Racconto: Conto alla rovescia
Call: Confine
«Vieni a mangiare».
«No ma’, non ceno».
«Come no?»
«Non c’ho tempo».
«Vabbè, te lo porto qua».
Poco dopo mia madre entra in camera e poggia un vassoio per dieci persone sulla scrivania. Precisamente sui fogli da cui sto copiando gli appunti.
«Non faccio in tempo a mangiare, sto in ritardo, devo ancora rileggere tutto prima di spedire la domanda».
«Ma scade a mezzanotte, mi vuoi dire che non ti puoi fermare un secondo per un boccone? Ho fatto i tuoi piatti preferiti ché a casa non torni mai…»
«Ma’, già sto nervosa, non ti ci mettere. Lo sapevo che non dovevo tornare».
Mia madre, piccata «Lo riporto di là?»
Guardo i peperoni ripieni.
«No vabbè, ormai lascia».
«Scema, ha detto mamma che qua ti congeli, ti ha messo il tavolino vicino al camino, vieni col computer, abbiamo spento la tv». Mia sorella è sempre gentile.
Arrivo in salotto ciabattando con fogli, telefono e pc, a piccoli passi per non perdere la coperta in cui sono avvolta a mo’ di wrap del McDonald’s. Mi sistemo di spalle al fuoco e continuo a compilare la domanda per il ministero. I miei sussurrano per non disturbarmi. Ma mi disturbano. Perciò alzo lo sguardo dallo schermo.
Mio padre, spazientito: «Hai finito? Quanto manca?»
«Zitto, non la distrarre» lo rimprovera mamma.
«No, documenti su documenti, diciottomila file da scrivere e da allegare»
«Ma quando scade ‘sto bando?» chiede mia sorella senza alzare gli occhi da Instagram.
«Stanotte».
«Non ce la farai mai».
«Un sinonimo di noioso?» chiedo con urgenza.
«Rompicoglioni».
«Non posso scrivere rompicoglioni sui documenti del ministero!»
«Non può scrivere rompicoglioni sui documenti del ministero!» l’eco è mia madre.
Mia sorella fa spallucce «Magari apprezzano lo stile da giovane».
«Ma che giovane, che c’ha trent’anni…»
«Grazie ma’».
«… deve essere professionale».
Non ho tempo per discutere, affronteremo la questione anagrafica un’altra volta.
«Sì ma ‘sto sinonimo? Per dire una cosa così noiosa che non ce la fai più…?» gesticolo per spiegare la sensazione.
«Monotono?» mia madre tenta di aiutarmi…
«No, di più».
… «Cerca su Google» a differenza di mia sorella.
«Non posso mica cercare come si dice quando ti stanno proprio rompendo le palle, lo capisci che non mi sta venendo la parola?!»
«Esasperato».
«Eccolo! Bravo papà!»
«Come noi». Mio padre lentamente si dirige verso la camera da letto. Spegne tutte le luci dietro di sé, tranne la nostra. Il resto della casa è avvolto nel buio.
Mamma ricarica il camino con due pezzi di legna.
La mezzanotte è sempre più vicina e l’ansia aumenta tanto che ormai scandisco ogni frazione di secondo picchiettando una ciabatta a terra. Mia sorella non fiata, allunga una mano e me la poggia sulla coscia. Impone il suo volere senza dire nulla. Capisco che devo fermare il piede o questa domanda non la invierò più. Mai più.
Ho completato le tre relazioni: ho centellinato le parole, scelto i giri di frase migliori, e finalmente il numero di caratteri rientra in quello richiesto. Le incollo sul formonline.
La cella si contorna di rosso. Un paio di punti esclamativi mi avvertono che ho superato il numero di battute. Stiamo scherzando?? Cancello, copio e incollo di nuovo: magari è stato un errore del sito. La cella si contorna di rosso. Divento paonazza pure io. Incollo le altre relazioni. I riquadri rossi ora sono tre. Emetto un urlo gutturale poco consono all’orario. Mia madre sobbalza e si riaggiusta gli occhiali sul naso, mia sorella mi incenerisce con lo sguardo.
Prendo il telefono, mando un audio concitato, e inutilmente lungo, a un mio collega.
Spazi inclusi o esclusi? La sua domanda-risposta basta a farmi dare di matto.
