Racconto: Lasciami entrare – Marco Peluso

Racconto: Nella camera chiusa
Call: Confine


Mia madre non si rassegna a lasciarmi morire, invia decine di messaggi, sempre le stesse cose.
«Come va, hai mangiato?»
Ogni volta mento. I mobili sono quasi vuoti, nel lavello galleggiano piatti sporchi. Il pavimento della camera da letto è zeppo di mozziconi e bottiglie vuote. Seduto a terra, accanto allo scatolone con le copie del mio romanzo, osservo dal portatile decine di sconosciuti sui social network entusiasti perché il mio libro partecipa al Premio Napoli.
Ringrazio e dispenso benedizioni, standomene in mutande a parlare di Hugo e altri scrittori morti, e mi chiedo solo se Joyce abbia mai pisciato in una bottiglia.
Scoppio a ridere e tossisco, rivoli di saliva mi colano sulla barba. Vorrei raccontare ai miei lettori di come evito il padrone di casa per non pagargli l’affitto.
E mia madre continua a chiedermi se ci siano novità.
«Quell’annuncio lo hai visto?»
Oggi sono andato a un colloquio giusto per farle piacere. La ragazza che mi ha accolto ha spalancato gli occhi dall’imbarazzo.
«Quanti anni ha detto che ha?»
«Quaranta. Sono uno scrittore, ho del tempo libero e cerco un secondo lavoro. Qualche soldo in più non fa male.» Ancora bugie! E diglielo, Tony, diglielo che in verità hai fallito. Smettila di dire che sei uno scrittore. Il premio a cui stai partecipando non conta un cazzo, quelli come te non vincono mica. Il grande editore ti ha snobbato, il tuo romanzo è uscito con una piccola casa editrice e non ti ha fruttato un quattrino ed editare testi di merda non ti permette di pagare l’affitto. Diglielo che a quarant’anni suonati sei costretto ad accettare l’elemosina di tua madre, quella santa donna che neppure ha il coraggio di sputarti in faccia la verità: che non vali niente, che sei solo un bugiardo e ancora credi che fingerti uno scrittore possa cambiare le cose.
Mi sono trovato in un dedalo di postazioni occupate da decine di persone che sbraitavano contro dei monitor, seduto accanto a una ragazzetta che agitava le unghie pittate verso uno schermo.
«Signora, fosse bello se sarebbe come dice lei.»

*

Non ho più scuse da rifilare a mia madre per i lavori che ho rifiutato, eppure mi crede ancora. Ha detto che appena il suo compagno starà bene lei mi porterà dei soldi e da mangiare. Ma so che mente. Ciro mi reputa un lavativo, se non vado a trovarli è per non sentire le sue prediche.
«Ma lo vedi che non gli va di fare nulla?»
Poco fa ho contato i soldi che mi restano, una manciata di monete. Persino il pakistano giù da me mi ha fissato male quando le ho contate sulla cassa per pagargli il vino.
«È per cucinare» gli ho detto. Non penso ci abbia creduto, come la vecchia a Forcella da cui ho preso tre pacchetti di sigarette da due euro, anziché i soliti da tre.
«Non ho molti contanti con me.»
Avrei voluto urlarle in faccia che quei soldi glieli stava dando uno scrittore, ma sono andato via a testa bassa, senza più un soldo.

*

Sui social persone di cui non mi frega nulla continuano a congratularsi per il mio libro. Se solo sapessero che sto usando le sue pagine per pulirmi il culo. Pure la carta igienica è finita.
Sono felice che mia madre non sia venuta. Quando l’incontro in strada devo sopportare le sue parole colme di pena e lo sguardo truce di Ciro.
Cibo e vino stanno per finire. Ho sbriciolato le sigarette per ricavarne di più, ho persino raccattato i mozziconi dal pavimento e da sotto al letto: mi sono ritrovato tra le dita uno scarafaggio, agitava le zampette e scuoteva le antenne. Sembrava mi fissasse.
L’ho lanciato contro una parete e sono crollato a terra, ridendo e tossendo nel vederlo correre sotto un mobile.
Forse dovrei fare lo stesso, nascondermi.

