Giù le mani dagli Oscar
Certo che agli Oscar non ne va bene una. Ci mancava solo il Fan Favorite a intaccare un’impalcatura già traballante. L’idea di coinvolgere il popolo del web nell’elezione del loro film preferito dell’anno si è rivelata un’arma a doppio taglio: perché, se anche riuscisse a portare nuovo pubblico a uno show che perde punti anno dopo anno, ha finito col compromettere la reputazione dell’Academy e attirarsi nuove, prevedibili critiche. In realtà, l’introduzione di questa nuova categoria non si deve (tanto) alla volontà di ingrossare le fila degli spettatori, quanto a un maldestro tentativo di compensare quei film che riscuotono successo al box office ma non avrebbero mai e poi mai una statuetta.
L’introduzione del Fan Favorite
Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, facciamo un breve riassunto. In occasione della 94esima edizione degli Oscar, l’Academy ha lanciato un contest via Twitter per permettere agli utenti di votare il loro film preferito e la loro scena preferita, rispettivamente con gli hashtag #OscarsFanFavorite e #OscarsCheerMoment. I finalisti nelle due categorie sono poi stati annunciati lo scorso febbraio. In molti, però, hanno visto dietro questa operazione l’intento di compensare la mancanza di nomination per il più grande incasso dell’anno, Spider-Man: No Way Home.
Un periodo difficile per i premi cinematografici
Ultimamente sembra che i premi cinematografici non ne azzecchino una. Prendete i Golden Globe, per esempio, che quest’anno si son visti costretti a rinunciare alla consueta diretta televisiva nel tentativo di zittire le polemiche. Niente cerimonia, niente red carpet e quindi niente copertura mediatica: e tutto perché pareva che nessuno volesse più avere a che fare con la Hollywood Foreign Press Association che assegna i premi. Questa è la punta dell’iceberg, certo, ma non si direbbe che agli Oscar stia andando meglio.
Vero è che un grande evento, anche culturale e televisivo, si porta sempre una scia di polemiche (basti vedere quello che succede a casa nostra con Sanremo). Ma in questo caso la faccenda è più grossa. Qui non si sta parlando di celebrities escluse o di cachet troppo alti, no. Il fatto è che con l’aria che tira ormai da un lustro a questa parte, tutte le premiazioni che contano sono state investite da un vento di rinnovamento. Prima si è messo Spike Lee a sollevare un polverone, denunciando la scarsa rappresentazione della comunità nera al grido di #OscarsSoWhite; poi è stata la volta di Natalie Portman, ai Golden Globe del 2018, con il suo annuncio divenuto virale delle nomination tutte al maschile per la miglior regia; dunque le altre accuse di razzismo, sessismo, mancanza di inclusione, conseguenze del MeToo e chi più ne ha più ne metta. Compreso un eccesso di politically correct, aggiungeremmo noi.
Perché non avevamo bisogno di questa categoria
Questi Oscars Fan Favorite hanno il sapore di una presa in giro, perché sanciscono indirettamente che un film commerciale come un cinecomic non sarà mai candidato nelle categorie principali. Da qui, la creazione di una categoria ad hoc: una specie di contentino, un po’ come è accaduto in Italia con il David consolatorio a Gabriele Muccino per il suo A casa tutti bene. Tanto varrebbe non avere nulla. Invece, due categorie deputate a decretare il miglior film dell’anno, uno eletto da una giuria di specialisti del settore e l’altro dai comuni spettatori, avranno soltanto l’effetto di rimarcare ancor di più la distanza tra il cinema commerciale e il cinema inteso come arte, anziché riuscire a integrarli tra di loro.
Una storia già vista
Si tratta dello stesso principio che fu alla base della nomination di Black Panther come miglior film nel 2019. Allora non eravamo in grado di vederlo nella giusta prospettiva, quella che soltanto la giusta distanza di tempo può darti, perciò pensammo che qualcosa si stesse muovendo. O almeno così speravamo. Anni addietro ci fu una polemica analoga per l’esclusione del Cavaliere oscuro dalla cinquina dei candidati, e così si pensò di ampliare il numero di nomination fino a un massimo di dieci, per aumentare le possibilità per un film commerciale di finire nella categoria.
E invece, per quasi un decennio non accadde niente – tenute fuori delle rare eccezioni che trovavano comunque ben altre giustificazioni. Poi arrivò il suddetto Black Panther, che avrebbe potuto cambiare le cose. Ma ci riuscì? Oggi potremmo dire di no. Benché il film di Ryan Coogler fosse un’opera meritevole, il fatto che continui a essere un caso isolato conferma i sospetti che sia stato candidato solo per ciò che rappresenta: ovvero, il primo film di supereroi con un cast quasi interamente di colore. La sua nomination avrebbe potuto essere di più di un atto politico (che è comunque cosa buona e giusta), se solo avesse aperto la strada agli altri cinecomic.
Una questione di forma
A questo dovrebbe servire il politically correct, a intervenire sulla sostanza delle questioni, e non soltanto sulla forma. Dovrebbe cioè aiutarci a vedere Black Panther per quello che in fondo veramente è: un buon film di supereroi, e non soltanto perché i suoi interpreti sono neri. Allo stesso modo, vorremmo che gli Oscar al miglior film fossero aperti anche all’ipotesi di accogliere Spider-Man e tutti i suoi colleghi, come pure gli horror, i fantasy e la fantascienza. Altrimenti, meglio lasciar perdere, piuttosto che un premio farlocco. Purtroppo, il sospetto che il politically correct e l’eccesso di buonismo agiscano anche quest’anno è elevatissimo.
In molti, per esempio, quest’anno prevedono la vittoria di Jane Campion come regista e del suo Il potere del cane come miglior film. Sembra addirittura scontato, ormai, dopo una lunga trafila alla stagione dei premi che l’ha vista quasi sempre vincitrice. Ora, lungi da noi dibattere sulle qualità di una regista sopraffina quale Jane Campion, ma che l’autrice di Lezioni di piano possa vincere per un’opera che non è destinata a lasciare il segno stringe un po’ il cuore. Si direbbe che in un’annata deludente come quest’ultima, Campion sia la favorita per la volontà di compensare le sue mancate vittorie precedenti rendendo contemporaneamente omaggio a una donna: insomma, due piccioni con una fava. E in mancanza di avversari forti, non si scontenta nessuno.
In un mondo ideale, invece, Jane Campion perderebbe contro le prove migliori di Kenneth Branagh e Steven Spielberg, e sarebbe ricompensata quando ne sarà nuovamente all’altezza. Nel frattempo, passeranno gli altri e noi vedremmo una sfilza di donne, di asiatici, di sudamericani conquistarsi i posti d’onore che gli spettano, Spike Lee vincerà il suo primo Oscar come regista, poi toccherà a Sofia Coppola, Pedro Almodóvar, David Cronenberg, mentre Christopher Nolan si vedrà finalmente riconosciuta una sua sceneggiatura e un altro cinecomic entrerà nella decina per il miglior film. Chissà, magari The Batman ce la farà l’anno prossimo.
Andrea Vitale