Il dono del tempo, un flusso incessante e inafferrabile, esalta i grandi temi della poesia di Leonardo Pelagalli: l’amore, la morte, il dolore, rielaborati in un’esperienza poetica personale e intimistica che fonde modelli molto diversi tra loro. Dalla poesia francese ottocentesca a Quasimodo, passando per D’Annunzio e Pascoli.
La raccolta d’esordio di Leonardo Pelagalli, Ruit hora (ilfilorosso editore, 2021), coglie un fermento culturale eterogeneo che esalta le ragioni individuali di una poetica profonda ed esistenziale. Un cammino lungo e contorto che si snoda lungo due sentieri paralleli. O due parti, di cui la prima è divisa in tre cicli.
Il cavaliere e la chimera gioca con i diversi piani temporali nel raccontare lo sradicamento di un uomo appena uscito da un rapporto amoroso, di cui restano solo ansia, desolazione, persino noia moraviana. In questo caso tra il cavaliere poeta e la donna chimera si accende una dialettica conflittuale, un dualismo che ruota attorno alle differenze e alle contraddizioni che restano aperte in un perpetuo scontro esistenziale.
Brevità del tempo e angoscia per l’impossibilità di contenere questo flusso rappresentano i due grandi temi di Velo nero sui miei occhi. Qui la prospettiva si allarga, la rottura dell’assialità determina un’apertura, dall’interno si passa a un esterno caotico e incomprensibile a cui il poeta reagisce con angoscia.
Su pallide membra piogge sulfuree
risvegliano asfodeli cinerei.
Ululi di cristallo, roventi lucerne,
in sordidi oracoli
d’annidano e ridono tra occhi
di falena, fervide camelie che
lungo i fianchi intristiti solcano
aurore salmastre!
Il terzo ciclo, La polvere delle tue parole stilla dalle ombre, porta a termine il processo di allargamento degli angusti confini relazionali, registrando la nascita di un nuovo amore, una speranza che rivelerà ben presto il suo carattere illusorio e farà dello spazio esterno un deserto privato e silenzioso. La delusione, l’ennesimo oscuro prodotto della mente, viene resa dal poeta in una forma sempre più plastica, scorrevole, da versi liberi e brevi che si distendono nella forma del flusso di coscienza.
La seconda parte, I canti del deserto, riporta il tempo al centro dell’atteggiamento contemplativo del poeta che vive come un’angoscia quest’accelerazione interiore, questa frenesia vitalistica che impedisce di afferrare la materialità della vita che si scontra invece con la spiritualità. All’interno di un verso sempre più oscuro, di stampo ossianico, i temi disseminati nella prima parte della raccolta trovano in questa stagione una piena maturazione e pongono la necessità di affrontare i conflitti precedenti. La raccolta segue un percorso di formazione personale che conduce a quell’inevitabile confronto con i morti in cui il tempo cambia forma, natura e forse trova la sua vera essenza.
Nunzio Bellassai
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