Nei due anni accademici 1974-1976, il semiologo francese Roland Barthes tenne un seminario all’École pratique des hautes études di Parigi. Di questo seminario probabilmente non avrebbe memoria nessuno, forse solo i fortunatissimi studenti di quegli anni, se non fosse che gli appunti che Barthes preparò per quel seminario costituiscono l’humus di un saggio uscito nel 1977 in Francia e che è diventato, nel tempo, uno dei testi più noti – e letti! – dell’autore. I lettori italiani non hanno dovuto attendere molto, visto che il saggio di cui stiamo parlando vede la luce due anni dopo l’edizione francese, grazie alla traduzione di Renzo Guidieri per Einaudi. Mi riferisco ovviamente a Frammenti di un discorso amoroso, che dopo quasi cinquant’anni non smette di essere fonte inesauribile di riflessioni, oltre che valigetta letteraria del pronto soccorso amoroso, con la sola differenza che i vari elementi al suo interno non hanno data di scadenza.
Barthes chiama i suoi frammenti “figure”, «nel senso ginnico e coreografico» dell’etimologia greca, ovvero «i gesti delcorpo colto in movimento»: ci troviamo, insomma, dinanzi all’innamorato beccato con le dita nella marmellata. In completa flagranza, l’io col cuore gettato ben oltre di sé evoca e ricorda delle figure, che altro non sono che episodi amorosi ricorrenti nella vita di ogni innamorato, delle sorte di epifanie di consapevolezza. Troviamo, ad esempio, la figura dell’“Annullamento”, in cui il soggetto amoroso si rende conto di amare l’amore ben più dell’oggetto amoroso, oppure “Attesa”, un sentimento di profonda angoscia dato da piccoli e comuni ritardi dell’essere amato, o ancora “Fastidio”, quella gelosia divorante improvvisa che infiamma l’amante nel momento in cui l’amato viene distratto da altre persone o oggetti.
Le ottanta figure che compongono il volume, come tiene a precisare Barthes nella sua introduzione, sono completamente slegate tra loro e non sono date in pasto a quel mostro che è il Caos, ma si susseguono secondo la banalità e l’insignificanza dell’ordine alfabetico. Banalità cui Barthes tiene molto, «per far capire che qui non si trattava di una storia d’amore (o della storia di un amore), per scoraggiare la tentazione del senso».
Ogni episodio viene introdotto da una breve descrizione, a mo’ di lemma di un dizionario d’amore, cui si aggiungono dei riferimenti tangibili tratti dalla letteratura, in particolar modo Barthes chiama in aiuto il Werther di Goethe, il Simposio di Platone, e ancora le opere di Balzac, Dostoevskij, Flaubert, Laclos, Proust e Stendhal, oltre che la filosofia nietzschiana e la psicoanalisi di Freud. Insomma, Barthes schiera in campo i mostri della letteratura per costruire una costellazione di riferimenti che universalizzano le sensazioni dell’io affetto dal morbo d’amore accomodando il lettore in una sicurezza che lo tranquillizza: siamo tutti sulla stessa barca.
L’amore sguscia via, è liquido e anche un po’ oleoso, segue una strada che lui solo conosce, si nasconde nella tranquillità delle acque profonde e scure. Ci scappa dalle mani e rimaniamo con la frustrazione di un pugno di vento. Sarebbe più facile se, come per l’assunzione del Moment quando abbiamo mal di testa, da innamorati potessimo lasciarci tranquillizzare da un foglietto illustrativo che ne elenchi: il contenuto, a cosa serve, cosa dobbiamo sapere prima di assumerlo e come farlo, avvertenze e precauzioni, guida di veicoli e utilizzo di macchinari, cosa succede se ce ne dimentichiamo, possibili effetti indesiderati (comuni, non comuni, rari, non noti). In fondo non sarebbe uno scenario così assurdo, se pensiamo a quanta letteratura è stata scritta a proposito dell’amore come malattia, un topos millenario («e mi inonda un sudore freddo, un tremito/mi scuote tutta, e sono anche più pallida/ dell’erba, e sento che non è lontana/per me la morte»: scriveva così la poetessa Saffo nell’Ode della gelosia, più di duemilacinquecento anni fa) che non smette di riprodursi.
Fortunatamente per noi può capitare che questo sentimento scivoloso a qualcuno scappi un po’ meno che ad altri. Ed è esattamente il caso di Frammenti di un discorso amoroso, un vero e proprio foglietto illustrativo, un manuale d’istruzioni (e di vita), soprattutto per chi,alla resa dell’imponderabile, preferisce l’accanimento terapeutico tramite la ragione. Barthes ci insegna che l’arma principale della razionalità è proprio il linguaggio, che può generare, però, un cortocircuito. «[…] non posso pretendere di poter pensare con lucidità. Io mi trovo nel posto sbagliato dell’amore, che è poi il suo punto più in vista; dice un proverbio cinese: Il punto più in ombra, si trova sempre sotto la lampada».
Consiglio appassionato: prima di innamorarci, come prima di prendere il Moment, leggiamo questo libro, che ancora oggi ha il potere di guidarci alla scoperta di noi stessi e di quel sentimento scivoloso e inafferrabile, che spesso ci fa cadere, ma a noi frega poco perché per sette volte che cadiamo, otto volte ci rialziamo.
Lidia Tecchiati
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