Di cosa parliamo quando parliamo di cinecomic
Al principio di Spider-Man: No Way Home, una voce fuori campo ci ricollega agli istanti finali del precedente capitolo, quello Spider-Man: Far from Home che si era chiuso con la rivelazione al mondo intero dell’identità dell’uomo ragno. Le voci si moltiplicano mentre sullo schermo prende forma il logo della Marvel, ragguagliandoci sugli ultimi istanti di vita di Mysterio e ricordandoci fondamentalmente dove eravamo rimasti. Due elementi ci suggeriscono che gli eventi in sottofondo hanno una portata mondiale: la notizia che i droni delle Stark Industries hanno procurato numerose vittime, e il fatto che quelle voci appartengono a cronisti di telegiornali. Ciononostante, quando il logo si dissolve, assistiamo unicamente agli effetti che la rivelazione ha sulla vita di Peter Parker: la catastrofe non c’è, le reazioni collettive neppure. Ancora una volta la dimensione globale è stata schivata e un film di supereroi si annuncia un film solipsistico.
Un punto di partenza: il cinema di fantascienza
In un fondamentale saggio sul cinema di fantascienza edito nel 1987, Vivian Sobchack proponeva una definizione ancora imprescindibile sul genere, cui arrivava dopo un’ampia dissertazione sulle precedenti formule snocciolate da critici e studiosi:
Il cinema di fantascienza è un genere che enfatizza le scienze reali, induttive o speculative e il metodo empirico, che interagiscono in un contesto sociale con il trascendentalismo meno enfatizzato, ma sempre presente, della magia e della religione, in un tentativo di riconciliare l’uomo con l’ignoto.
I film di supereroi, conosciuti anche come cinecomic, sono tradizionalmente considerati afferenti alla fantascienza; precisamente, come delle sue ibridazioni con l’action, il fantasy e l’avventura. La stessa espressione di cinecomic ha assunto ormai valenza di definizione di genere a sé, ma le sue caratteristiche restano ridotte a poche nozioni banali – come la presenza di un supereroe – e la misura in cui gli altri generi lo alimentano è indefinita. Potrebbe essere utile ripercorrere le pagine di quello Screening Space di Sobchack come punto di partenza per arrivare a capire di cosa parliamo quando parliamo di cinecomic.
Tra horror e fantascienza
Sobchack analizza le caratteristiche della fantascienza cinematografica per trarne una descrizione aggiornata e soddisfacente, e lo fa soprattutto in corrispondenza di quell’altro genere con cui condivide lo stesso terreno d’azione: l’horror. L’autrice dimentica di citare anche il fantasy, come terzo elemento di quel macrogenere che è il fantastico; all’epoca in cui scriveva, infatti, il fantasy non era ancora popolare come oggi, e forse nemmeno ben delineato nei suoi confini. Nelle conclusioni di Sobchack, l’horror sarebbe invece la controparte della science fiction, quel contesto in cui – per riprendere le sue parole – il trascendentalismo della magia e della religione sono invece predominanti. Nelle intenzioni della studiosa, scienza, magia e religione coesistono in entrambi i generi. Ciò che ci permette di distinguerli sta nell’approccio verso le tre componenti, in quell’empirismo opposto al trascendentalismo: «ciò che distingue la magia dalla scienza, il cinema horror dal cinema di fantascienza, in fin dei conti, sta nella conoscenza di procedimenti e risultati, in ciò che si sa su causa ed effetto». Da questo punto di vista, un film come Doctor Strange può benissimo essere considerato un’opera di fantascienza pur avendo per protagonisti degli stregoni, dal momento in cui ci mostra come funzionano i loro artifici magici e come agiscono i loro poteri.