«Ma il mondo è completamente impazzito! Ne va della mia carriera, del mio futuro» blatero frasi senza senso, incolpo a turno il ministero, il fato e la vita infame, mentre digito veloce e disperata. Inizio a scrivere solo con gli indici ossuti, che disegnano archi nell’aria tra una lettera e l’altra e pigiano quasi a bucare il computer. Devo ripensare a tutto, riformulare le frasi…
«Tagliane due a caso, tanto ‘sti papiri non li legge mai nessuno» mia sorella è pragmatica; mamma invece sarebbe stata una perfetta cheerleader: «Dai, concentrati che ce la fai, hai ancora mezz’ora».
Più scorre il tempo e più mi accaloro. Mi spoglio dei miei strati di coperte e maglioni, resto in pantaloni e canottiera, curva sul pc.
«Stai dritta con la schiena. Non è che se stai gobba finisci prima».
Mia sorella fulmina anche mia madre, che si zittisce, ma che comunque si sente in dovere di venire a correggermi la postura.
«Finito! Questo bando mi cambierà la vita, me lo sento! Esporto l’ultimo file… e devo apporre la firma digitale». Non mi pare vero. «Firma digitale che ho attivato l’altro ieri…» mormoro senza perdere il sorriso «per concludere devono mandarmi un codice di sicurezza per messaggio… un codice… quando arriva ‘sto codice?»
«Clicca di nuovo».
«Ho cliccato, ma non arriva» guardo il cellulare. Provo ancora. Nulla.
«Non funziona mai niente! Manca un quarto d’ora!» mi strappo i capelli, vomito parole tra la lagna e il pianto «ho perso le ultime settimane per farmi la firma digitale e il conto corrente e la spid e la pec e l’abbonamento a Donna Moderna!» vortico in tondo per il salotto «Cosa vogliono ancora? Eh? Il sangue?»
«Che c’entra Donna Moderna?»
«Era per non impazzire! Lo sai che i glitter sono tornati di moda? La gente vuole i glitter, non gli intellettuali! Io volevo creare arte e mi tocca la burocrazia! Da domani vado a lavare le scale, quelle almeno stanno lì, le vedi, le tocchi. Le scale sono le cose vere dell’esistenza!» mi lascio andare a uno sproloquio che mi ruba altro tempo prezioso «E ci vado truccata di glitter!»
«Sto cellulare è rotto, i messaggi non arrivano» mia sorella sbatte il mio iPhone sul tavolo e poi ricontrolla se funziona.
«Quante volte te l’ho detto che lo devi cambiare? Voglio sapere dove la trovi una mamma che ti dice andiamo a comprare un telefono nuovo e tu non vai!»
«E mo come faccio?» gli occhi mi sporgono dalle orbite.
«Metti la scheda nel mio».
«Non siamo negli anni novanta, ma’».
Nel dubbio provo. Accendo il suo smartphone con la mia scheda, mi chiede il PIN. Entro. Forse funziona. Clicco dal pc invia codice. Non arriva nulla. Premo ancora a raffica. «Mo lo rompo ‘sto tasto!»
«Provo a mandarti un SMS io» fa mia sorella «vediamo se arriva».
Bghjsjsgdhs.
La guardo «Sì. Il tuo è arrivato»
«Allora non è il telefono, cretina» sentenzia «controlla la mail».
Mi precipito.
«Lo spam, la posta indesiderata…»
«Niente».
Do tre testate sul tavolo, ma piano, perché comunque resto pavida.
Mia madre ha un lampo: «Non è che non funziona internet e il computer non riesce a mandarlo?»
«Non lo sooo». Sul mio lamento prolungato, dalle tenebre spunta mio padre, in pigiama, che si scaccola gli occhi di sonno.
Spengo e riaccendo il modem una ventina di volte. Luce rossa, gialla, verde.
«Chiamo l’assistenza? Qua dice 24 ore su 24».
«Fermo papà, ma che assistenza…»
Il volto di mio padre viene investito dal fascio bianco del suo display, sbadiglia mentre controlla se a lui internet si connette. Io, nel delirio più totale, chiamo il mio fidanzato che sta a 400 chilometri di distanza.
«Non hai ancora inviato la domanda? Ti riduci sempre all’ultimo!»
«AAAH!» grido «Per fortuna che esisti tu che non sbagli mai! Grazie, ti ho chiamato per questo».