*

Ho venduto tutti i libri, sono rimaste solo le copie del mio romanzo. Tanto, da mesi non leggo niente. Mi butto sul letto e chiudo gli occhi in cerca dell’idea giusta, ma il pensiero dei soldi è una cantilena ridondante.
Cinquanta centesimi a libro. Trecento euro per tutti gli autori che ho amato. Ne mancano cento per l’affitto, e mia madre che continua a scrivermi.
«Come va?»
Ho riprovato a cercare lavoro. Le strade del centro storico erano appestate dal profumo di cibo, davanti a pizzerie decine di persone affondavano i denti in oleose frittatine, strappavano brandelli di pizza fritta senza badare alla provola che colava a terra. Avrei voluti fiondarmi ai loro piedi e leccarla dai sampietrini, strisciare tra le gambe della gente seduta ai tavoli dei ristoranti e implorare un boccone di pasta, un pezzetto di carne. Ma sono andato avanti a testa bassa. Nell’ultimo locale non mi hanno neanche fatto entrare.
Inizio a odiarli tutti. Odio anche mia madre.

*

Mia madre mi ha fatto un bonifico di cento euro. Non le ho detto che sono serviti per l’affitto, non sa dei libri.
È strano vedere le librerie vuote, è come essere nudo, ma ormai giro in casa coperto solo di sporcizia.
Ho raccattato alcuni mozziconi dai marciapiedi del corso Umberto, una bambina mi è corsa incontro, sorridendo.
«A cosa giochi?»
Sono scappato. Grazie a Dio nessuno mi ha riconosciuto.
Per rollarle sto usando le pagine del mio romanzo. Dei filtri non mi importa, tanto la tosse è sempre più forte, fumare lo schifo che ho scritto mi sta uccidendo. Stamani tossivo così forte da non riuscire ad alzarmi dal letto, il cuore batteva all’impazzata. Ho creduto di stare per morire.
Per un attimo l’ho sperato.

*

Me ne sto sul letto a bere vino, sforzandomi di non leggere le stronzate propinate su di un social.
«Sei bravissimo, il tuo romanzo mi ha fatto commuovere.»
Cazzate, come quelle che scrivo a mia madre.
«Devono intervistarmi per il libro.»
«Sto parlando con un cliente per un editing.» Bugie! Solo bugie. E diglielo che stai mandando a puttane ogni lavoro perché sei troppo presuntuoso. Tu sei lo scrittore! Non puoi mica mischiarti con la feccia, vero? E intanto lei che soffre per te. Lei che ti passa i soldi di nascosto. Avanti, Tony, raccontagliela giusta la storia, dille come sei ridotto. E ancora ti sforzi a fingerti uno scrittore! Non sei niente, Tony, ammettilo e chiedi perdono a quella donna.
Alcune volte giro nell’appartamento parlando da solo.
«No, non dobbiamo preoccuparci. Andrà tutto bene.»
Poi mi stringo la testa tra le mani e scoppio a ridere.
«Sto impazzendo.»
Stanotte, per la prima volta dopo tanto tempo, ho guardato fuori dalla finestra.
Avevo dimenticato quanto sono belle le stelle.

*

Ho venduto il cellulare per venti euro. Non ricordavo il sapore della mozzarella. Nell’addentarla ho dovuto chiudere gli occhi per trattenere le lacrime. Poi, di colpo, ho pensato a mia madre.
Di certo mi stava chiamando.
Si è presentata a me di sera, picchiava i pugni contro la porta.
«Tony…»
Ancora non si decide ad andare via. Ora piange, gratta sulla porta. Forse è caduta in ginocchio.
Stringo le mani contro le orecchie, ma quella voce non cessa, lei non va via.
«Tony, perché non apri?»»
Fracasso la bottiglia contro una parete per dirle che non sono morto. Mi rannicchio a terra e dondolo su me stesso, ripensando al bagnetto di quando ero bambino e lei che mi cullava per farmi dormire.
E lei che continua a chiamarmi per nome.

