Quando ho letto per la prima volta di questo libro, Sulle orme della volpe di Jean Désy (Lindau, 2024), i miei neuroni non sono andati direttamente all’obiettivo. Perché la copertina, pazzesca, con quella volpe sulla neve, mi ha fatto pensare subito a Into the wild – e diciamolo, ormai è difficile che qualcosa che abbia a che fare con la natura selvaggia non ce lo riporti alla mente – ma invece del libro o del film, il salto mentale è stato subito per Eddie Vedder, il frontman dei Pearl Jam, che ne ha scritto la colonna sonora. Una colonna sonora pazzesca.
Mentre leggevo questo romanzo, di sottofondo avevo chiesto ad Alexa di mettermi proprio quel disco, senza sapere se poi sarebbe stata una colonna sonora adatta. Ora, a lettura conclusa, credo fosse abbastanza adatta. Non che ci siano poi tantissimi punti d’incontro fra il libro i Krakauer e questo, se non una certa ricerca di libertà e verità negli elementi naturali, una fuga da una società che diamo per scontata perché ci siamo nati, cresciuti. I suoi parametri sono radicati in noi con tale profondità da diventare l’etica, la stella polare della nostra bussola interiore.
La bellezza del romanzo di Désy è che non si propone come una critica spietata e netta alla società. Si mostra come un punto di vista ben focalizzato sulla spalla di Julien, il nostro protagonista. Che prima ancora di intraprendere il suo viaggio estremo nelle nevi aveva già mosso un primo passo di allontanamento, un passo più cauto, cominciando una vita al margine della civilizzazione moderna in un villaggio Inuit.
Society, hope you’re not lonely without me. Così canta Vedder. Società, spero tu non ti senta sola senza di me. Nel caso di Julien, quel gancio che riporta sempre a guardarsi indietro nonostante la voglia di libertà, di autenticità, non è la società, per la quale non ha rimpianti. È Marie. Sua figlia. Ed ecco che il moto di Julien, che inizialmente sempre di sola andata, una linea retta attraverso la tundra, assume le caratteristiche fisiche di un elastico. La forza impressa è quella del desiderio, e l’elastico si tende sempre più, finché una forza opposta non diventa sufficiente a tirarlo indietro. Quella forza è Marie, il pensiero di una bambina senza padre. Non la madre di lei, con cui i rapporti sono guasti. Ma solo il pensiero della figlia.
Forse è proprio in questa lotta la vera forza del romanzo. Da una parte un tentativo di solitudine, di ricerca nel gelo e nella natura di una vita come mai viene conosciuta nei tempi moderni. Dall’altra il legame più forte della nostra stessa natura di umani.
È in questa contraddizione che si sviluppa Sulle orme della volpe. In questa contraddizione che affrontiamo con Julian un viaggio il cui esito è incerto, perché quando due forze, due desideri si affrontano, non è mai certo l’esito. Possiamo solo decidere di non restare fermi a morire nel gelo, rimetterci in piedi e – costi quel che costi – riprendere a camminare.
Alcune persone capiscono molto presto cosa fare per salvaguardare la loro vita il più a lungo possibile. Altri, e io sono fra loro, ignorano tutto della tempesta che stanno per affrontare. Sono essi stessi agenti della tempesta, agenti del caos. Si lanciano, deliranti. Sanno cosa li agita. Amano il respiro delle bufere. Poi corrono verso il freddo, con le coseguenze che si possono immaginare.
(Sulle orme della volpe, Jean Désy, Lindau, 2024. Traduzione di Laura Ferloni)
Marie, Marie, mi senti?
Maurizio Vicedomini
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