In un’ipotetica classifica degli incipit più belli di sempre, quello scritto da Sacha Guitry in Memorie di un baro meriterebbe sicuramente una posizione degna di nota.
Fin dalle prime parole, infatti, si capisce subito che non si tratta di semplici memorie, ma neppure di un normale artificio letterario nato dalla mente di un creativo: ci si trova di fronte a un’immagine ben precisa che fa riaffiorare alla mente i più lontani e disparati ricordi. Da un’antica punizione come il «vai a letto senza cena» si sviluppa la piccola narrazione di un orfano che dalla propria tragedia vede nascere tutta la sua vita: anzi, la sua seconda vita.
Scritto nel 1935, Memorie di un baro è tradotto in italiano per la prima volta solo nel 2022 grazie ad Adelphi. Armato di penna, umorismo e grande talento, in esso Sacha Guitry ci racconta una storia semplice in cui una moltitudine di fatti si susseguono nella grande imprevedibilità dell’esistenza; non a caso se volessimo trovare il vero protagonista dell’opera non dovremmo far altro che citare il caso.
Il caso è uno dei fardelli che l’uomo porta dentro di sé fin dal giorno in cui la ragione ha iniziato a passeggiare per i corridoi della sua mente. Il caso non si può governare, è esonerato dalle leggi umane (e figurarsi da quelle divine!), è subdolo, astuto e spietato e l’unico modo per trarre dei vantaggi dalla sua imprevedibile natura è vivere assecondando le sue leggi.
Ciò è esattamente quello che fa il piccolo rimasto orfano di tutta la sua famiglia (ben undici persone), morte per un avvelenamento da funghi. L’unico superstite non li aveva mangiati perché sorpreso a rubare, e così da una punizione inflitta dagli umani il caso ha fatto sì che a pagare fossero i punitori anziché il punito.
«Uno può piangere una madre o un padre, o un fratello: ma come fai a piangere undici persone? Non sai per chi affliggerti».
Ecco che anche la cognizione del dolore viene ben assorbita e la sua seconda esistenza può prendere così il giusto cammino. Memorie di un baro è un libro di avventura: non di quelle in cui si raggiunge un’isola, un tesoro perduto o un’antica civiltà. Un’avventura contemporanea e moderna, all’insegna della curiosità di un giovane che alle sue prime esperienze con il mondo capisce subito cosa desiderare e fa di tutto per perseguire tale scopo. È un viaggio in alberghi di lusso tra clienti ricchi e aristocratici, è un perenne assistere alle loro scaramucce, ai loro strani corteggiamenti; è un continuo assecondare le loro stravaganti abitudini, ma che fascino… che esotismo! Quanta diversità in quelle persone che sanno godersi la vita e che soprattutto hanno gli strumenti per farlo. È uno squarcio su sterili cittadine francesi fino ad arrivare al cuore pulsante della modernità: l’inafferrabile Parigi.
«Se oggi qualcuno mi domandasse a bruciapelo che cos’è Parigi, risponderei senza esitare: è la capitale della Francia e la città più bella del mondo».
Guitry descrive la capitale transalpina con la magia di un’Impressionista: pennellate secche e decise, veloci a susseguirsi, affinché tutto ciò che l’occhio riesca a percepire venga immediatamente messo su carta come su tela. Non dà spazio alla riflessione, la descrizione di Parigi è il trionfo dell’impulsività. Nulla tocca il protagonista come questa città eppure la maggior parte della sua vita si svolge nella capitale del caso: Montecarlo.
Animatrici da jet-set, femme fatele, cuori martellanti e tanta adrenalina, sono i soggetti che popolano questa affascinante città, dove inizia la sua attività più redditizia e avvincente: quella del baro! Scopre la sua dedizione verso il gioco ma non diventa un giocatore, anzi nulla è ritenuto più folle di un giocatore poiché si illude di vincere il caso, ma quest’ultimo, si sa, esattamente come il tempo non va mai disturbato e sfidato.
Da Montecarlo poi il suo lento declino. Abbandonato alle leggi dell’imprevedibile il nostro baro conosce il piacere dell’ignoto, il fascino austero del rischio. Capisce come le emozioni che prova un giocatore non siano equiparabili a quelle di un baro: quest’ultimo è un calcolatore, il primo è invece un sognatore e nulla è più adrenalinico dell’illusione dei sogni.
Si chiude così il suo racconto con la consapevolezza che il caso, quell’entità astratta da non sfidare mai, è il motore su cui fondare la propria esistenza: abbandonarsi ad esso significa fare un tuffo nell’ignoto, significa scommettere su sé stessi e gli altri, significa giocare senza essere seduti al tavolo. Il gioco, tanto criticato dai benpensanti si scopre invece avere un influsso eccellente sull’umore di chiunque: chi perde ha perso, certo, ma chi vince per un attimo ha la consapevolezza che tutto è alla sua portata, che ogni cosa è possibile; il giocatore vincente si sente sicuro di sé e stuzzica la vita a colpi di tentativi. Quella che Sacha Guitry ci consegna non è una mistificazione della realtà, ma è semplicemente l’opportunità di vivere secondo un’altra prospettiva, lasciandoci cullare dal piacevole male del gioco, che a differenza di tanti altri concedepiccoli momenti di incalcolabile spensieratezza.
Giammarco Rossi
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