Racconto: E dormimmo con le porte aperte – Noor

Racconto Confine
Call Nella camera chiusa


Diego è in coma, ma io sento la sua rabbia montare.

Diego è furioso.

Non ho mai sopportato l’odore degli ospedali, quello di anestetizzanti, di disinfettanti, di corpi malati e vecchi, di urina e candeggina. È un odore scomodo, appena lo sento mi investe il bisogno di scrollarmelo di dosso e non posso, non ce lo si scrolla di dosso mai. Anche io, se per due anni fossi costretto a inalare questi odori, un po’ incazzato lo sarei.

Era molto più facile quando non me lo facevano vedere, Diego.

Non è vero, Diego, era molto più difficile.

Io lo so che Diego è qui, nonostante quei cinici razionalisti dicano che te ne sei andato ormai da sempre, per me è ormai un sempre, anche se non mi dimenticherò mai del prima di questo sempre.

Ci siamo fatti vedere da tutti, io e Diego, anche quando nessuno poteva vederci. Non ci siamo mai nascosti, io e Diego, anche quando bisognava stare nascosti.

Eppure c’è stato un momento durato qualche anno, o qualche mese dove…

Questo sempre non finisce mai, non so più se sono in questa stanza da qualche ora o da qualche giorno. Non mi ricordo l’ultima volta che sono tornato a casa; non ricordo nemmeno dove sia la mia casa adesso perché, Diego, ci siamo sempre detti che la nostra casa era dove ci trovavamo tutti e due. Me lo dicevi sempre il periodo in cui cercavamo un appartamento e puntualmente si storcevano nasi e bocche di fronte a noi e stomaci si capovolgevano alla vista di questi due froci che dove vorrebbero incularsi l’uno con l’altro, qui? Non credo proprio.

E lui mi abbracciava riempiendomi di baci e mi diceva “Vedi questo metro quadro dove siamo in piedi io e te? Questa è la nostra casa”, poi faceva due passi e diceva “E quest’altro metro quadro, lo vedi? Anche questa è la nostra casa” e proseguiva così il nostro melenso rientro verso i nostri vecchi e separati appartamenti.

Io, cinico razionalista, ti rispondevo sempre di non dire sciocchezze, che ce ne facevamo poco di un metro quadro insieme se non c’era un tetto sopra per l’inverno e un condizionatore per affrontare la torrida estate bolognese.

Ne abbiamo sempre parlato di queste fini atroci e di come affrontarle, ma quando ti capitano non sai mai come parlarne e come affrontarle.

Mi dicevi “ammazzami, ammazzami, promettimelo, promettimelo”, ma ti voglio vedere io al mio posto. Ti vorrei proprio vedere. Anche solo per un attimo.

È furioso con me, percepisco la sua collera in ogni metro di questa stanza, in ogni centimetro di casa nostra. Questo è il mondo per noi, adesso, una casa piena di collera e delle piaghe da decubito che ti avevo promesso non avrei mai permesso si formassero, ma io non sapevo… Tu lo sapevi che bisogna stare particolarmente attenti a dove ci sono le ossa? Io non lo sapevo.

Da quando la sua famiglia ha mollato la presa con lui per noi due va molto meglio. È molto più facile ora che finalmente me lo fanno vedere, Diego.

Ti sto mentendo, Diego, è molto più difficile.

Hanno allestito una sorta di funerale a casa, con torte dolci e tortini salati, c’erano acqua tonica e chinotto ma niente alcolici e una piccola messa con il prete amico di famiglia – e chissà quanto è costata quell’amicizia in anni di donazioni – e non so nemmeno quale omelia gli ha dedicato perché la cerimonia era per pochi intimi tranne me.

Che ce ne siamo mai fatti della religione, io e te, Diego?

A lui non l’ho detto, ma credo sia da allora che ha iniziato a covare questa gigantesca rabbia in questa stanza. Il giorno dopo la sua ira mi ha preso per il collo e allora io gli ho detto “Adesso siamo bloccati tutti e due in questo casino, soli io e te”, e io ho sentito che più restava immobile nel letto più si incazzava.

Ti ricordi, Diego?

Alla fine uno si informa, chiede. Io mica gliel’ho fatto, il funerale. Per noi mica è finita. Ci ho messo un po’, però.

Ci ho messo un po’.

Questa boccetta di cloruro di potassio, ho pure preso dei barbiturici e un antiemetico per me, perché a un certo punto di questo sempre dovrò lasciare questa stanza e tornare a casa pure io e il mio problema è che dopo sarò vivo e né qui dentro né là fuori c’è qualcuno che ha mostrato pietà per la nostra esistenza.

Ce l’ho qui in mano, Diego.

Quando l’abbiamo finalmente trovato, l’appartamento oltremodo fuori il nostro budget, lui l’ha pagato quasi interamente e mi ha detto “Adesso avrai sempre un posto dove poter tornare” e non è vero, Diego, non è vero.

Stringere questa siringa in mano è come stringere una penna: per scriverti quanto io ti abbia amato; per scriverti quanto io voglia dissolvere questa tua furia; per scriverti che stavolta sarò io a darti una casa e che non hai bisogno di un posto dove poter tornare.

E adesso voglio questo per te, tutto il mondo aperto e senza porte. Guarda quanto è grande la nostra casa, ora. Voglio che tu lo sappia, Diego, ho fatto di tutto per costruirti questo spazio intorno.


Noor nasce in Sardegna, vive e lavora in Germania.

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Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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