Sotto un’altra luce, invece, è difficile considerare i cinecomic come science fiction, a partire dalla rappresentazione che offrono del villain. C’è un’altra zona franca che individua la scrittrice, a metà strada tra l’horror e la fantascienza, ed è costituita da quelli che lei chiama Monster e Creature Movies. Si tratta dei film di fantascienza in cui l’umanità e le istituzioni sono impegnate nella lotta contro una mutazione umana di qualche tipo (vedi L’esperimento del dottor K., 1958) o contro un essere appartenente a un’altra specie vivente (Assalto alla Terra, 1954). Al netto delle differenze tra mostro e creatura, queste due figure del cinema di fantascienza appaiono sempre debolmente caratterizzate se non sul profilo estetico, o comunque non viene lasciato molto spazio all’approfondimento delle loro motivazioni. L’attenzione del plot e della resa cinematografica è tutta concentrata su cosa faranno e su quanta distruzione porteranno nel mondo. Questa interpretazione può andar bene per Iron Monger e per il Joker dei primi tempi, ma si adatta ancora anche ai villain di molti cinecomic, le cui motivazioni sono spesso abbozzate, superficiali, riconducibili a un insaziabile desiderio di vendetta che sfocia nella loro sete di potere. Quasi mai, però, il cinecomic pone le cause sullo stesso piano degli effetti: le ragioni che spingono i villain ad agire dalla parte del male sono solo un pallido pretesto per giustificare lo scontro epico col protagonista.
Il villain del cinecomic
Anche quando, proprio in Spider-Man: No Way Home, le tre diverse incarnazioni di Peter Parker collaborano per trovare un antidoto alla metamorfosi dei celebri supercattivi, non c’è mai un momento in cui riusciamo a empatizzare con loro. Fintanto che restano dei “mostri”, dei semi-umani, ciò che fanno o potrebbero fare è più importante del perché lo fanno. Quando i loro corpi ritornano allo stato originario, la camera non indugia più su di loro dopo che il processo è terminato. È più facile calarsi dalla parte di Spider-Man e percepire le sue buone intenzioni che riuscire a stare anche solo per un istante dalla loro parte. Esistono, naturalmente, le inevitabili eccezioni: Loki e Harry Osborn su tutti, in quanto i loro personaggi si spalmano su più di un film. Quello che resta immutato, però, è il rapporto che instaurano col supereroe protagonista.
Il conflitto che il supereroe ingaggia contro il villain, storico o di turno che sia, è sempre un conflitto individuale. Ogni supereroe ha la sua nemesi, almeno per un capitolo cinematografico, a cui è legato da motivazioni strettamente personali. Che siano parenti o siano stati amici, che il cattivo ritenga l’eroe responsabile delle sue sciagure o che voglia impadronirsi del suo potere, lo scontro finale tra i due è sempre inesorabile, come se non potessero fare altro, alla fine, che trovarsi faccia a faccia. Più che cinema di fantascienza, sembra cinema horror: più che l’umanità in rivolta contro gli alieni, contro le macchine o contro sé stessa, è il conflitto del singolo contro il singolo, in una lotta uno a uno.
I grandi scenari
Al contrario del cinema horror, però, gli scenari dei cinecomic sono sempre sconfinati, epici, grandiosi. Alcune di queste storie si sono inventate persino delle città in cui ambientare le proprie avventure, come Gotham City e Metropolis. I supereroi si muovono nei grandi centri urbani, fittizi o reali che siano, e sovente le battaglie che li impegnano coinvolgono l’intera popolazione – o almeno è quanto si direbbe all’apparenza. I supereroi possono viaggiare da un capo all’altro del mondo, finanche tra le galassie, e le rivalità con i supercattivi possono trasformarsi in vere e proprie guerre dai cui esiti può dipendere il destino dell’universo (Avengers: Endgame dovrebbe dirci qualcosa).
I mezzi di comunicazione: stampa e telegiornali
La verità, però, è che lo sguardo della macchina da presa esclude qualunque altra partecipazione che non sia quella dell’eroe (o degli eroi, a seconda del caso). È il motivo per cui nei cinecomic possono crollare interi grattacieli, ma non vedremo mai che fine farà la gente al loro interno. Persino i mezzi di comunicazione così connaturati al cinema di fantascienza – e che l’horror invece esclude, poiché è intento a isolarsi dal mondo – vengono ripetutamente svuotati di significato. I telegiornali e la stampa tradizionale compaiono nei cinecomic per commentare le azioni del protagonista e le sue ripercussioni su scala globale, più raramente per informarlo di nuovi incredibili eventi che potrebbero coinvolgerlo. Cronisti e opinionisti indignati o entusiasti, sostenitori e detrattori dell’eroe si sostituiscono alla narrazione del resto del mondo. Quando un supereroe o un supercattivo si affrontano generando esplosioni, crolli e inondazioni, tutto ciò che importa è stabilire chi avesse ragione. Il resto del mondo semplicemente non esiste.
