Racconto: Paleontologia personale – Carlo Maria Masselli

Un tempo conduceva la propria ricerca sui corpi altrui. Josephine e Omar, Giulia e Ludovico. Anna. Theo. Margot. Accarezzava le loro schiene nude dal collo al sacro, chiudeva gli occhi e, vertebra dopo vertebra, rivelava le spoglie di un serpente preistorico.

Aveva mani capaci di fingere. Quando toccava, sembrava volesse dare piacere. Così poteva indugiare su carpo e falangi e non destare sospetti; poteva lambire l’affioramento di una cresta iliaca, la sporgenza di una rotula, senza che Anna-Theo-Margot si accorgessero che ad attrarlo non erano loro, ma i reperti che nascondevano sotto muscoli e pelle.

Viaggiò molto, nonostante fosse incline al romitaggio. Ricostruì anatomie scheletriche a partire da ritrovamenti appena visibili. Il risultato straordinario, tuttavia, ancora mancava, e con esso la legittimazione dei suoi studi.

La svolta ebbe luogo in un giorno di pioggia fitta, antico-testamentaria.

Qualcuno (Josephine o Omar? Giulia? Ludovico?) sbatté la porta dell’appartamento in cui abitavano a stretto contatto. Mentre immaginava quei passi quotidiani sciaguattare in pozzanghere via via più distanti, scoppiò un tuono da estinzione di massa, e lui si sorprese ad abbracciarsi. Nell’abbraccio notò i propri gomiti. Subito iniziò ad analizzarne la forma, a saggiarne la consistenza. Premette l’articolazione con intensità crescente, fino all’insorgere di un tenue dolore. Dopodiché andò allo specchio sopra il lavandino, fece un passo indietro e si esaminò, nudo: lo sterno emergeva appena tra i pettorali; giusto un accenno di costole poco più in basso; il bacino, offuscato dall’adipe.

Fu allora che capì: per la sua grande scoperta avrebbe dovuto scavare.

La spedizione contava un solo membro, e operava in territori inesplorati; perciò, non seguì un ritmo lineare, ma s’interruppe, più volte, nei punti in cui gli strumenti di scavo incontravano strati impenetrabili d’istinto. Lui restò saldo. Man mano che rimuoveva materia da sé, nuove scoperte correggevano la sua cognizione del mondo, sollecitando la curiosità tipica dello scienziato.

Scoprì, ad esempio, che esiste un nesso tra deficit calorico e forza di gravità. Quando teneva in mano oggetti comuni (padella, portacenere, tazza; mestolo, libro) avvertiva il loro peso gravargli sui polsi. Perfino i pensieri, sotto la pressione di questa atmosfera, acquisivano una loro tangibilità, viscosa come la resina: dentro piccole sfere d’ambra restavano imbrigliati i vapori di pietanze appena uscite dal forno; sapidità umide e calde; la resistenza della mollica tra i denti.

Scoprì che l’odore della propria pelle può diventare invitante: un piatto proibito a distanza di morso. Che nella notte, un affamato ingarbuglia il dormiveglia col sonno. E che, una volta giunto il mattino, ogni suono lo mette in allerta, e parla di fame – anche il canto dei merli.  

Fu soprattutto la fame a ostacolare lo scavo nelle sue fasi finali, facendo crollare depositi di carne sul disegno impreciso, ma già distinguibile, della grande scoperta. Sentendo in pericolo l’esito della spedizione, in quei momenti tornava allo specchio, dove elencava le parole scritte dentro di sé. Colonna vertebrale, gabbia toracica, pelvi. Costole vertebre scapole ulna. Femore fibula tibia patella. Poi, con fatica, tastava il carcame emergente, per assicurarsi che i polpastrelli confermassero i dati forniti dalla vista, e riprendeva il lavoro.

Ora, la ricerca l’ha condotto in una stanza di cui vede solo il soffitto. Dorme a lungo, non sogna. Quando è sveglio chiude gli occhi, e allora si eleva sopra la creatura che ha liberato scavando. Dovrebbe trovarle un nome scientifico, ma le nozioni di latino s’impiastrano nella resina insieme ai sapori perduti. Allora, senza troppa afflizione, rinuncia. Sfiora il suo scheletro dal cranio ai calcagni, una lunga e delicata carezza. È la prova che cercava sulla verità delle ossa.


Carlo Maria Masselli vive a Torino. Onironauta di lungo corso, sogna un futuro in cui vive scrivendo.

Serena Nadal

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Serena Nadal

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