Racconto: I ragni – Emiliano Sabadello

Racconto Milleuno
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Tra le foglie dell’insalata, già bell’e pronte per essere condite, quindi già controllate, capate, lavate, ridotte a pezzi di loro stesse, centrifugate con l’apposito utensile, rovesciate dentro a una cuccuma, rovistate alla ricerca di piccole parti marcite sfuggite al precedente controllo, in procinto di essere salate, oliate, pepate, addizionate con pomodori o eventuali, tra queste foglie di insalata, ridotte ormai a cibo per esseri umani, stava un ragno, raggomitolato, come se stesse cercando una posizione energetica, una posizione che gli permettesse di rimanere vivo nelle temperature inospitali del frigorifero, nelle giravolte della centrifuga, di restare nascosto in questo nascondiglio impensabile; e c’era un grande bozzolo bianco, tenuto insieme dalla bava del ragno, dalla bava che però gli era uscita dal culo, un bozzolo deformato dall’attività che conteneva e che ormai era pronta per uscire al mondo, ostico.

Il ragno aveva zampe ben proporzionate e sul dorso aveva un disegno, uno di quelli che risultano dall’incontro casuale delle linee che alle volte traccia la natura e che l’occhio umano è lì pronto a cogliere; faceva il morto, il ragno, oppure stava cercando di imitare la posizione fetale, a ogni modo era riuscito a nascondersi, a non farsi notare dall’abile occhio dell’uomo, che stava ancora girando l’insalata, chissà perché con le mani; aveva intessuto qualcosa, il ragno, aveva fatto un piano, anche perché se c’è un animale nella natura che sembra avere sempre un piano, quello non può che essere il ragno, in tutte le sue forme, le sue grandezze, nelle latitudini e longitudini che abita inconsapevolmente; e il suo piano era quello di aspettare il momento giusto e di filarsela, portando con sé il bozzolo, la prole, il futuro; ma ecco che arriva il sale e poi l’olio e poi il pepe, ecco che arriva l’appetito vorace dell’uomo, e allora addio prole, addio trame, addio piani, addio tutto; e quindi, è meglio uscire allo scoperto e farsi vedere; mentre le mani dell’uomo stavano dando l’ultima rovistata, il ragno ha fatto capolino da sotto a una foglia di insalata poco spezzettata, cercando al contempo di non perdere il contatto visivo con il bozzolo; la forma che ha sulla groppa ha come scintillato e gli occhi dell’uomo lo hanno isolato dal resto delle forme, percorrendone in un attimo le zampe raccolte, e nodose, la relativa grandezza, la vivacità per nulla intimorita dalle peripezie subite, e poi gli occhi dell’uomo hanno isolato anche il bozzolo bianco e cotonoso, pulsante, in attesa di potersi schiudere, di nascere al mondo; e subito l’uomo è andato con la fantasia, con quello strano tipo di futuro destinato ad avverarsi soltanto in parte, perché appunto per ora costretto in qualcosa di soggettivo.

L’uomo ha immaginato di non aver visto il ragno e di averlo mangiato come un condimento dell’insalata e così il bozzolo, di tranciarne le forme e le materie sotto i denti incuranti, sotto la prima propaggine del tritacarne che abbiamo in noi; lo ha sentito scrocchiare sotto ai denti, sempre con la vista della sua immaginazione e ha sentito i filamenti del bozzolo incastrarsi nella sua bocca, ma li ha tolti con una passata della lingua, in parte voluttuosa, in parte stupida, e ha mandato tutto giù, in un bolo masticato soltanto in parte; e poi ha visto il ragno e la sua prole attaccarsi a qualche settore del suo esofago, a qualche escrescenza cresciuta nel corso degli anni; ha visto il ragno, la mamma, giocarsi il futuro, immolarsi, reggere con due zampe il bozzolo semidistrutto dalla saliva e con le altre zampe disfarlo, per un parto prematuro, ma che avrebbe garantito la sopravvivenza dei figli più resistenti; per fare questo, la mamma-ragno ha fatto una piccola ragna dentro all’uomo e vi ha adagiato la prole e poi ha perso la presa, cadendo giù verso l’oblio, verso l’acido che l’avrebbe disciolta all’istante, in mezzo alle onde di dilavamento dello stomaco; ma i suoi figli avrebbero riposato dopo la nascita e si sarebbero poi sparsi nel corpo dell’uomo, alcuni fuoriuscendo dalla bocca, altri aggrappandosi e altri ancora, ahimè, cadendo nello stesso oblio della madre; e poi, avrebbero iniziato a mangiare, a fare la danza della sopravvivenza, che sarebbe durata per l’intero arco della propria vita; l’uomo avrebbe sentito dei fastidi, avrebbe starnutito e tossito e quando si fosse trovato nella mano uno o più di quei minuscoli ragni, sarebbe impazzito, non subito, ma lo avrebbe fatto.

E sarebbero cominciati i dolori, con i ragni a mangiare e lui a contorcersi, i due estremi della fame della natura; e poi sarebbe stramazzato al suolo, iniziando le fasi della sua morte, che sarebbe stata scoperta soltanto per caso, perché lui era solo al mondo, non aveva famiglia, non aveva amici, aveva soltanto delle frequentazioni casuali, compresi i gatti che ogni tanto andavano da lui, ma lo facevano soltanto per rimediare qualche spuntino extra; e il suo corpo sarebbe diventato il ricettacolo dei ragni, mentre andava in putrefazione e mentre la sua carne diventava cinerea, il suo aspetto cotto, le sue membra rigonfie; vi sarebbero entrati e usciti, ci avrebbero scopato e ci si sarebbero riprodotti, partendo alla conquista di quel piccolo, e solitario, mondo; ed è stato allora che l’uomo ha fatto cadere la ciotola con l’insalata e con il resto, provocando un rumore composito e una sbeccatura sul bel pavimento di cotto rosso fatto a mano, facendo fuoriuscire dalla ciotola insalata e ragno e bozzolo, con mamma-ragno lesta a raccoglierlo e a fuggire, a infilarsi sotto alla cucina, appena comprata, a scappare da quella visione che aveva avuto, una visione che la vedeva precipitante, verso l’oblio e la morte, subito dopo aver salvato la sua prole, una prole orfana dalla nascita e che lei non si sarebbe mai goduta; ed è vero che sarebbe stata una prole che avrebbe dato inizio all’impero dei ragni, ma che se ne fa una mamma-ragno di un sogno di grandezza e di gloria, quando l’unica cosa che davvero le interessa è coccolarsi i figli, in mezzo ai filamenti e ai ghirigori della propria ragna?


Emiliano Sabadello (1974) è docente di ruolo di italiano e storia nelle scuole superiori. Ha all’attivo diverse pubblicazioni fra narrativa, saggistica e satira: Pennywise, un saggio su It di Stephen King, edito da Toutcourt edizioni; Il male maggiore. Stephen King e la violenza contro le donne, edito da Alter Ego edizioni; Non-racconti mai scritti, edito da Il Rovescio editore. Ha partecipato a volumi collettivi quali: Spinoza. Un libro serissimo, edito da Aliberti e Almanacco Luttazzi della nuova satira italiana 2010, edito da Feltrinelli. Collabora con le riviste letterarie Il corsaronero e La nota del traduttore.

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Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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