L’avvocato Vincenzo Malinconico visto alla TV
In quest’ultima stagione televisiva, Rai Uno ha deciso di puntare su un nuovo personaggio. Un uomo sulla quarantina, un po’ sgangherato e a tratti banale: Vincenzo Malinconico. Il sottotitolo Avvocato di insuccesso già ci informa su quello che è il destino di questo nuovo eroe di mamma Rai e non ci fa certo nutrire grandi aspettative. Vincenzo non è solo un “avvocato d’insuccesso”, ma è soprattutto un acrobata dei sentimenti, tenuti in piedi solo grazie all’autoironia e il giusto distacco di chi pensa, in ogni situazione, che poteva anche andare peggio.
Il personaggio di Vincenzo non nasce però per la televisione. Diego De Silva ha iniziato a raccontare delle storie di questo avvocato sui generis, un po’ filosofo, un po’ osservatore dell’esistenza sulla quale rimugina per gran parte del suo tempo, già dal 2007 (anno del primo capitolo della saga, Non avevo capito niente, edito da Einaudi). I romanzi di De Silva sono caratterizzati da una scrittura colloquiale, immediata, che ti trasporta nel flusso di pensieri di Vincenzo, nell’interpretazione che dà della realtà che lo circonda, alle cose che gli succedono, soffermandosi su certi aspetti delle relazioni umane e delle vicende quotidiane. Una scrittura ironica, pungente e veritiera che ti fa inevitabilmente pensare caspita, ma è proprio vero, oppure ma anche io faccio così!, ed è così che scappa un sorriso e nasce un’amicizia: quella con Vincenzo, che è un po’ in tutti noi uomini e donne comuni che in perenne affanno cerchiamo di fare le cose per bene, o ci proviamo. È lo stesso De Silva, insieme a Massimo Reale, Gualtiero Rosella e Valerio Vestoso, a tradurre in immagini la peculiarità di questo personaggio letterario.
La tradizione televisiva investigativa prevede una certa categorizzazione della fisionomia del detective: contano l’ambiente con cui si confronta, l’atmosfera evocata, il carisma che emana, la sua psicologia. Ombroso, inquieto, severo, maniacale, sorretto da un’intelligenza serratamente logica, oppure strattonato quasi a forza da epifanie luminescenti (vedi Il commissario Ricciardi).
Costretto, per convenzione, ad apparire inaccessibile, destare la curiosità di capire qual è il segreto covato, un’ossessione invincibile. Vincenzo Malinconico si cala a fatica in questa tradizione e disattende tutte le aspettative (almeno di chi non aveva ancora letto i romanzi di cui è protagonista). Malinconico è Malinconico. Commedia, dramma, legal triller, giallo investigativo, svuotato di pathos e riempito di ironia.
Malinconico congettura e rimugina su tutto; dispensa riflessioni e aforismi sulla vita, l’amore, la solitudine, il lavoro, i soldi, la paternità, come cercasse continuamente un senso possibile al proprio stare al mondo. Quando decide di seguire una causa lo fa perché per lui ogni incarico è un’occasione per riflettere sulla vastissima gamma delle bassezze e delle grandezze umane. Malinconico è un fallito ma non un perdente che si piange addosso. Ha una certa cultura e intelligenza divagatoria e vorace che lo rende affascinante.
Nella trasposizione da libro a fiction, il protagonista mantiene il peso che impone all’economia narrativa dei romanzi ed è per questa ragione che Vincenzo o lo so si ama, e lo si ama profondamente come un vero amico, oppure non lo si considera. Forse, chi lo ha amato di carta, lo amerà anche in versione televisiva, incarnato da un Massimiliano Gallo ottimo caratterista; anche se la serie tv ci riporta una visione che è tutta dell’autore e non è detto che corrisponda all’immaginario dei lettori.
Il Vincenzo Malinconico televisivo è a tratti troppo macchiettistico, la scelta della camminata veloce e a piccoli passi con una ventiquattrore perennemente in mano, o meglio abbracciata, lo rende fantozziano più di quanto appaia nei romanzi. Tuttavia, se si giudica soltanto questo Malinconico televisivo, non è facile comprendere cos’abbia decretato il successo del suo analogo letterario. Le disavventure, tra lavoro e privato, di cui è protagonista sono sì di intrattenimento, ma nulla di più. La scelta di unire in poche puntate 3 romanzi (Non avevo capito niente, Mia suocera beve, Divorziare con stile) corrispondenti a tre fasi e maturità del personaggio, non aiuta alla caratterizzazione delle storie. Nel mondo del Malinconico televisivo, il rovesciamento dalla commedia al drammatico avviene alla velocità della luce. Il rapporto con l’ex moglie, invadente e ossessiva, viene nel tempo dei romanzi sempre più allentato fino a limitarsi a scambio di informazioni sui figli, mentre la necessità televisiva ha creato un personaggio perennemente presente nella vita di Vincenzo che appare più come uno sciupafemmine, un uomo dall’innamoramento facile, quando invece i lettori dei romanzi ben conoscono l’importanza dei suoi rapporti e le cicatrici lasciate, oltre alle lunghissime riflessioni sulle dinamiche comportamentali nei rapporti uomo-donna.
Il legame con la figlia Alagia è forse la cosa più delicata della vita di Vincenzo, e come tale è stato trattato anche nella fiction pur non dando spazio all’approfondimento di questo sentimento.
In sostanza la versione televisiva di Malinconico appare frettolosa, manca un vero costrutto narrativo, anche le battute che deliziano i romanzi vengono recitate tutte una dietro l’altra al punto che lo spettatore ride sì, ma non sa più per cosa, quale battuta era quella che ha scatenato il riso? Anche i personaggi che fanno da spalla a Vincenzo in queste scenette esilaranti (come Espedito e l’avvocato La Calamita) sono stati introdotti nello stesso tempo della storia perdendo il ruolo che avevano nel romanzo, soprattutto il secondo.
Anche se il successo televisivo (e letterario) riscontrato rappresenta la rivincita dell’uomo comune, del debole, dell’imbranato, di colui che si lascia vivere senza prendere posizione, la speranza per questa nuova serie Rai è che si irrobustisca, mantenendo la forma ironica e simpatica che contraddistingue Malinconico, e al contempo che prenda corpo e sostanza nella caratterizzazione dei personaggi e delle storie tratte dai relativi romanzi.
Un’altra opinione strettamente personale: la Rai dovrebbe smettere di bruciare così i suoi attori. La scelta di mandare in onda Vincenzo Malinconico a ridosso della chiusura della stagione di Imma Tataranni, molto concentrata nelle ultime puntate sul personaggio del marito interpretato dallo stesso Massimiliano Gallo, ha creato una confusione iniziale sul personaggio che pareva fin troppo somigliante nelle movenze e atteggiamenti.
Anna Chiara Stellato