Racconto: L’uomo con la pistola – Mattia Corrente

Racconto Extra
Quadro: Jaroslav Panuska, Revenge of the Dead, 1898-1901


L’uomo salì in auto. Prima di andare aprì il cruscotto assicurandosi che ci fosse la pistola. Non poteva dimenticare la pistola.

L’uomo con la pistola partì. Conosceva a memoria la strada fino a casa di Paolo. L’aveva percorsa avanti e indietro per anni. Per anni era rimasto a guardarlo rientrare: da solo, con la moglie, con le sue figlie. Perché anche lui aveva figli. La più piccola si chiamava Carla ed era in Erasmus; Sofia invece faceva la giornalista a New York: occhi verde pastello, lunghi capelli ramati che le cadevano a boccoli sul viso cereo.

L’uomo con la pistola fermò l’auto duecento metri prima della casa di Paolo. Scese, fumò una sigaretta seduto sul cofano anteriore, poi sfilò dalla tasca dei pantaloni un barattolo. L’aprì. Lo tracannò mandando giù un boccone di pillole.

Ogni lunedì Paolo tornava dal corso di boxe e in casa non c’era nessuno. Sua moglie, un’infermiera d’esperienza, faceva il turno di notte in ospedale tutti i lunedì.

Era lunedì.

L’uomo con la pistola sapeva tutto di lui. Era stato anche felice per Paolo, qualche volta: quando Sofia aveva detto che sarebbe diventato nonno – la bella Sofia, appena tornata dall’America si era sfiorata la pancia davanti l’uscio di casa e Paolo l’aveva abbracciata carezzandole il ventre; l’ultimo Natale che Carla aveva suonato alla porta facendogli una sorpresa dopo anni di chiamate e distanza. Certo che era stato felice per lui quando gli diagnosticarono per tempo un tumore al colon. Anzi aveva pure pregato, l’uomo con la pistola: «Dio fa che si salvi». E secondo lui Dio lo aveva ascoltato.

Finalmente Paolo era tornato. L’uomo con la pistola l’aveva visto passargli a fianco con l’auto, e l’aveva seguito aspettando che entrasse in casa. Aveva visto la luce accendersi nel soggiorno e poi nella stanza da letto al piano di sopra. Aveva provato a non immaginarselo mentre si sfilava la canottiera appiccicata sul petto bagnato, si calava i pantaloncini, si toglieva le mutande. Ma non c’era riuscito, e gli era venuto il voltastomaco.

Serrò le labbra, inghiottì un grumo di saliva e strinse nei pugni l’odio che aveva amorevolmente coltivato in tutti quegli anni di attesa.

Quando Paolo accese la luce in cucina, solo allora lui prese la pistola dal cruscotto. Prima di suonare alla porta, la nascose dentro i pantaloni coprendola con il maglione. Paolo era di fretta, non guardò nemmeno dallo spioncino, aveva la padella sul fuoco con le cipolle a friggere perciò aprì alla svelta.

«Fammi entrare» gli disse lui, spingendolo appena dentro per riuscire a chiudersi la blindata alle spalle.

Paolo non lo aveva mai visto e indietreggiò di colpo, mise le mani avanti come a volersi proteggere, gli chiese subito chi sei, cosa vuoi, chi cerchi, ma lui non gli rispose.

«Mettiti qualcosa addosso. Andiamo in cucina» gli ordinò lo sconosciuto. Ma Paolo continuava a dire che avrebbe chiamato la polizia e già si era messo in guardia, come un pugile sul ring.

Allora l’uomo con la pistola trasse dai pantaloni la pistola e gliela puntò dritto al petto.

«Ho detto vestiti e andiamo in cucina».

«Aspetta. Mettila via, ti prego. Le mie figlie sono in casa» l’avvisò Paolo, con gli occhi spalancati e il groppo in gola.

«Lo so che sei solo. Vestiti» gli ordinò l’uomo con la pistola, che era felice che Paolo avesse paura, di vederlo sudare paura, di sentire la sua voce soffocata dal respiro ansante.

In soggiorno, con la pistola puntata al petto, Paolo indossò una maglia rossa adagiata sul bracciolo del divano.

