La ricerca dell’incognita

Hermann Broch: ai più questo nome ricorderà una copertina della economica Feltrinelli con su scritto La morte di Virgilio; ad altri (probabilmente ai lettori più accaniti) verrà in mente la trilogia de I sonnambuli (di cui Adelphi ha pubblicato il primo volume in nuova traduzione). Il romanzo più apprezzato dal pubblico in realtà non fu nessuno dei quattro nominati: la sua opera più letta era L’incognita (Die unbekannte Größe), oggi riproposta da Carbonio Editore con una nuova traduzione a cura di Luca Crescenzi.

La matematica e lo streben

L’incognita ha come protagonista il matematico Richard Hieck e la sua famiglia, composta da tre fratelli e due sorelle; tuttavia, nel romanzo, oltre a Richard, conosceremo solo il fratello Otto, la sorella Susanne e la madre. Il padre, il grande assente (ricordiamo che nella generazione tra le due guerra la figura del Padre era un bel problema per gli scrittori) è morto già da tempo. Siamo a Vienna e l’ambientazione, come si intuisce immediatamente dal primo paragrafo, è accademica. Richard sta portando a termine la sua tesi e, come in una sorta di ribellione nei confronti della figura del padre, descritto in qualche modo come romantico (con tutte le implicazioni che l’aggettivo “romantico” si porta dietro nella cultura tedesca), è fermo sostenitore della potenza della matematica e della scienza, tramite cui crede di poter organizzare la sua vita in un sistema che non può essere messo in discussione. Essa è dunque una delle protagoniste del romanzo, di cui viene data da un lato una visione scettica tramite la figura del collega Kapperbrun (che fa molta ironia sul mondo accademico), dall’altro una visione seria e quasi “religiosa” da Richard. Mettiamo quest’aggettivo tra virgolette di proposito: la sorella Susanne è una fanatica religiosa e viene ritratta da Broch in modo molto kitsch (soprattutto nella descrizione della sua camera da letto); ciononostante, è proprio con lei che Richard sente una particolare connessione e affinità:

Accadeva abbastanza spesso che Richard andasse dalla sorella, prendesse in mano i suoi libri di preghiere e si mettesse a cercarvi il nesso che, volendo tener fermo il principio del valore universale della logica, avrebbe dovuto coincidere con quello dei suoi libri di matematica. Ma anche se non era possibile trovare alcun appiglio per un’affinità logica, le finalità della sorella gli apparivano comunque notevolmente più sincere e lineari delle sue.

Anche lei, come lui, è alla ricerca dell’oltre, dell’infinito:

Tu sei il mio Dio
Io sono il tuo servo.

Richard puntò lo sguardo su quel ricamo: sì, anche lui era un servo, ma il Dio che serviva dov’era? Inesorabilmente obbligato a servire, era spinto avanti da un giogo sempre più pesante, il giogo di una conoscenza che non era in grado di afferrare, questo era il suo destino. Lui e Susanne erano davvero vivi? La loro esistenza non era solo apparente?

Un romanzo filosofico

La consapevolezza di non poter mai totalmente afferrare quello che c’è oltre, il costante streben verso quella “inespugnabile montagna della conoscenza”, è dunque una delle tematiche principali de L’incognita, che prova attraverso i mezzi propri del romanzo di trasmettere le teorie filosofiche di Broch. L’autore avrebbe voluto scrivere un vero e proprio romanzo filosofico, un romanzo caleidoscopico sulla figura dell’intellettuale ma, come afferma Luca Crescenzi in una recente intervista su Fahrenheit, ne L’incognita è assente l’elemento politico. Nonostante il successo, Broch ebbe un rigetto per il suo romanzo e lo considerava un fallimento. In realtà, trovo che sia forse l’opera più adatta per avvicinarsi alla complessità di Broch, difatti qui è presente ancora un’aderenza alla struttura più “tradizionale” del romanzo, quindi più accessibile al lettore di passaggio. Ci sarebbe molto altro da raccontare su L’incognita, come per esempio la figura di Otto, il fratello-artista che avrà un ruolo molto importante nel ritorno di Richard alla realtà fisica, ma su questo e altri punti vi rimandiamo all’ottima edizione di Carbonio editore, correlata da un’introduzione a cura di Luca Crescenzi e dai Lineamenti sul romanzo, scritto da Broch stesso. Da lettore, personalmente la cosa che più ho apprezzato nella scrittura del primo Broch è l’insistenza sull’immagine del cielo notturno (anch’esso nominato nel primo paragrafo), sempre presente nelle pagine dedicate a Richard. Forse, quello che il matematico cerca veramente è la luce: forse ombra e luce sono i correlativi oggettivi di amore e morte, e non per caso, forse, il romanzo termina con la luce del sole che risplende sulle finestre. Ma mi fermo qui, non voglio rovinarvi la bellezza dell’ultima pagina.

Giovanni Palilla

Fonti

Cliver, Gwynet (2018): “Die unbekannte Größe”. In: Kessler, Michael/Lützeler Paul Michael: Hermann-Broch-Handbuch. Berlin, Boston: de Gruyter.

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