Raccontare il tema della divisione pone una sfida non indifferente. Qualche anno fa scrissi un romanzo che partiva dalla separazione fisica di un’isola attraversata dal filo spinato per poi narrare la separazione fisica di due personaggi che l’avevano abitata. Poiché l’essere umano prova sempre a darsi una spiegazione per ogni cosa, quando la spiegazione riguarda i sentimenti, raramente si perviene a una giustificazione adeguata, e allora si ricorre alla metafora, al mistero, alla religione, alla superstizione e alla metafisica.
Leggendo Fisica delle separazioni in otto movimenti di Giacomo Sartori (Exòrma, 2022) si ha invece l’impressione che, nella spiegazione del distacco, a prevalere sia il lato più razionale e obiettivo. Questo non vuol dire che non ci sia spazio per parlare di sentimenti ed emozioni, tutt’altro; sono le emozioni a essere presentate senza perdere il contatto con la realtà e senza librarsi in volo staccandosi dal terreno. Insomma, Sartori non inciampa mai in una facile “metafisica delle separazioni”, e tiene fede alla sua promessa per tutto il libro, tranne che per qualche guizzo di cui parleremo più avanti.
La prima regola di saggezza per affrontare la separazione è l’oblio. «Bisogna dimenticare i momenti indimenticabili passati assieme», scrive Sartori in forma di aforisma e paradosso, tornando poi sopra questo stesso argomento in chiave di confessione che rivela l’impossibilità di programmare l’oblio: «[N]on scordo un solo minuto che devo e voglio dimenticare».
In queste poche battute si nasconde il dramma della voce narrante, protagonista sballottato dalle onde di una relazione complicata che, una volta finita, non si riesce a cancellare. La lotta dell’uomo è sempre stata quella contro l’oblio, ed è per questo che ha inventato la scrittura e ogni altro meccanismo per registrare fatti storici e ricordi personali. La memoria vivida, per quanto dolorosa, o forse proprio in quanto dolorosa, persiste nei pensieri del protagonista, che non può nulla contro il suo riemergere involontario dal profondo dell’inconscio, sempre caparbiamente in piena risalita, fino ad annidarsi nei pensieri di ogni giorno e di ogni momento.
La fine del rapporto tra il protagonista e la moglie Mila sembra essere destinato fin dall’inizio a causa delle loro «infelicità individuali così diverse ma per molti versi anche simili» e, in quanto simili, terreno comune delle loro vite. Se un rapporto si basa su due infelicità individuali nasce già sotto il segno della rottura, come due cocci che non s’incastrano ma che decidono di stare vicini solo perché sanno di essere stati originati dallo stesso vaso in frantumi. Il collante, in questo caso, sono le parole, «quelle parole che accendevano l’amore al loro passaggio, come un vento che sparge dappertutto i semini di una pianta infestante». Allo stesso modo, «le parole dei libri che avevamo letto […] assieme, spesso a voce alta» tengono il rapporto vivo per tutto il tempo che riesce a durare, dando anche voce a storie articolate e sviluppate che sfociano in mitologie. «Le coppie vivono di mitologie» e i prodromi del distacco si cominciano a intravedere allorquando si inizia a fare uso delle parole per parlare degli altri anziché di sé stessi.
L’infelicità dei protagonisti ha un’origine ben precisa: il conflitto tra i valori fascisti delle rispettive famiglie di provenienza e il ripudio di questi valori, che a sua volta determina inevitabilmente il distacco dalla sfera familiare. La separazione, dunque, attraversa anche i conflitti generazionali, estromettendo la radice genealogica dalla propria vita, e arrivando persino a intaccare la radice della provenienza geografica, che poi tanto somiglia a quella biografica dell’autore. Sappiamo che Sartori è originario del Trentino ma vive a Parigi; allo stesso modo, il protagonista del suo libro è un emigrato italiano che ha tolto le radici dal paese in cui è cresciuto per approdare in Francia. La peculiarità di questo spostamento, però, sta nel fatto che, una volta sradicata, la pianta non ha voglia di mettere radici sul suolo francese, determinando una separazione perpetua, sia dalla patria (la tradizione, il passato) che dal paese d’adozione (presente e progetti futuri).
Perché Giacomo Sartori impiega ben otto movimenti per affrontare il tema della separazione? Una risposta banale potrebbe essere: il dolore della separazione va preso e affrontato a piccole dosi. Un po’ come le dosi di codeina che il protagonista ingurgita per tenere a bada il mal di testa e il bisogno dettato dall’assuefazione. Ma ci potrebbe essere anche un altro motivo: la separazione ha tante possibili sfaccettature e non riguarda solo il rapporto di coppia, anche se esso resta comunque il protagonista di questo libro. La separazione investe tante sfere, a partire dal lutto per arrivare agli oggetti e alle cose. La morte delle persone care è onnipresente, a volte concreta, come nel caso di una eutanasia di cui il protagonista si rende fautore, a volte più impalpabile e spettrale, come il timore che possa accadere un incidente a chi si ama. E poi c’è la morte degli oggetti che si lascino alle spalle, come un appartamento che si popolerà di nuovi inquilini, o vecchi taccuini su cui sono annotati i pensieri da sviluppare in un futuro romanzo. A poco a poco la morte sembra investire tutto, quella «morte con la quale la società [superficiale e consumistica] da dove venivamo non sapeva confrontarsi».
A forza di riflettere e rivangare i dettagli del passato – quel passato che si vorrebbe dimenticare ma che si impone prepotente nei pensieri del protagonista – verso la fine del libro si giunge a una confessione: «la razionalità mi sembrava spiegare sempre meno bene quello che mi succedeva». È come se la fisica e la scienza diventassero meno affidabili, perché il protagonista si confronta con «messaggi che esulavano dalla comprensione che avevo della realtà, segnali provenienti da una dimensione che non padroneggiavo». Non è un trionfale colpo di scena ma, piuttosto, una timida apertura verso la vastità dell’invisibile e della dimensione spirituale.
Bisogna ammettere che la prova letteraria di Sartori è notevole: la sofferenza generata dal tema non è di facile sviluppo, soprattutto se si cerca di affrontarla con una lucidità di analisi e di descrizione quasi scientifiche. Il marcato riferimento a fatti e dettagli autobiografici aggiunge una patina di intimità al racconto, conferendogli anche un’aura di coinvolgimento e autenticità. E proprio perché l’autenticità si manifesta attraverso un libero flusso di pensieri, è normale che Sartori torni ripetutamente su certe sensazioni e certi stati d’animo, ripresentandoli e ripetendoli, e corroborandone l’importanza attraverso la ripetizione. La riflessione e la descrizione hanno la precedenza nell’universo narrativo che è contenuto in questo libro, e prendono il sopravvento sulla stessa trama, che viene decostruita in una serie di frammenti che si richiamano tra di loro: una lettura che non vuole presentare eroi ma che parla direttamente al cuore di chiunque abbia vissuto il dolore causato da qualche forma di separazione.
Giuseppe Raudino
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