La notte più buia. Cronache di una generazione (Mimesis, 2022) di Roberto Gramiccia, medico e critico d’arte, è un libro che oscilla tra l’autobiografia e il bilancio storico, che usa l’esperienza individuale ed estesa nel tempo come antenna per captare le trasformazioni a cavallo tra Novecento e nuovo millennio.
Il punto di partenza del libro – articolato in capitoli brevi e abbastanza indipendenti tra di loro – ci permette già di inquadrare il suo spirito: la notte più buia, che dà il titolo all’opera, è un episodio autobiografico (trovarsi «dentro un letto troppo grande per essere il tuo […] urlando a squarciagola, nel buio più fitto, senza che nessuno ti risponda»), che si colloca nell’infanzia dell’autore e da cui quello fa partire la sua autoanalisi; ma è anche, metaforicamente, una catabasi all’interno della storia collettiva, quel momento in cui, durante il lockdown del 2020, ci siamo trovati tutti di fronte a un buio pesto, all’arrivo di una notte nuova e all’impossibilità di capire quale direzione prendere per uscirne.
Fin dall’inizio, l’autore sottolinea infatti come gli eventi pandemici siano alla base delle motivazioni dell’opera e nella Premessa leggiamo che non avrebbe «mai scritto questo libro se non fosse esplosa la pandemia da covid-19», ma soprattutto che, quindi, «l’unica cosa che conta veramente è cambiare tutto». La pandemia è vista quindi come macro-evento rivelatorio delle contraddizioni del presente, e il libro di Gramiccia vuole raccontarle, valutandole sulla propria esperienza personale e – come un medico che scopre la patologia a partire dal sintomo – indagandone l’origine storica.
Perché l’esperienza di un singolo possa far comprendere un processo storico come quello dell’implosione dell’Occidente nella pandemia si capisce in due modi: primo, considerando il quadro ampio entro cui si colloca la vita di Gramiccia, in termini anagrafici ma anche di varietà di esperienze vissute (tra impegno politico, impegno sanitario e critica d’arte); secondo, considerando in generale l’individuo come sguardo sulla storia, pettine su cui si annodano le direttrici diverse e contorte della storia. È vero che La notte più buia si apre volentieri anche a racconti aneddotici, che a volte svelano alcuni curiosi retroscena del mondo artistico, e a volte invece appaiono come pure divagazioni autobiografiche (forse meno interessanti, queste); ma se guardiamo al complesso del libro vediamo un tentativo di mappatura (soggettiva, non sistematica, ma comunque apprezzabile) delle trasformazioni al cambio di millennio.
E tra queste trasformazioni al primo posto c’è sicuramente quella politica: il libro – che non rinuncia mai all’inquadramento storico dei fatti raccontati – parte dai resoconti dell’attivismo degli anni ’60 e ’70 e arriva al crollo del muro di Berlino, al berlusconismo, alle evoluzioni recenti della politica italiana che sembrano aver messo una tomba sulle immaginazioni di una generazione che aveva fiducia nell’azione politica e che oggi, invece, guardandosi addietro, vede occasioni perse e macerie.
Da questo punto di vista un ruolo significativo, più dell’arte, lo ricopre la medicina. Gramiccia si dichiara infatti critico nei confronti dell’evoluzione recente della medicina, lanciata senza freno verso una tecnicizzazione che assottiglia la dimensione umana della sanità, e anche quella in certo senso “artistica”, ovvero l’intuizione necessaria che, secondo Gramiccia, un buon medico acquisisce solo attraverso l’esperienza: «Negli ultimi decenni, con l’imporsi del diktat ipertecnologico […] l’anamnesi è stata derubricata a banale compilazione di moduli, o alla risposta, standardizzata con delle aride crocette, a domande precompilate. […] Lo scenario che si è determinato in Sanità è quello di un miglioramento straordinario della tecnologia che produce profitto e di una liquidazione totale di tutti i saperi e le pratiche che non lo producono.»
La medicina – l’ambito che l’autore conosce meglio – diventa quindi un terreno d’indagine privilegiato per guardare alle fratture del nostro tempo, proprio alla luce di quella ospedalizzazione generale della società a cui abbiamo assistito durante la pandemia e da cui, come detto, il libro prende spunto. Predominio della tecnica e logica del profitto contro intuizione “artistica” e pratica della cura umana: nella zona della medicina si scontrano queste forze, e voler descrivere questa dialettica, voler evidenziare la fertilità di questo campo di osservazione, in un momento storico in cui al contrario la medicina è assolutizzata e sostituita a ogni altra ragione sociale, mi sembra l’aspetto più interessante del libro.
Antonio Francesco Perozzi
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