Nel caldo torrido di una domenica pomeriggio mi sono finalmente decisa a vedere Un altro ferragosto di Paolo Virzì, ormai disponibile anche su Netflix. Per comprendere appieno la portata del film, è essenziale metterlo in relazione con il precedente Ferie d’Agosto del 1996, anche se la struttura seguita da Virzì permette di poterne godere anche senza conoscere nei dettagli tutti i retroscena del primo film.
Ferie d’agosto venne girato a Ventotene durante l’estate del 1995, caratterizzata da un clima quasi autunnale. Un altro ferragosto, uscito il 7 marzo 2024, è stato invece realizzato nell’estate più calda della storia, quella del 2023. Nonostante il tempo passato, i protagonisti sono rimasti fedeli alle loro posizioni: chi era di destra è ancora di destra, chi era di sinistra è ancora di sinistra. Sandro (Silvio Orlando), un ex intellettuale impegnato e corsivista per l’Unità, è ora un nonno malato che racconta al nipote la storia di Ventotene come isola di confino, con lezioni sull’antifascismo che si intrecciano a fantasie in bianco e nero in cui dialoga con figure storiche come Sandro Pertini e Altiero Spinelli, che lasciarono l’isola nell’agosto del 1943.
Gli adulti delle due famiglie contrapposte (i Mazzalupi e i Molino) continuano a scontrarsi: gli ex comunisti e alternativi, oggi radical chic o paladini del politically correct, litigano su Facebook con i fedeli cinque stelle, mentre altri, come la coppia di nonne lesbiche, ripongono le loro speranze nella nuova generazione politica. Al contrario, i rappresentanti della destra degli anni ’90, attaccati alla tv spazzatura e ai telefoni, sono diventati ancor più ignoranti, razzisti e omofobi, orgogliosamente fascisti e ovviamente anche influencer seguitissimi.
Sabry Mazzalupi (Anna Ferraioli Ravel), un tempo la figlia “poco attraente” del bottegaio Ruggero, è diventata – appunto – una famosa influencer, amata dalle adolescenti. Il suo matrimonio con Cesare (Vinicio Marchioni), il suo agente, è un evento mediatico che attira l’attenzione dei leader dell’estrema destra, che vogliono sfruttare la sua immagine rassicurante per la campagna elettorale. Per fare spazio alle strutture necessarie per il matrimonio più kitsch del secolo, verrà demolito un importante monumento antifascista.
Come già Ferie d’agosto, i due gruppi (in un cast che comprende anche Christian De Sica, Sabrina Ferilli, Laura Morante e Paola Tiziana Cruciani), si ritroveranno a confrontarsi, senza però provocare alcun cambiamento significativo. Entrambe le fazioni sono caratterizzate da figure caricaturali, macchiette e stereotipi viventi, tutte desiderose di avere ragione, un tratto che non si è attenuato col passare degli anni. L’unico personaggio che si distingue è Altiero, figlio di Sandro, interpretato da Andrea Carpenzano: un giovane calmo, taciturno, ma anche enigmatico. Nonostante il successo (ha creato una piattaforma tipo Telegram) e un marito, Altiero non sembra felice, rappresentando l’unico punto di vista contemporaneo del gruppo, e quindi del film.
Un altro ferragosto è un’opera che non solo intrattiene, ma stimola profondamente la riflessione, facendo emergere le contraddizioni e le problematiche della società contemporanea attraverso l’azione in scena di personaggi ben delineati. Virzì ci offre uno specchio delle dinamiche sociali attuali, ponendo in luce la decadenza dei valori, la crisi del populismo e il confronto tra ignoranza e cultura, coatti ed élite, destra e sinistra.
In Ferie d’agosto, Virzì ci presentava due gruppi di vacanzieri con visioni del mondo diametralmente opposte che si trovavano a convivere nello stesso luogo. Già allora, il regista indagava sulle differenze socioculturali e politiche che separavano gli italiani, con un’ironia tagliente e una capacità unica di mettere a nudo le ipocrisie di entrambe le parti. Un altro ferragosto continua quella visione del regista ma con un tono e un contesto aggiornati alla società di oggi. Se nel 1996 i conflitti erano spesso espliciti e diretti, oggi Virzì ci mostra come le tensioni sociali si siano evolute, diventando più sottili ma non meno pervasive. I protagonisti del nuovo film si trovano di nuovo a condividere un periodo di vacanza, ma il contesto è cambiato: la crisi economica, la pandemia e il disincanto, se non addirittura il vuoto politico, hanno lasciato il segno.
