La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. (Franco Basaglia)
Possiamo partire da questo concetto per parlare di Tutto chiede salvezza, la serie TV disponibile dal 14 ottobre sul Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli (premio Strega Giovani 2020), che segna il ritorno alla regia di Francesco Bruni. Sette episodi che corrispondono ai sette giorni di TSO (trattamento sanitario obbligatorio) a cui Daniele, il protagonista, è sottoposto dopo una serata in discoteca a base di eccessi, sballo e droghe. Solo che lui non sembra come gli altri pazienti, lui è normale, ma allora perché lo hanno rinchiuso?
All’inizio della storia Daniele (Federico Cesari) ci appare davvero diverso dagli altri. Tutto giace all’ombra della sua stessa memoria e a noi vengono mostrati solo pochi flash. Costretto a restare in osservazione in un contesto estremamente difficile nel quale dovrà provare a mettere insieme tutti i ricordi confusi di quell’ultima sera, Daniele comincia a rapportarsi sia coi suoi compagni di stanza che con il personale ospedaliero, passando da quello stato di totale repulsione ad una condivisione assoluta.
Attraverso gli occhi di Daniele il racconto si snoda in un insieme di storie sorelle a quella del protagonista. Ne deriva un racconto corale di narrazioni rotte e imperfette fatte di dolore, accettazione o negazione che costruiranno con il personaggio principale una sorta di interesse umano.
Così, accanto a Daniele troviamo la storia di Mario (Andrea Pennacchi), un ex insegnate dal passato tragico e dall’indole gentile, frutto di una serie di esperienze personali difficili; Gianluca (Vincenzo Crea) un omosessuale in eterna lotta con se stesso e con una famiglia che non vuole accettarlo a nessun costo; Giorgio (Lorenzo Renzi), un omaccione che non si è mai più ripreso dal trauma infantile della morte della mamma che ha totalmente distrutto il suo equilibrio personale, coadiuvato da una serie di terapie non troppo riuscite; Madonnina (Vincenzo Nemolato) un uomo di cui non si sa assolutamente nulla, dato che non parla mai, se non del suo amore spassionato per il fuoco e le sigarette e per la continua invocazione della Madonna (da qui il nome); e Alessandro (Alessandro Pacioni) un ragazzo in stato vegetativo da quando era bambino.
Tutti loro diventano parte integrante e fondamentale di Tutto chiede salvezza, intessendo un coro di voci sincere attraverso cui questa serie tv parla. Anche il personale ospedaliero, medici e infermieri, entrano nella storia facendosi conoscere attraverso punti di forza e debolezza perché
Visto da vicino nessuno è normale
Così in questa sorta di stallo obbligatorio Daniele si ritrova a viaggiare non solo dentro se stesso ma anche ad approcciarsi con un mondo che fino a quel momento aveva evitato. Questo fa sì che lo spettatore riesca a entrare in empatia con quanto vive poiché, proprio come Daniele, anche anche la maggior parte di noi spettatori tende a evitare quel mondo interiore che può farci male.
Ad arricchire il puzzle, come spesso accade, è anche l’amore: il rapporto con Nina (Fotinì Peluso, eccezionale), ricoverata nel reparto femminile attiguo a quello del ragazzo, sarà per Daniele il punto di partenza per una vita nuova, rischiarata dalla speranza in un futuro migliore che fino a quel momento si era precluso per chissà quale ragione.
Sono passati 44 anni anni dalla legge Basaglia e sebbene la sanità abbia cambiato approccio, permane ancora uno stigma nei confronti dei malati psichiatrici, dei matti, dei pazzi. Un vulnus sociale difficilmente superabile perché l’alterità continua a spaventare: chi soffre di queste malattie viene percepito come un alieno, un diverso, perché le sue difficoltà impediscono di mettere in atto quegli elementari meccanismi di empatia che permettono – nella migliore delle ipotesi – agli esseri umani di comprendersi e supportarsi a vicenda. Non ci sarà mai nessuna scienza che potrà stabilire fino a che punto il tuo cervello reggerà.
Dal punto di vista formale la serie si muove nell’arco di sette lunghi giorni che comunicano allo spettatore l’angoscia di una routine snervante e alienante – quella che costringe questi ragazzi a spostarsi dal letto alla sala comune, avere a disposizione solo metà corridoio, perché uomini e donne sono in due reparti separati da una porta; a vivere ciclicamente giornate quasi tutte uguali, dove il tempo si organizza in base alla visita dei parenti, alle sigarette concesse e al colloquio con i dottori.
La storia vuole spezzare i pregiudizi e i tabù legati al tema e lo fa in modo eccellente, soppesando ogni aspetto ma donando la giusta dose di spensieratezza e pause di riflessione. Specialmente grazie alle parole che Mario usa verso i suoi compagni senza mai far pesare lo spessore delle verità che rivela e lasciando a loro come a noi un’eco che devasta.
Oggi non si cura più solamente la malattia mentale, oggi è l’enormità della vita a dare fastidio, il miracolo dell’unicità dell’individuo, mentre la scienza vorrebbe contenere, catalogare.
Tutto chiede salvezza non si nasconde dietro pietismi, affronta la malattia e aiuta i pazienti a riconoscerla liberandosi del pregiudizio, senza aver paura di essere additati da una società costruita sull’apparenza. E ci dimostra che dal dolore si può uscire, e forse addirittura guarire.
Anna Chiara Stellato
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