*

Sta ancora seduta a terra, ne sono certo. Ogni tanto sento Ciro urlarle di mandarmi a fanculo, alcuni sconosciuti bisbigliano tra loro.
Raschia contro la porta come un cane, la voce ridotta a un rantolo.
«Tony, ti ho portato da mangiare. Perché non mi apri?»
Il profumo del cibo penetra in casa e si insinua sotto la coperta in cui sono avvolto. A occhi chiusi, mordo il cuscino in cerca dei cannelloni che lei cucinava di domenica, le pizze al forno che faceva di sabato.
La mano trema sul letto, ma tra le dita scivola solo la voce di mia madre, simile a una prece.
«Per favore, lasciami entrare.»

*

È notte fonda, ma lei non demorde. La sento respirare contro la porta mentre vado avanti e indietro nella cucina, portando la bottiglia alla bocca e tossendo per il fumo che si addensa sul soffitto. Dalla camera da letto arrivano i bagliori delle fiamme. Non voglio fare altro che respirarlo, ma un colpo contro la porta mi fa sussultare, la voce di Ciro sembra squarciarla.
«Ti decidi ad aprire?»
Cado in ginocchio, tossendo, attorno a me sento ronzare un coro di voci sommesse.
«Esce del fumo da sotto la porta. Chiamate i pompieri!»
«Ti decidi ad aprire ’sta cazzo di porta?»
E mia madre che continua a piangere, mi implora di farla entrare, mentre qualcuno prende a calci la porta.
Quando si spalanca, alcuni uomini si precipitano verso il lavandino, tra la foschia scorgo solo mia madre: i capelli arruffati le cascano sul viso diafano, ha gli occhi lucidi e tende un braccio in avanti, le tremano le labbra ma non riesce a parlare.
Il fumo la travolge in un’ondata e cade a terra, gli occhi ancora fissi su di me. In un attimo delle sagome l’accerchiano, la scuotono. Ma lei non si muove. Sembra così serena, voglio che resti per sempre lì, ora posso finalmente smettere di mentirle.
Mi tiro su lentamente, ancora tossendo. Nessuno bada più alle fiamme, tutti sono attorno a mia madre, Ciro la scuote e urla il suo nome.
Barcollo in camera da letto, le fiamme danzano di fronte a me, hanno bruciato tutto tranne lo scatolone con i miei libri.
Lo afferro e lo lancio contro la finestra. Briciole di vetro mi volano sul volto prima che io cada sul davanzale, esausto.
A fatica alzo lo sguardo e osservo le stelle: sono bellissime, sembrano disegnare il sorriso di mia madre.
Mi sollevo sulle punte dei piedi, faccio forza sulle braccia e spingo il busto verso le stelle, verso mia madre, ma all’improvviso qualcuno mi afferra le spalle. In un attimo casco a terra e un calcio mi schiaccia la faccia.
«Io t’acciro!»
E ancora un altro, e un altro. Sento solo le grida di Ciro, non vedo più nulla. Con la mano tento di raggiungere mia madre oltre le fiamme, per un istante mi sembra di scorgere ancora il suo sorriso. Solo un attimo, poi tutto diventa buio. Non sento più la sua voce, nessuno pronuncia più il mio nome. C’è solo silenzio. Persino le urla sono svanite, finalmente.


Marco Peluso, autore napoletano classe ’81, ha esordito nel 2013 pubblicando con Damster Edizioni il suo primo romanzo: Viola come un livido, premiato al Buk Festival di Modena nel 2014. Con Damster ha pubblicato altri cinque romanzi in formato digitale, altri due sono usciti con Lettere Animate e Meligrana. È stato inoltre curatore e autore di due antologie: una edita da Damster e un’altra da Les Flaneurs.
Suoi racconti sono stati pubblicati su Nazione Indiana, Micorize, Salmace e Retabloid, oltre che sul quotidiano Il Roma e nell’antologia Il grande racconto di Renoir edita da Edizioni della sera.
Il suo ultimo romanzo, Piciul (Linea Edizioni), è stato scelto dalla giuria tecnica della 68° edizione del Premio Napoli. È innamorato di Victor Hugo e ha una vera ossessione per Georges Simenon.

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Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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