È la serie tv del momento. Quella che tutti stanno guardando e di cui tutti cercano spasmodicamente anticipazioni, provando a intuire a chi abbiano sparato, chi sia morto, e se sia effettivamente morto qualcuno nell’enigmatico finale. Perlomeno, finché non è andata in onda anche l’ultima puntata. Prima ancora che si concludessero le riprese della terza stagione, a settembre, le prime due erano nella top ten delle serie più viste in Italia su Netflix, e da allora non ne sono ancora uscite, salvo brevi parentesi. Nel mese di febbraio, in cui è stata distribuita anche la terza stagione su RaiPlay, la serie ha superato la cifra di 105 milioni di visualizzazioni. Instagram è stato ingombrato di meme e reel di ogni tipo, inclusi rifacimenti amatoriali e parodie in un numero che non si vedeva dai tempi di Gomorra.
Sui social si sono moltiplicate le pagine dedicate, talvolta anche solo a questo o a quel personaggio, e persino alle coppie di personaggi, con materiale e video fan-made. Agli inizi di marzo, tre dei protagonisti di Mare Fuori sono stati ospiti in una delle trasmissioni più viste di Canale 5 (e della televisione intera), C’è posta per te, costituendo un fatto insolito nel panorama televisivo italiano: ma quando mai abbiamo visto un’emittente ospitare il cast di una serie tv, proprio nel momento in cui questa va in onda su una rete della concorrenza? Sarà un segno dello strapotere mediatico che ha ormai assunto Mare Fuori, incluso il fatto che sia stata venduta ed esportata, tra gli altri, anche in Francia, Germania e Israele? Ma allora perché nessuno ne parla e in tanti la criticano?
Senza giri di parole, possiamo ammettere con totale onestà che – ci piaccia o meno – Mare Fuori è diventata un cult, l’unica serie italiana ancora in onda a poter reclamare questo status. Lo star system italiano vanta un discreto numero di celebrità del piccolo schermo, da Serena Rossi a Lino Guanciale, da Vanessa Incontrada a Francesco Montanari, ma nessuno di loro subisce il pedinamento costante dei fan in cerca di una foto o un autografo – o più spesso, come si usa oggi, di un “videosaluto”. L’anno scorso, nei mesi estivi, c’era uno stuolo di ammiratori perennemente accampati al di fuori della struttura usata come set per il carcere, fin dalle prime ore del mattino. Quasi tutti giovani e giovanissimi. Sono loro il pubblico di riferimento di Mare Fuori: l’ufficio stampa della Rai afferma che oltre il 40 per cento degli spettatori è costituito da ragazzi al di sotto dei 25 anni. Sono ancora loro uno dei motivi per questa serie è così caldamente osteggiata da una parte del popolo televisivo, che le muove l’accusa di essere diseducativa.
Un programma televisivo i cui protagonisti siano personaggi adolescenti, e addirittura minorenni, in quanto reclusi in un penitenziario minorile, non può che rivolgersi a quella stessa fascia d’età come target privilegiato. E a loro non si dovrebbe parlare con la volgarità della lingua di strada – sostengono in molti. Soprattutto, non si dovrebbe indicare una realtà crudele e cruenta, pena il rischio di fuorviare le loro menti. È come se non ci fossimo mai evoluti dai tempi in cui il professor Manzi teneva lezioni sulla Rai e alla tv si chiedeva di assolvere a una funzione pedagogica. Ma perché mai, di grazia, la televisione dovrebbe sostituire o completare il ruolo della scuola e dei tutori, anziché aderire a uno standard di verosimiglianza senza il quale sarebbe inguardabile? Esiste una quantità di violenza, e di crudeltà, nella storia televisiva, musicale, cinematografica e artistica dell’umanità, che più che stimolare e promuovere la violenza vera, reale, aiuta semmai a incanalarla, sfogarla, comprenderla e, infine, rimuoverla.
Ci sembra di tornare ai tempi in cui dovevamo difendere Gomorra dalle critiche di chi l’accusava di proporre un’immagine troppo brutale della città che non faceva bene alla città stessa. I detrattori della serie Sky si lagnavano, in grossa parte, di rivedervi un immaginario napoletano appiattito su un solo versante: quello della criminalità organizzata. E molti di questi provenivano proprio dal capoluogo campano e dintorni. Napoli non è solo questo, dicevano. Napoli ha tante bellezze, tante altre cose di cui lodarsi. E il dialetto, ah, quel dialetto! Così aggressivo, così intriso di brutte parole! Dove sarebbe la lingua di Totò, dov’è finita la poesia di Eduardo? Ma Napoli, è vero, è tante cose, inclusa la sua parte veemente, indisciplinata e criminale, del resto comune a molte grandi città. Come dovrebbero parlare, del resto, dei ragazzi cresciuti nei quartieri più malfamati e meno scolarizzati della provincia? Chi non abbia voglia di prenderne atto, può godersi la Napoli di Mina Settembre, del Commissario Ricciardi, di Pizzofalcone. Ce ne sono così tante rappresentazioni, oggigiorno, che si può dire davvero che ce ne siano per tutti i gusti. Anche per quelli meno inclini alla veridicità.
Il problema è che di Mare Fuori non si parla con la giusta lucidità, e anche in questo gioca un ruolo il target giovanile. L’assenza di un competitor adeguato di altrettanto successo ne fa l’unico teen drama popolare al momento in Italia. Le serie Netflix, come Skam e Baby, ovviamente non contano, in quanto le piattaforme a pagamento non sono realmente accessibili a tutti. Ma la connotazione di Mare Fuori come teen drama, o comunque come serie rivolta prettamente a un’audience giovane, costituisce per molti un requisito mortificante, una nota di demerito sul curriculum. È lo stesso motivo per cui abbiamo sempre fatichato a prendere sul serio prodotti come Dawson’s Creek e Veronica Mars, e per cui Una mamma per amica non ha mai avuto una nomination agli Emmy o ai Golden Globe nonostante il plauso universale della critica.
Se spostassimo il dibattito su altri aspetti, per esempio sulla storyline dei personaggi o sulla composizione estetica della serie, allora potremmo cominciare a parlarne seriamente. Solo così riusciremmo a capire davvero le proprietà di un fenomeno che non ha paragoni in Italia. Poi, potremo anche dire che non ci piace, ma senza ignorare perché nel frattempo milioni di persone la stanno guardando.
Andrea Vitale
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