Tre anni prima poteva presentarsi come giovane donna: lo confermavano il numero venti sulla carta d’identità e la pelle caparbia, ma era soprattutto la selva di capelli, con il mogano naturale, a parlare per prima, a dire «Sì, sono ancora giovane: ho tutta la vita davanti».
Con la malattia ne sono germogliati due; teneri, esili, indecisi se confondersi o conformarsi a quell’inatteso non colore. Lo spaesamento li teneva l’uno aggrappato all’altro, si nascondevano a occhio nudo finché la luce non li stanava dal nascondiglio; loro, insieme soli, colti in flagrante riflettevano, e si lasciavano cadere morbidi e coordinati sulla cute. «È il principio di un’infiorescenza bianca che germina nel tempo, con l’avanzare dell’età, è normale, non si deve preoccupare, non ci pensi: lei è giovane!» diceva il Dottor G. R. «Eppure mi sembra tanto prematura: non dovrebbe spuntare dopo gli enta?» rispondeva lei nell’ascolto di quegli steli discreti sul ciglio della fronte, specchietti per le sue dita allodole che li perseguitavano e strappavano. Bastava uno sguardo, una beccata rapida e precisa per estirparli in un attimo, diventare complice del Dottor G. R., e fidarsi di lui. Una volta estirpati nello studio, salutava, e rientrava a casa; i polpastrelli facevano lo scivolo dalle radici alle punte.
Con la morte improvvisa ne sono germogliati altri otto; massicci, rigidi, impazienti. In un primo momento nessuno cercava il sostegno degli altri: disarmati abbandonati scompigliati, ogni ramoscello guardava in direzioni oblique; tendevano il corpo alla luce, ma la testa non ne voleva sapere di mostrarsi al cielo. Una dietro l’altra, sempre più rapide e precise, le dita beccavano quei riflessi lucenti di non colore; un singolo colpo di polso era ormai insufficiente per estirparli tutti. Più radici mettevano, più lei cercava nello specchio le parole del dottore – «non si deve preoccupare, non ci pensi: lei è giovane!» –, le ripeteva ad alta voce, scandite a boccapiena, come per mangiare la loro verbosa noncuranza.
Con il funerale ne sono germogliati altri dieci; sempre massicci, impazienti, sonanti. «Principio di un’infiorescenza bianca che germina nel tempo, con l’avanzare dell’età» ribadiva il Dottor G. R. Conclusa la tumulazione delle ceneri lei pensava, e più pensava più si convinceva che quel dottore fosse un ciarliero della botanica e quell’infiorescenza un interramento prematuro. I rami hanno iniziato a tendere verso l’interno, guardarsi, in qualche modo a riconoscersi nel viluppo comune di una fronda.
Dopo tre anni può presentarsi ancora come giovane donna: lo confermano la carta d’identità e il viso dissestato da tenui creti, ma la selva di capelli, con il mogano naturale ammutolito insieme alla madre, non si presenta più per prima. Le dita allodole beccano e perseguitano, vinte: si contraggono all’avanzare delle fronde, si ritirano mentre quelle, ostinate, elevano cori di silenzio bianco.
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