Andarono in cucina. Paolo avanti e l’uomo con la pistola dietro, con la pistola puntata contro la schiena di Paolo.

L’uomo con la pistola notò la padella sul fuoco, le uova nel cartone vicino al piano cottura.

«Stavi cucinando. Continua. Fai una frittata anche per me».

Paolo gli diceva cosa vuoi da me, sopra ho dei gioielli, ci sono duemila euro in contanti nascosti nell’armadio, ma lui gli ordinava di cucinare e stare zitto. Allora Paolo ruppe le uova nella padella, prese il barattolo del sale e tremava tutto. Aumentò il gas, aprì il cassetto delle posate e quando quello vide che esitava a prendere la forchetta lo minacciò dicendogli che se avesse provato a usare un coltello gli avrebbe sparato all’istante.

«Com’è diventare nonni?»

Paolo sbarrò gli occhi mentre le uova friggevano: il tuorlo s’induriva, l’albume dorava nell’olio di oliva.

«Sarà bello no?» disse l’uomo con la pistola. «Poi si chiama pure come te» aggiunse, grattandosi la folta barba con la canna della pistola.

Paolo annuì, girò pure le uova ma non gli riusciva di cucinare per uno che voleva ammazzarlo perciò si allontanò dai fornelli, mise le mani sul viso, cominciò a stropicciarselo come a volersi strappare i connotati. Prese un lungo respiro.

«Senti, io non so cosa ti abbia fatto il tizio che cerchi. Ma di certo non sono io». L’uomo con la pistola sorrise. «Spegni il gas, sono pronte. Apparecchia per due».

Paolo si rifiutò, allora l’uomo con la pistola tolse la sicura alla pistola.

Paolo mise in tavola due piccole tovaglie da colazione, due bicchieri, due piatti di porcellana.

«Voglio del vino» disse l’uomo con la pistola. Paolo gli disse che il vino lo teneva in cantina quindi quello si accontentò della birra che c’era in frigo.

Paolo non mangiò un boccone. Quello con la pistola invece cenò con ingordigia. Aveva persino posato l’arma sul tavolo chiedendogli del pane e del formaggio, aveva finito anche le uova di Paolo che era rimasto tutto il tempo con la testa tra le mani a sperare che qualcuno suonasse alla porta.

Quando finì la cena, l’uomo impugnò con una mano la pistola e con l’altra tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un cellulare. Cercò nella galleria una foto quindi gliela mostrò.

Gli occhi di Paolo s’ingigantirono davanti alla foto.

«Santiddio». Non l’aveva riconosciuto. Come poteva? Aveva un altro volto, lui, l’uomo con la pistola, quando era successo. Il tempo ora gli aveva messo sul viso la maschera di un vecchio smagrito, canuto, gracile persino nella voce.

Ma gli occhi neri, quegli occhi neri, erano gli stessi di lei.

L’uomo con la pistola gli sorrise e gli venne spontaneo perché aspettava da troppo tempo quel momento.

«Tu non sai quante volte la rivedo nei miei incubi. Ho le visioni. Mi perseguita. Non smetterò mai di pagare per quello che le ho fatto. Te lo giuro» disse Paolo.

«Non giurare. Ti credo» disse l’uomo con la pistola.

Paolo gli disse che dopo il carcere era stato costretto a prendere ogni sorta di psicofarmaco; la notte, ogni notte, quando andava al bagno, la rivedeva nel corridoio vestita come quella volta, e correva a chiudersi a chiave nella stanza da letto. La rivedeva nelle foto dei compleanni delle figlie. Ogni compleanno, in tutte le foto, lei era al suo fianco, nuda, e che perdeva sangue, rivoli di sangue le correvano lungo le gambe. Lo perseguitava in ogni stanza, angolo della casa, in cortile, quando scendeva in cantina, saliva in soffitta, a volte persino a tavola, durante la cena o il pranzo.

Ormai si era abituato a vederla.

«La stai vedendo anche ora?» disse l’uomo con la pistola.

«Sì» disse Paolo.

«È dov’è?» disse l’uomo con la pistola.

Paolo non rispose.

«Dov’è ora?» gridò l’uomo con la pistola.

«Dietro di te» disse Paolo singhiozzando.

«Dimmi com’è» disse l’uomo con la pistola.

