Tutto questo è come la febbre, nessuno la vuole però improvvisamente arriva. Noi non l’abbiamo voluta, gli altri non l’hanno voluta, eppure eccoci qui, di colpo mezzo mondo è contagiato e Dio si limita a guardare, mentre ci massacriamo. Ma in fondo io che ne so, non so niente, sono un paio di stivali con un fucile.
Francia, 1918. A Campiègne, in un bosco vicino a Parigi, è stato appena firmato l’Armistizio che segna la fine della Prima Guerra Mondiale. I soldati tedeschi, ai quali è giunta la notizia, possono finalmente rimettersi in cammino verso casa. Ignari di cosa avrebbe simboleggiato quella sconfitta negli anni a venire, festeggiano come se avessero appena vinto il conflitto. Si tratta di Niente di nuovo sul fronte occidentale, romanzo di Erich Maria Remarque giunto al suo terzo adattamento cinematografico dallo stesso nome, diretto da Edward Berger e scelto per rappresentare la Germania agli Oscar 2023.
Il protagonista del film, Paul Baumer, interpretato da un giovanissimo Felix Kammerer, attore austriaco al debutto sul grande schermo, non riesce tuttavia a godersi il momento, consapevole che quanto vissuto lo tormenterà per il resto della sua esistenza. A questo punto, Kat, un soldato più anziano che accompagnerà il protagonista per gran parte della vicenda, lo sprona, lo incoraggia. Infonde in lui la consapevolezza di essere ancora in vita, di doverla affrontare e onorare proprio in memoria di tutti coloro che non ce l’hanno fatta.
Edward Berger racconta una Germania divisa e paradossale, in pieno tumulto. Divisa, appunto, da una corrente fortemente nazionalista, che si imporrà negli anni successivi al conflitto, rappresentata simbolicamente dal generale Friedrichs, forte sostenitore della guerra come mezzo per difendere i valori della madre patria, e una più razionale, conscia dell’inevitabilità della sconfitta e dell’importanza di porre fine al bagno di sangue tra le file tedesche. Il principale portavoce di quest’ultima è Matthias Erzberger, politico e diplomatico, firmatario dell’armistizio di Compiègne, interpretato da Daniel Bruhl, ancora una volta capace di rispondere positivamente alle altissime aspettative in lui riposte.
von Oberndorff: Senza treni e rifornimenti, i bolscevichi ci invaderanno, i nostri moriranno di fame nella ritirata, invece di cadere onorevolmente sul campo di battaglia.
Erzberger: Onorevolmente? Mio figlio è caduto in guerra, ora non si sente onorato.
Il ritmo frammentario del film, a tratti nebuloso ma cadenzato, va sempre più connotandosi come una cifra caratteristica della regia di Berger, che alterna momenti di grande lentezza, immersivi per lo spettatore, ad alcuni di grande tensione e vivacità. Non è casuale il cambio di ritmo improvviso nell’arco del combattimento, spregiudicato e inatteso, una mossa vincente che viene declinata in un dialogo a distanza instaurato dal regista con Salvate il soldato Ryan di Spielberg, allo scopo di osservare, tramite il punto di vista del protagonista, impegnato in prima persona nel conflitto, la crudeltà disumana e la spietatezza cinica del campo di battaglia. A queste scene seguono spesso momenti di grande fervore e acceso dinamismo, accompagnati dalle musiche di Volker Bertelmann, che conferiscono un senso di imprevedibilità al film, oltre a un grande pathos che si snoda lungo tutta la trama in un’altalena di emozioni così espressive da sembrare vive. Da rimbombare nella mente dello spettatore come un sibilo costante.
Nella sua notevole rappresentazione della guerra e del contesto storico che la circonda, tuttavia, il regista sembra riservare un ruolo di secondo piano ad alcuni personaggi, la cui evoluzione è spesso troppo frammentata e non riesce a seguire una linea logica. Non sono poche, infatti, le figure che compaiono solo in poche scene, ricoprendo un ruolo di secondo piano, che al contempo rallentano la narrazione fin quasi a immergerla nella terribile stasi che investe la guerra nei momenti di tregua e la arricchiscono.
Berger si fa portavoce di una provocazione e di una denuncia ad alta voce, chiaramente rivolta contro la guerra e gli esponenti politici che ne fanno uso come mezzo di risoluzione dei dissidi geopolitici. Mostrando in maniera fedele e realistica gli orrori del conflitto, il regista punta a metterne in risalto in particolare il fattore distruttivo, che conduce solo a dolore e morte, soprattutto incentrata tra i civili e i soldati. Proprio per sottolineare questo suo messaggio, rappresenta in diverse occasioni il punto di vista del generale Friedrichs, insensibile e non curante delle urla e delle esplosioni provenienti dal campo di battaglia, sentite e viste, al riparo, dalla sua abitazione. Proprio questo si rivelerà essere una delle principali cause del prolungamento del conflitto, che non si fermerà neanche dopo la firma dell’Armistizio, ordinando ai suoi soldati di sferrare un ultimo grande attacco contro l’esercito francese a Latierre, per riprendersi il controllo della città. Lì dove tutto ha avuto inizio e fine.
Marco Bellassai
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