Mario Desiati e gli Spatriati
Quando ho terminato la lettura di Spatriati, ultimo romanzo di Mario Desiati edito Einaudi e in lizza per il Premio Strega, mi è rimasta incollata addosso una definizione, quella che apre la Parte Sesta del libro: Torschlusspanik. Questo termine che ritroviamo anche nel lavoro della psicologa Tiffany Watt Smith dal titolo Atlante delle emozioni umane pubblicato da Utet, il sostantivo femminile che non trova corrispettivo in italiano, sta per «la paura di non raggiungere un obiettivo per ragioni anagrafiche, un figlio, una famiglia o un determinato stato professionale». Da pugliese spatriata a Milano, ritrovare parte della propria storia e dei propri turbamenti in questa lettura ha senz’altro contribuito ad accrescerne il fascino e la presa emotiva.
Veleno e Claudia, due facce della stessa Puglia
I protagonisti della storia sono Francesco Veleno e Claudia Fanelli, due anime opposte nel modo di affrontare la vita, ma simili per indole e desideri. Nascono e crescono a Martina Franca, stessa città natale di Desiati, e ne assaporano le tradizioni, tra attaccamento alle radici e voglia di indipendenza e autoaffermazione.
«A vent’anni tutti ci crediamo non solo voci fuori dal coro, ma un controcanto, una nota solenne e acuta che si staglia sulle altre. Contestavamo l’autorità degli adulti, ma senza metterla in discussione davvero: non appena si diventa consapevoli della propria innocenza, ahimè, la si è smarrita.»
I due si conoscono e legano a causa di un evento che, specialmente in un paesino di provincia, dove tutti si conoscono e sanno i fatti e fanno pettegolezzo, potrebbe minare la loro serenità familiare: la madre di Francesco e il padre di Claudia sono amanti. Figli che stanno formando le proprie personalità e plasmando il loro futuro in un ecosistema che non è accogliente, che preclude possibilità, che limita e dal quale, girando le spalle alle proprie origini, hanno bisogno, per sopravvivere, di allontanarsi.
Dico che l’allontanamento è, in questo caso specifico, una necessità salvifica perché il sud della promessa di rinascita non riesce ‒ ancora oggi ‒ a concretizzarsi. Quella primavera pugliese degli anni di Vendola, citata anche nel libro, è un lontano miraggio, una speranza sconsiderata che viene sistematicamente disattesa dalle giunte che si passano la staffetta in una corsa in avanti fatta di inciampi e ritorni ai blocchi di partenza.
In questo breve passaggio, il distacco come antidoto alla paralisi trova conferma nelle parole di Claudia e mutuate dall’autrice pugliese, come il gran numero di autori citati da Desiati, Maria Marcone:
‒ «Crebbi foresta».
‒ Sei più di una foresta.
‒ Citavo Analisi in famiglia di Maria Marcone, la storia di una donna del Sud che è circondata da parenti maschilisti, gretti, ma lei è colta, scrive, crede nella psicoanalisi, vede ovunque cordoni ombelicali marciti e atrofizzati, persone che se li portano appresso con il terrore di reciderli.
‒ Cosa vuoi dirmi?
‒ Niente, non ho nessun messaggio nella bottiglia, ma non voglio scendere.
‒ Eravamo alla pari, adesso sei andata avanti, ‒ le dissi un po’ malinconico.
‒ No, Frank, sei tu che sei rimasto lì fermo, in quel guscio in cui ti sei rintanato.
Andare oltre le radici per trovare sé stessi
Claudia è feroce, affamata di vita ed esperienze, e abbandona Martina senza troppe remore prima per Milano, poi per Berlino. Francesco – o Frank come lo chiama affettuosamente Claudia – invece, è restio, forse più timoroso, ma alla fine la raggiunge in quella Berlino multiculturale e sfacciata, che gli fa scoprire un mondo colorato oltre i confini della sua terra. Un legame, il loro, inscalfibile e, per Francesco, quasi ossessione. La ama e desidera per anni e con un’intensità sconvolgente. Le è sempre accanto, la vuole decifrare e per questo leggerà i suoi autori preferiti, farà sue le loro parole. Ritroviamo i versi del poeta Vittorio Bodini e della poetessa Claudia Ruggeri, o gli studi del sociologo Franco Cassano.
Ma la Puglia è presente anche con la sua natura: la Valle d’Itria, Ostuni e Locorotondo, Cisternino, Savelletri, il cielo rosso di Taranto, Bari con «il suo mare di due colori, verdognolo a riva, cobalto oltre i frangiflutti». È un inno alla bellezza di una terra dal potenziale sconfinato, ma è soprattutto un viaggio alla scoperta di sé e del proprio destino.
La sperimentazione si concretizza a Berlino, sfociando nell’esplorazione di una sessualità dai contorni sfocati, fluida («bisogna fare come il metallo, prendere la forma dei colpi che ci dà la vita»), libera. È in questo contesto metropolitano che il sesso si fa esplicito, e Francesco può addentrarsi in un territorio dal quale si è tenuto ben distante a Martina, spaventato dal giudizio altrui, titubante e restio ad abbracciare i propri istinti. A Berlino può finalmente giocare con i suoi desideri senza inibizioni, non più soffetto agli sguardi inquisitori dei compaesani. D’altronde è anche questo essere spatriato.
Gli spatriati sono «gli incerti, gli inclassificabili, a volte i balordi o gli orfani, oppure celibi, nubili, girovaghi e vagabondi, o forse, nel caso che mi riguarda, i liberati».
Il cambio di passo rispetto alla prima parte del romanzo è evidente, e seppur funzionale alla costruzione dell’identità di Veleno, e di riflesso di Claudia, non l’ho trovata totalmente convincente. In alcuni punti, credo che questo viaggio alla scoperta del proprio posto nel mondo sia troppo figlio del rapporto tra Francesco e Claudia e poco di un’indagine autonoma, interiore che prescinde dall’altro.
Ma mettendo da parte il gusto personale e le aspettative, Desiati ci regala un romanzo maturo, dallo stile estremamente letterario seppur non sbrodolato, che ha il merito di innescare una riflessione sui giovani e la loro difficoltà nel definirsi, sul Sud, gettando luce sulle contraddizioni di un meridione troppo spesso dimenticato, e sul corto circuito di una politica troppo impegnata a fare promesse.
Nicole Zoi Gatto