J. Jonah Jameson è, in questo caso, figura emblematica. Onnipresente denigratore delle imprese di Spider-Man, che titoli contro di lui dalle colonne di un giornale o che abbai davanti alle telecamere di un tg, la sua presenza serve solo a restituirci la vastità della fama dell’eroe. I mass media per cui lavora hanno la funzione precipua di mostrarci che le azioni dei supereroi sono direttamente proporzionate ai loro poteri: grandiose, quindi, e perciò meritevoli di un resoconto in prima serata.
È lo stesso J. Jonah Jameson ad annunciare ai suoi ascoltatori (e a noi spettatori) che una grande battaglia sta per avere luogo sulla Statua della Libertà. Già, proprio il monumento simbolo della nazione americana, l’emblema più riconoscibile di un paese diventa teatro di lotta tra un supereroe – anzi, tre – e i suoi storici nemici.
Lo riduzione della globalità
La statua più famosa viene già in precedenza tirata in ballo per darci notizia che la sua mitica torcia verrà presto sostituita dall’effigie dello scudo di Captain America. Così, quando ci ritroviamo ad assistere allo scontro dei tre Peter contro Goblin, Electro e gli altri, non dovremmo essere sorpresi di rivederla attorniata da impalcature. Eppure mai per un attimo la nostra attenzione viene distolta dai supereroi per concentrarsi sull’immagine stessa della Statua. Non c’è nulla che ci faccia trepidare per i danni che inevitabilmente le saranno arrecati. La Statua della Libertà è usata come scenario per una ambientazione spettacolare, come espediente per addurre maestosità alla narrazione: se uno scontro si risolve tra le mura di un appartamento privato ha certamente meno valore che se avviene attorno a uno dei monumenti più significativi del nostro mondo.
Ma ancora una volta, questa è una battaglia tra Peter Parker e i suoi rivali. Non ha niente a che fare con noi, e la Statua della Libertà, al pari dei telegiornali, non riesce ad assolvere pienamente alla sua funzione di emblema collettivo. Non ha affatto la valenza simbolica e la carica drammatica de Il pianeta delle scimmie, per esempio, dove il suo deterioramento e inabissamento stavano per la rovina generale dell’umanità. Basti pensare che, infatti, nonostante la notizia comunicata da un notiziario di portata nazionale, nessun governo ha inviato elicotteri o truppe per evitare uno scempio al loro monumento. È comunque presumibile che una battaglia tra individui con superpoteri – tra cui un mostro di sabbia capace di ergersi anche al di sopra della Statua – non passi inosservata per gli abitanti di New York. Eppure nessuno accorre. Questa lotta è, e resta, un fatto privato.
Anche nel recente WandaVision succede qualcosa di simile. La protagonista, Wanda Maximoff, ingloba un’intera cittadina in uno scudo di finzione generato dai suoi poteri, che trasforma tutto l’abitato, compresa la sua popolazione, nel set di una sit-com. Quando l’inganno viene svelato, le reazioni degli abitanti di Westview interessano solo nella misura in cui si ripercuotono su Wanda, a cui spetta la decisione di scegliere tra la sua famiglia e il benessere dei suoi concittadini. L’attenzione, comunque, viene ben presto distolta dal dilemma e spostata sull’attacco a Wanda da parte di Agatha, interessata a sottrarle i poteri. Un’altra questione puramente individuale.
Una nuova definizione di cinecomic
Sulla base di quanto detto finora, proviamo ad abbozzare una nuova definizione di cinecomic. Tenendo sempre presenti gli insegnamenti di Vivian Sobchack, potremmo dire quanto segue:
Il cinecomic è un prodotto audiovisivo che tratta le vicende di un individuo dotato di superpoteri, ambientate in un contesto in cui scienza e magia, tecnologia e incantesimi coesistono in ugual misura, ma sempre sotto il segno dell’empirismo dominante. Tali vicende si collocano su scenari di vaste proporzioni, reali o fittizi, spesso coincidenti con metropoli e grossi centri urbani, ma assumono una dimensione intima: concernono con l’esistenza privata del protagonista, con i suoi tentativi di inserirsi nella società e con le sue battaglie contro avversari dotati anch’essi di superpoteri, i quali sono solitamente caratterizzati più sul profilo estetico che su quello psicologico.
Ecco. Probabilmente non sarà esaustiva, ma può essere comunque un punto di partenza.
Andrea Vitale