Lezioni bonnensi #3 – Di gender, schwa e femminili
Ritorna l’appuntamento con le lezioni bonnensi, dopo il primo articolo sui libri e il secondo sulle differenze tra lingua e linguaggio. Il terzo tema riguarda ancora l’ambito linguistico, ma questa volta siamo andati più su questioni più pratiche e attuali: abbiamo parlato di “gender”, plurali e femminili singolari, croce e delizia della linguistica contemporanea. Abbiamo discusso l’argomento comparando la situazione italiana e tedesca: abbiamo iniziato con il TEDx Talk di Vera Gheno sulla Schwa, poi abbiamo letto l’intervento dell’Accademia della Crusca, l’articolo di Raffaele De Simone su Domani e alcune pagine tratte da Femminili singolari di Vera Gheno.
Il terzo tema: che ne pensi della Schwa?
Ho dato loro la seguente traccia:
Esprimi la tua opinione riguardo ai cambiamenti linguistici di cui abbiamo letto durante le scorse settimane. La lingua “è un sistema organico, vivo, in movimento”, che si evolve assieme al popolo da cui viene parlata. Qual è la tua opinione riguardo all’uso degli asterischi o della schwa in merito alle questioni legate al genere?
Il tema che leggerete è di Lara Bani, studentessa di madrelingua croata.
Svolgimento
Durante le scorse settimane si è ampiamente parlato del fenomeno “gender” nella lingua italiana e del bisogno di un linguaggio non sessista. Abbiamo visto diverse soluzioni possibili, proposte da linguisti e sociolinguisti, che potrebbero rendere il linguaggio più inclusivo; gli uni lottano per il recupero del genere neutro, mentre gli altri privilegiano l’uso dello schwa, dell’asterisco o di altri segni per riferirsi a persone che si identificano non binarie. Si tratta di un cambiamento linguistico dovuto all’evoluzione societaria. Tramite le parole, noi, in quanto appartenenti a una comunità linguistica, indichiamo tutto ciò che ci circonda, incluso noi stessi: tale motivo ci porta ad adattare la lingua a seconda delle esigenze dei parlanti. In Italia, la discussione sul linguaggio non sessista è molto accesa. Di seguito si riporta una ricerca sulla lingua croata e sulla questione del genere grammaticale femminile nella lingua croata. La ricerca si appoggia sul saggio accademico Rod, spol i žena u hrvatskome jeziku (“Genere, sesso e donna nella lingua croata”) scritto da Zrinka Breglec, paralegale dell’Ufficio nazionale della Croazia per i diritti umani (“Državni ured za ljudska prava”).
Il saggio di Breglec si apre con una discussione sulla terminologia utilizzata: l’autrice propone una spiegazione dei termini usati con lo scopo di rendere il saggio più comprensibile. La stessa spiegazione verrà riportata anche nel saggio presente e i termini in questione sono i seguenti: sesso, genere, stereotipi e sessismo.
Col termine sesso si intende una differenza biologica già predisposta tra l’uomo e la donna: si riferisce al fatto che le persone nascono femmine o maschi. Il genere, invece, rappresenta una categoria sociale che prevede determinati modelli comportamentali per i maschi e determinati modelli comportamentali per le femmine all’interno di una società. Tuttavia, in linguistica si parla di genere grammaticale, ovvero una delle categorie grammaticali che serve a specificare la parola a cui si riferisce. Oltre al genere, esistono altre categorie grammaticali: tempo, numero, persona, aspetto ecc. Introduciamo adesso il concetto di ‘stereotipo’: gli stereotipi sono idee semplificate di diversi gruppi sociali. Nell’ambito degli stereotipi rientrano anche quelli di genere, ovvero le credenze generalizzate sulle caratteristiche tipiche delle donne e degli uomini, come ad esempio l’idea dell’aspetto fisico oppure delle preferenze lavorative. Il sessismo, di conseguenza, è la discriminazione sessuale, ossia la tendenza a sottovalutare le capacità delle persone in base al sesso. Avviene prevalentemente a svantaggio del sesso femminile, per cui proprio quel tipo di discriminazione verrà trattato nei paragrafi successivi. Oltre a ciò, verranno riportati anche diversi esempi di sessismo linguistico.
Breglec si è servita dell’esempio seguente: “Già nel 1840 i matematici hanno scritto i primi programmi per computer.” Per come è scritta, la frase ci fa pensare subito a un gruppo di uomini, anche se sappiamo che il primo programma per computer è stato sviluppato dalla matematica Ada Lovelace. Ne consegue la domanda impellente: è questo un caso di sessismo linguistico? Secondo l’autrice, non si tratta di sessismo, bensì di economia linguistica. Si predilige l’uso della forma del maschile plurale poiché vale per entrambi i generi, sia per il genere maschile sia per quello femminile: viene usato in senso generico. Dunque, Breglec conclude: è doveroso fare una chiara distinzione tra il genere grammaticale e il sesso di riferimento e rinunciare a dare una sfumatura discriminatoria all’uso del maschile generico.
Tuttavia, l’esempio soprastante non significa che una lingua (il croato, in questo caso) non possa essere sessista. Se ci spostiamo dall’ambito grammaticale all’ambito lessicale, troveremo subito alcune prove: l’autrice propone degli esempi che, nella maggior parte dei casi, sono a svantaggio del sesso femminile. Da una lista lunghissima è possibile notare i sintagmi contenenti l’aggettivo žensko (femminile) che spessissimo vengono usati in maniera dispregiativa: ženska glavo (testa femminile) nel senso di una donna poco intelligente, ženska logika (logica femminile) nel senso di ragionare senza logica. Oppure i nomi per animali di sesso femminile: kobila (cavalla) per una donna dall’aspetto rozzo, kokoška (gallina) per una donna poco intelligente ecc. Come se non bastasse, notiamo anche sintagmi fissi che rimandano sempre all’idea negativa della donna: ne budi curica (non fare femminuccia), stvari za dječake (cose da maschi), imaš muda (una con le palle), javna žena (donna di strada) ecc.
Abbiamo visto che la grammatica di per sé non offre materiale per la discriminazione in base al genere sessuale poiché si tratta di un sistema chiuso di regole. Tuttavia, nemmeno il lessico può essere considerato sessista, anche se abbiamo esaminato alcuni esempi abbastanza discriminatori. Il punto è che nella nostra coscienza esistono preconcetti su determinati gruppi societari. Essi distorcono la nostra percezione della realtà e la nostra memoria. Se il nostro ragionamento è carico di pregiudizi e se lo esprimiamo tramite parole, allora anch’esse diventano distorte e travisate. Dunque, la lingua non è sessista. È sessista il modo in cui percepiamo la realtà che poi trasmettiamo tramite la lingua. Ambasciator non porta pena.
Lara Bani
Giovanni Palilla