«Entro in enormi stanze vuote, vedo il paziente in lontananza nel suo letto, attraverso metri cubi di niente, gonfiati di follia, dove infiniti mondi coesistono, e, dopo un prolungato viaggio nel silenzio, giungo nell’isola della disperazione, mentre il padrone ha già svegliato i cani e sguainato il coltello. Quando arrivo sono stanco e indifeso. Non so più cosa dire, né cosa fare. Mi conviene indietreggiare verso terra sicura, abbandonando questa scialuppa nel mare infinito».
L’arte di legare le persone (Einaudi) è un viaggio che attraversa il Reparto 77, che apre le porte blindate della mente dei pazienti di cui si prende cura lo psichiatra Paolo Milone.
In ogni paragrafo saliamo su una scialuppa, salpiamo verso mete sconosciute, inattese: a nulla serve l’esperienza, la volontà, la tenacia dei medici che quando entrano si domandano da dove incominciare, come se in quelle stanze in cui c’è tutto da fare, in fin dei conti non si potesse fare nulla se non provare umanità.
Alcuni medici quando entrano nel Reparto 77 si domandano se l’esperienza pregressa potrà aiutarli ma le nevrosi sono vortici mutevoli, imprevedibili, onde che risucchiano, travolgono, tolgono il fiato o colpiscono in piena faccia come i pugni che spesso arrivano davvero.
Ma quelli sono lividi a che passano veloci come quei pazienti che ne lasciano invece altri, invisibili ma molto più profondi: quelli che entrano in silenzio, senza che tu te ne accorga nemmeno perché quando lo fai hanno già aperto la finestra per lanciarsi di sotto.
«I depressi usano l’indicativo passato: io ho sbagliato, io non sono riuscito…
Oppure il presente ma con un profondo legame con il passato: io sono colpevole, io sono fallito.
Gli euforici usano l’imperativo: vieni, fai, compra e usano il futuro: festeggeremo, conquisteremo, ci vedremo.
Gli schizofrenici sbagliano tutto: dicono io sono invece di io ero, io sarò, io sarei, se io fossi.
I caratteriali, sempre all’imperativo: scrivi, dammi, ascoltami, ubbidisci.
I nevrotici sono persone deliziose che usano il condizionale: potrei, sarebbe così gentile…o il congiuntivo: se fosse possibile, se fossi sicuro di non disturbarla».
Percorriamo i corridoi del Reparto 77 ed entriamo in una prigione infinita, di euforici, depressi, schizofrenici, nevrotici. Una prigione in cui si usano tempi e pensieri sbagliati come lo è da sempre chi è considerato “matto”. Sfioriamo la fragilità del dolore, percepiamo l’evanescenza di quella che chiamiamo follia, che esplode e così facendo diventa improvvisamente tangibile e allo stesso tempo incontenibile: ci lascia attoniti, inermi.
L’unica cosa che possiamo fare, e che di solito tendiamo a fare per difenderci da tutto ciò che non riusciamo a comprendere, è cercare di “contenere” il paziente e la sua follia, legandolo al letto e ancorandolo a quella realtà da cui vuole fuggire. Anche se durerà soltanto il tempo di un’iniezione.
«L’arte di legare le persone. Legare le persone al letto. Legare le persone a te. Legare le persone alla realtà. Legare le persone a se stesse. Legare le persone è un’arte. Inconoscibile».
Per non svegliarli o turbarli, li ascoltiamo e ci muoviamo in silenzio, respiriamo piano. E accade qualcosa di meraviglioso: ci contaminiamo.
Sentiamo il profumo della stanza del glicine, entriamo nella stanza magica.
Restiamo incantati dagli occhi grandi di Lucrezia e dalle sue grida che tengono sveglio il mondo, straniti da Emilio che guida una Porsche ma è non riesce a frenare la rabbia; restiamo irretiti da Giulia che è bellissima, che tutti desiderano mentre lei non desidera più niente; ci innamoriamo del groviglio di nuvole che Chiara ha dentro di sé anche quando fuori c’è il sole, sentiamo il profumo delle piante aromatiche e del limoneto che ha seminato su ogni ferita.
Ci amalgamiamo. Le porte blindate non esistono più, i confini si confondono, le pareti del Reparto 77 diventano simili alle nostre: anche noi spesso siamo simulatori, isterici, nevrotici, ipocondriaci, depressi, euforici perché «La differenza tra noi e loro è un tiro di dadi riuscito bene».
«Ti ho accompagnata all’uscita e ho aperto la porta dello studio. Ti sei fermata sull’uscio davanti al mondo aperto».
Paolo Milone maneggia parole e racconti con la stessa cura riservata ai sui pazienti: l’overdose di dolore, quando c’è, è una folata d’aria che spalanca la finestra e si getta di sotto. È cruda, pungente come solo la morte sa essere, ma va affrontata, non può paralizzare:
Si fa un sospiro, si chiude la finestra e lo sguardo sull’abisso.
Ci si ricorda di comprare il pane e il latte prima di rientrare a casa.
Si fa una doccia, anche se il dolore non scivola via insieme all’acqua saponata.
Si va avanti consapevoli del fatto che dietro migliaia di porte chiuse ci sono altrettanti matti che forse nessuno scoprirà mai, silenziosi, riparati nelle loro isole di follie.
Milone tratteggia le storie dei suoi personaggi-pazienti con una modalità simile a quella del neurologo Oliver Sacks che, nella sua raccolta L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (Adelphi), descrive i comportamenti più strambi dei suoi pazienti affetti da lesioni encefalitiche mentre nel più recente Allucinazioni (Adelphi) approfondiscele “visioni” che si manifestano a seguito di malattie e eventi traumatici.
Nelle pagine di Milone si percepiscel’invito a cambiare prospettiva, a trasformare la contenzione in calore, il “legare” in “legame” perché a volte la paura dell’aggressività del paziente può alimentare atteggiamenti discriminanti dove la malattia mentale è percepita come una colpa e non importa che origine abbia, se sia a causa dei genitori, degli insegnanti, di un amore malato, quello che conta è che quanto accaduto ha spezzato qualcosa nella mente (e nel cuore del paziente). L’immagine simbolo dello psichiatra, la sua missione diventa allora quella di riunire i pezzi che si sono spaccati, di raccoglierele schegge che hanno portato alla follia, estrarle dalla mente del paziente ricomporre dai frammenti l’intero: “contenere” significa anche riportare le persone a se stesse, ricostruire con cura degli argini, dei nuovi confini, per proteggere le menti esondate.
Il tema dell’umanità, della cura, dell’abbandono del pregiudizio verso la malattia mentale è evidenziato anche dal romanzo cult Qualcuno volò sul nido del Cuculo di KenKesy (Rizzoli) da cui è stato tratto il film con Jack Nicholson.
La voce narrante si ribalta invece nel libro La ragazza interrotta (Tea) dove a parlare non è più lo psichiatra come accade ne L’arte di legare le persone, ma la paziente stessa, Susanna Kaysen, che riporta la sua esperienza diretta in una clinica degli anni settanta; la vicenda ha ispirato la trasposizione cinematografica con Winona Ryder e Angelina Jolie.
Lo stile di Milone è quello di un quaderno di appunti in cui con il discorso indiretto prendono vita le storie di Lucrezia, Chiara, Gloria, Luciano, tratteggiatein modo vivido grazie al linguaggio asciutto e nudo utilizzato dall’autore: il tema della follia ma narrato invece sotto forma di fiction storica lo troviamo in un romanzo che è stato un recente caso letterario in Francia, Il Ballo delle pazze (E/O edizioni) di Victoria Mas.
Monica Coppola
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