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Racconto: L’armatura – Fosca Navarra

Racconto Milleuno

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«Qui è come in confessionale?».
Lo strizzacervelli fece un cenno con la mano verso la poltroncina di pelle scarlatta che gli stava di fronte. Prima di accomodarsi, il paziente fece ondeggiare il pomo riarso, ornato di zucchetto, che aveva per testa; prima da destra a sinistra, poi dall’alto in basso.
Facendo leva sul bastone, si trascinò verso il suo posto e si sedette.
«Praticamente sì, monsignore».
Alle spalle del terapeuta spiccavano, infilati nelle celle delle mensole, libri che in altri tempi sarebbero stati arsi al rogo insieme ai loro autori dai nomi impronunciabili.
Sulla scrivania, una coppia di statuette di resina nera raffiguravano una porzione di corpo umano, da circa metà del busto fino al ginocchio. Entrambe rivolgevano le natiche allo sguardo del vescovo.
«C’è da dire che il suo studio, dottore, non assomiglia a un confessionale» disse quest’ultimo, sfiorando con l’unghia la base della statuetta maschile.
«Cosa intende?».
Il vescovo ritrasse subito la mano come appena morsicato al gomito. Lasciò che quelle stesse dita ormai contaminate dall’oggetto dondolassero oltre il bracciolo.
«Simili oscenità non se ne vedono nella casa del Signore».
Un sorriso a mezza bocca spuntò sul volto del terapeuta.
«Dunque anche i Musei Vaticani assomiglierebbero a un bordello».
Le narici violastre del paziente si dilatarono come per un fremito risalito dal profondo.
«Lì non sono esposti una cinquantina di tomi sul piacere carnale» esitò, lo sguardo che era un canarino in cerca di un trespolo «e inoltre…».
«Sì?».
Silenzio. La postura del paziente – il busto proteso in avanti e i palmi poggiati sui braccioli – aveva un che di ferino.
«L’ha appena comperata, dottore?», indicò la poltrona.
«Sì, monsignore. Perché me lo domanda?».
L’odore della pelle nuova di zecca nauseava il vescovo; in generale gli dava il voltastomaco tutto ciò che era nuovo.
«S’avverte» sibilò.
Il terapeuta scorse le lancette sul quadrante dell’orologio da parete.
«Bene. Siccome mi ha fornito le sue generalità per telefono, vogliamo cominciare a parlare della sua famiglia?».
Il vescovo aggrottò il rado passaggio di gabbiani delle sopracciglia nel cielo d’inverno che gli faceva da fronte.
«Comincerò da mia madre».
«Va bene».
«Era una donna del popolo. Non era capace di scrivere il suo nome, eppure pronunziava il latino delle preghiere alla perfezione. Aveva una fede che era come lei stessa, semplice e priva di contaminazioni; le veniva dal cuore».
Il terapeuta appuntò qualche parola su un taccuino rilegato in pelle. Anch’esso nuovo di zecca, ma fortunatamente distante dal naso rinsecchito quanto sensibile del vescovo.
«E con Lei com’era?».
Gli occhi dell’anziano religioso non avevano potuto fare a meno di posarsi sulle natiche di una delle statuette.
«Misericordiosa» rispose, l’aria in trance «tanto da perdonarmi qualsiasi dispiacere potessi darle. Anche i più grandi», e chinò il capo per strappare via con la forza la propria attenzione da quelle forme.
Dal suo lato della scrivania, il terapeuta notò l’interesse del paziente per l’oggetto.
«Suo padre invece non lo era?».
«Non ho mai osato mettere alla prova la sua pazienza».
«Le incuteva timore?».
«Nutrivamo tutti un doveroso rispetto per lui. Era così imponente, pure nell’aspetto, e ferrigno: lo si poteva soltanto contemplare dal basso, con reverenza, sapendo che nulla poteva incidere la sua armatura».
«Quale armatura?».
«Non so dirlo; ma so che io non l’ho mai avuta, per esempio».
«E sua madre l’aveva, quest’armatura?».
Si udì appena una risata rappresa, sputacchiata a grumi dalla gola del vescovo.
«Che domande, dottore… mia madre era una donna».
«E quindi?».
«E quindi non ne aveva bisogno. Anzi, sarebbe stato atto di arroganza da parte sua. No, era soltanto dolce e buona».
«Lei invece avrebbe dovuto, secondo il suo ragionamento, possedere quest’armatura metaforica – ancora c’è da capire di cosa – così come l’aveva suo padre. Mi sbaglio?».
La mano del vescovo scivolò lungo il bastone, che aveva sistemato accanto al fianco.
«Avrei dovuto» le sue dita prive di linfa suonarono lungo di esso la melodia di un silenzio grave e disperato «ma a me non era toccata».
Il terapeuta scrisse un paio di frasi e rimase in attesa.
«Ma io non volevo possedere quel vigore toccato agli altri uomini. Volevo…» e un nuovo silenzio.
«Voleva?».
Il busto del vescovo si era schiacciato contro lo schienale, il capo era chino e il viso nascosto nell’ombra.
«Ammirarlo, soltanto questo».
Il terapeuta cerchiò con un pennarello una delle ultime parole che aveva appuntato, e cancellò il punto interrogativo che vi aveva inizialmente posto accanto.
«L’ha fatto?».
Sugli zigomi del vescovo si stese una densa mano di colore paonazzo.
«Una volta, è passato mezzo secolo. Sì, avevo vent’anni e il mio compagno di scelleratezza ne aveva altrettanti».
«È per questo motivo che è diventato un religioso? Per tentare di, non saprei, rimediare?».
«Oh! Questa è buona. Non basterebbero dieci vite di santità per rimediare a ciò che ho fatto».
«Dunque ha scelto questa strada perché spinto dalla fede».
«In verità» ammise l’altro «quando entrai in seminario non mi importava né di Cristo, né della Vergine, né di nessuno».
«Sa formulare un’ipotesi sul motivo che l’ha portata a intraprendere questo percorso?».
Una specie di commozione indistinta si palesò sul volto del monsignore. Il bianco spento di quegli occhi rivide, per qualche istante, un cenno di luce.
«Conto sulla sua riservatezza».
«Gliela assicuro».
«Ricordo ancora com’era stare tra le braccia di mia madre, in una posizione privilegiata, di fronte a mio padre. Li vedevo, nonostante ogni cosa, amarsi come l’uomo e la donna hanno il dovere di fare. Così, con me che in quel momento mi facevo testimone del loro legame, la sposa chiedeva allo sposo se ancora lui nutrisse per lei qualche cosa. La risposta di mio padre arrivava ogni volta come dal Cielo, salda e sincera. Se non fossi entrato in seminario, sarei finito anch’io col prendere moglie. E come avrei potuto…?».
Al vescovo si inumidirono le ciglia di un fulgore virginale.
«Così sono diventato sposo del Signore. Perlomeno Lui non mi avrebbe domandato ogni mattina, con un paio di occhi adoranti e un figlio in braccio, se lo amassi per davvero».

Fosca Navarra

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Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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