Paolo non rispose.

«Dimmi com’è o ti ammazzo» disse l’uomo con la pistola, e Paolo chiuse gli occhi, ritirò la testa tra le spalle.

«Ha i capelli ricci, lunghi, due ciocche le cadono sul petto e le coprono appena i seni. Ha dei lividi…».

«Sulle guance» continuò l’uomo con la pistola «gliele hai strette mentre urlava, mentre ti chiedeva di lasciarla andare».

«Io non ce la faccio» lo implorò Paolo.

«Continua» disse l’uomo con la pistola, poggiandogli la pistola sulla fronte.

«Le esce della sabbia, dalla bocca. Le esce a fiumi, una fontana di sabbia le sgorga dalla bocca».

«Continua» disse l’uomo con la pistola. «Continua o ti ammazzo».

«Non ha gli occhi, non so perché ma non li ha mai quando la vedo. E ha lo stomaco pieno di graffi e le mutandine…».

«Delle mutandine bianche infilate lì dentro, perché tu dopo che hai finito gliele hai infilate lì dentro» disse l’uomo con la pistola.

Paolo si alzò, si mise al centro della cucina e s’inginocchiò con le mani giunte. Gli chiedeva di perdonarlo, anche lui avrebbe ammazzato uno che toccava le sue figlie. Ma sparandogli non sarebbe cambiato nulla perché indietro non si torna, e poi uccidendolo avrebbe tolto a due ragazze innocenti un padre, e a una moglie che non c’entrava niente un marito. Aveva pagato, in fondo. In carcere lo avevano malmenato, seviziato, aveva perso un rene per colpa dei pugni. Le sue figlie, prima di perdonarlo, lo avevano allontanato come fosse un mostro.

L’uomo con la pistola gli ordinò di restare in ginocchio. Ripensò al processo, alla legge che punisce ma poi libera. Pensò che mai nessuno dovrebbe sostituirsi a Dio, nessuno dovrebbe avere il diritto di togliere la vita a un altro essere umano. Lui sapeva: farsi giustizia da sé è sbagliato. Le colpe dei padri che ricadono sui figli, la vendetta, il rancore e l’incapacità di perdonare il prossimo sono tutte cose sbagliate. Ma lei si era uccisa, cinque anni dopo che Paolo l’aveva violentata.

Tutti dicevano che era stato un incidente, ma l’uomo con la pistola sapeva che no, lei si era uccisa uscendo fuori strada apposta. Aveva accelerato contro quel palo apposta. Lo aveva fatto per morire senza lasciar pensare a nessuno che si fosse ammazzata. Lei non voleva suicidarsi perché amava la vita, ma non la vita dopo che Paolo l’aveva stuprata sulla spiaggia di Mondello.

«Tu l’hai uccisa» disse l’uomo con la pistola, e premette più forte la canna della pistola sulla fronte di Paolo.

Paolo ripeteva di essere dispiaciuto, non sapeva che lei era morta. Si sarebbe preso anche quella colpa ma per favore non doveva premere il grilletto.

«Se potessi tornare indietro me lo taglierei».

L’uomo con la pistola desiderava ucciderlo sin dal giorno in cui lui l’aveva stuprata.

Il prete della sua parrocchia gli aveva detto che no, non era giusto provare quel desiderio di vendetta nei confronti dell’uomo che aveva violentato sua figlia. Gli aveva detto che sì, era difficile, ma doveva provare a obbedire agli insegnamenti di nostro Signore. Lui aveva perdonato persino chi l’aveva crocefisso in punto di morte.

«Ripeti il suo nome» disse l’uomo con la pistola.

Paolo sudava. Il piscio gli colava dai pantaloni: correva lucido sul pavimento della cucina.

«Emanuela».

«Più forte» disse l’uomo con la pistola.

«Emanuela» urlò Paolo.

Il padre di Emanuela alzò lo sguardo al cielo. «Signore: oggi, io, ti disobbedisco».

E premette il grilletto.


Mattia Corrente, classe 1987, è nato e vive in Sicilia, in provincia di Messina. È laureato in filosofia e scienze umane. Ha collaborato come ghostwriter con importanti case editrici italiane. Il suo romanzo di esordio è in uscita per Sellerio Editore.

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