Virzì mette in scena un microcosmo rappresentativo della nostra società, dove i valori tradizionali sembrano essere sempre più offuscati da un materialismo spietato e da un egocentrismo dilagante. Il matrimonio, festa tipicamente associata alla famiglia e alla condivisione, diventa nel film l’occasione per svelare l’ipocrisia e il vuoto morale dei protagonisti. Le relazioni interpersonali sono spesso superficiali, basate su interessi personali più che su un genuino affetto o rispetto reciproco. Il regista ci invita a riflettere su quanto abbiamo perso in termini di autenticità e solidarietà.
Uno degli aspetti più incisivi del film è la sua critica al populismo, fenomeno che ha segnato profondamente gli ultimi decenni. Attraverso dialoghi pungenti e situazioni paradossali, Virzì mostra come il populismo sia diventato una sorta di farsa, un teatro dell’assurdo dove le promesse irrealizzabili e le semplificazioni estreme prendono il posto del dibattito serio e della competenza. La rappresentazione di politici caricaturali e la loro retorica vuota mettono in risalto la frustrazione di un elettorato disilluso, che ha perso fiducia nelle istituzioni e nella possibilità di un cambiamento reale, disposto quindi, forse, ad eleggere anche un’incompetente solo perché ha milioni di follower, nascondendo l’ignoranza dietro la scusa della “genuinità”.
Il film esplora il divario crescente tra ignoranza e cultura. In una società dove l’accesso all’informazione è immediato ma spesso superficiale, il sapere profondo e la competenza vengono svalutati a favore di opinioni urlate e senza fondamento. I personaggi del film, appartenenti a diverse estrazioni sociali, incarnano questo scontro: da un lato, individui colti e riflessivi, spesso isolati e inascoltati; dall’altro, persone intrappolate in una bolla di ignoranza, incapaci di comprendere la complessità del mondo che li circonda. Virzì non condanna, ma piuttosto fotografa con lucidità questa realtà, invitando lo spettatore a una maggiore consapevolezza.
Un altro tema centrale è il confronto tra coatti ed élite, tra chi si vanta della propria rozzezza e chi viene considerato parte di un’élite intellettuale e sociale (i cosiddetti radical chic). Virzì tratteggia con maestria entrambi i mondi, estremizzandoli e evidenziando sia le contraddizioni degli uni che degli altri. I coatti, spesso dipinti come genuini ma ignoranti, rivelano una sorprendente capacità di adattamento e una furbizia innata. Dall’altra parte, l’élite appare talvolta distaccata e incapace di comunicare con il resto della società – e alla fine, risulta evidente quanto sia necessario superare questi stereotipi per costruire una società più inclusiva e comprensiva.
Infine, di sottofondo, buttato un po’ qui un po’ la, si ritrova anche il tema del dualismo politico tra destra e sinistra, in un momento storico in cui le ideologie tradizionali sembrano sempre più sfumate e in crisi. Virzì non prende una posizione netta, ma mette in scena un confronto che riflette la complessità del nostro tempo. I personaggi sono voci di un panorama politico frammentato e in continua evoluzione, dove il dialogo e la mediazione diventano sempre più difficili, ma non per questo meno necessari.
È la constatazione di un mondo che è sfuggito alla comprensione di chi ha continuato a credere in certi ideali; ma l’idealismo è ormai un ricordo lontano, così come le ideologie e la cura per il linguaggio che tanto sta a cuore al personaggio interpretato da Silvio Orlando che si infuria quando viene etichettato come «radical chic». Nelle sue fantasie, i confinati storici di Ventotene (Spinelli e Pertini), gli rivelano una verità disarmante: «Tu non sai vivere». Questa è una condizione che accomuna tutti, persino i Mazzalupi, che si compiacciono della loro ignoranza e credono che il confino a Ventotene prevedesse l’happy hour. Ritengono normale un po’ di omofobia e si sentono pronti a candidarsi con un partito simile a Fratelli d’Italia, nonostante la loro totale mancanza di preparazione.
Alla fine, Virzì affida a Emanuela Fanelli, ex moglie del coatto Cesare, folgorata da una serata al festival del cinema d’autore, un monologo tragicomico che funge da catarsi per tutti, sintetizzabile nella sua espressione iniziale «La vita è una merda».
Con Un altro ferragosto, Paolo Virzì conferma la sua capacità di leggere e interpretare la realtà sociale con acutezza e sensibilità. Il film è una critica lucida e potente, ma anche un invito a riflettere e a cercare soluzioni. In un’epoca segnata da divisioni e incertezze, Virzì ci offre uno spunto per riscoprire il valore della comunità, della cultura e del dialogo. Un’opera imperdibile per chiunque voglia comprendere meglio le dinamiche del nostro presente, e una degna continuazione del percorso iniziato con Ferie d’agosto, che ci permette di vedere quanto siamo cambiati e quanto, forse, siamo rimasti uguali.
“E si ricordi, che è un caso, solo un caso che siano cadute le mie regole e non le sue!”
Anna Chiara Stellato
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