«Mi ero dimenticato che non ti si può criticare».
«Non aspettavi altro! Lo fai per vendicarti. Ti sei legato al dito quella volta che abbiamo perso l’aereo. Te l’ho già detto, ero in ritardo perché la valigia non si chiudeva, e non si chiudeva perché era piena di souvenir per i tuoi parenti! Abbiamo speso più di regali che di hotel!»
«Abbiamo speso più per ricomprare i biglietti di ritorno veramente».
«AAAH! Allora vedi che porti rancore!»
Innervosita, mi svesto anche dei pantaloni mentre finalmente riesco a spiegare a quel genio con cui mi accompagno quale sia la situazione attuale: «Non mi arriva il codice per la firma digitale. Senza non posso allegare l’ultimo file alla domanda. Io mi ammazzo».
«Ma se lo alleghi senza firma, e domani rettifichi con la pec e mandi il file corretto?» azzarda mia sorella-maga della truffa.
«Mi squalificano» commento io, anche se un po’ ci penso.
«Almeno faresti l’invio in tempo, guarda che mancano cinque minuti»
Come cinque minuti? Quando è successo? Non ce la farò mai! Mi butto a terra, ho bisogno di freddo per pensare. La mia vita fa schifo.
«Pronto, salve, scusi l’ora, ma forse non funziona internet, ci serve urgente».
«Papà, ma non è internet».
«Come dall’Albania? E vabbè, basta che mi risolve, anche se da lontano».
«Papà, internet funziona…»
«N… no, praticamente non ci arrivano gli SMS».
«Papà, per gli SMS non serve internet!!» sbrocca alla fine mia sorella.
Il pavimento è fresco. Fisso il soffitto. Perché non me ne va mai bene una?
Il mio fidanzato è in viva voce: «Quando hai registrato la firma digitale, hai dato il recapito telefonico giusto?»
Oddio, mi alzo di scatto. Veloce, la mail, dove sta, l’altro ieri… «Eccola… Mmh avvenuta registrazione… mmh…»
«Grazie signorina e buona serata a lei, anzi buonanotte, non so che ore sono lì al suo paese».
«Papà, chiudi!» gridiamo in coro.
Arrivo alla fine: «riceverai un codice di sicurezza… sulla tua app…» pronuncio smarrita.
«Non c’entra il numero di cellulare allora!»
«Vai sull’app!» Urlano tutti insieme.
La trovo nell’ultima schermata: «Non ricordavo nemmeno di averla. Oh… ho 76 messaggi di codici…»
«Serve l’ultimo, l’ultimo!» gracchia il vivavoce.
Scorro tra i numeri, copio il più recente. Finalmente la firma funziona.
«Messo! Okay. Documento firmato. Madonna, sto male» mi porto una mano al petto.
«Veloce, allegalo».
«Dai!»
«Fai subito!»
«Manca un minuto!»
Mo mi viene un infarto.
Aggiungo l’ultimo file sul sito del ministero. Premo Invio.
«Fatto».
La tua domanda è stata presa in carico.
Silenzio dall’altra parte del telefono.
Mia sorella sospira.
Mia madre deglutisce e si sistema gli occhiali sul naso.
Mio padre cade, svuotato, sulla poltrona.
L’ultima fiamma del camino si spegne.
Papà si raschia la gola.
«Se… dico per dire… non ti dovessero prendere, quand’è il prossimo bando?»
«Tra sei mesi».
«Per pietà, comincia a prepararti da adesso».
Amelia Di Corso lascia la sua amata Vasto per dirigersi a Roma, città in cui studia Cinema, Arti Drammatiche e si specializza in Drammaturgia e Sceneggiatura. Lavora in teatro come regista, attrice e drammaturga. Pubblica racconti su riviste e antologie. Fonda L’Avvelenata, con la quale produce contenuti ed eventi culturali legati al mondo del teatro, delle arti letterarie e del cinema. Ha un podcast «Aperte Virgolette» composto da audioracconti e interviste. Istituisce il Premio Letterario L’Avvelenata (in giuria anche Daniele Mencarelli e Paolo Zardi) in collaborazione con riviste e case editrici. Fa parte del gruppo AĒ, con cui scrive sceneggiature, spot e cortometraggi (tra cui buongiornissimo!1, vincitore al Giffoni Film Festival 2020).
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