome di una benevolenza tutt’altro che sincera. In questo teatro grottesco situato quasi ai confini del mondo, Medusa inizia un graduale percorso interiore volto all’accettazione della sua diversità, divenendo a tutti gli effetti portatrice di un messaggio fortemente attuale.
Nel corso della narrazione la protagonista passa da donna-oggetto, desiderata per pura possessione e costretta a sottostare ai giochi brutali dei suoi benefattori, a donna che acquista piena consapevolezza di sé e delle sue potenzialità. Come nell’originale mito greco, Medusa trasforma le sue sofferenze e i suoi difetti in una delle più potenti armi a sua disposizione, innescando così un meccanismo di rivalsa dell’orrore che mira a distruggere tutti quei criteri figli del ripudio del diverso.
Se seguiamo un percorso improntato sulle analogie, a ricoprire il ruolo di Polidette, tiranno dell’isola di Serifo che invia Perseo a uccidere Medusa, c’è l’Athenæum, guidato da uomini che, se non possono dominare, preferiscono annientare, svilire e mercificare, raffigurando la donna come una semplice proprietà. Non è un caso, quindi, che la storia raccontata da Medusa sia diretta al Perseo ideato dall’autrice, uno dei pochi personaggi che, nonostante il tradimento, in qualche modo si discosta dalla figura assunta nel mito. È evidente, però, che le parole di Medusa siano velatamente dirette a tutti i personaggi che nel corso della narrazione hanno scatenato la sua ira.
Non guarderò indietro. Non avrò alcun pensiero per te né per nessuno. Non verserò nessuna lacrima. Ho un cuore di pietra.
Martine Desjardins, attingendo al mito greco, ha dato vita a un personaggio complesso e sfaccettato che, se in prima battuta si rivela incapace di reagire alle ingiustizie del mondo, successivamente, manifesta la sua vendetta con uno spirito feroce e implacabile, simbolo di quella mostruosità che le è stata affibbiata con tanta leggerezza.
Asia Caproni