Non sono mai stato nostalgico degli oggetti. Neanche di quelli della mia infanzia. Non sono di quelli che rimpiangono il walkman o i lettori mp3, le schede telefoniche o gli inutilissimi scooby-doo (che peraltro non sono mai stato capace di intrecciare). Al contrario, trovo che sotto molti punti di vista il progresso abbia migliorato notevolmente le nostre vite. Tanto per dire, ricordo ancora quando dovevi aspettare che la tua canzone preferita passasse alla radio o in tv, mentre adesso grazie a Spotify puoi ascoltarla ogni volta che vuoi. Oppure quando si poteva accedere a internet solo un paio d’ore al giorno perché costava troppo, e la metà del tempo se ne andava tra la connessione del modem e l’accensione del computer. O ancora quando per vedere un film a casa con gli amici dovevi fittare il dvd: no, preferisco sceglierlo comodamente dal divano di casa.
Eppure, ultimamente mi son trovato spesso a ripensare a certi momenti, per esempio a quando c’era MTV, o quando si guardavano i teen drama il pomeriggio su Italia1, e a com’era bello il Festivalbar, e la musica R&B di una volta, e le girlband. Mi è venuta, insomma, un po’ di nostalgia.
Forse perché esiste un’età in cui il cambiamento è ancora troppo vicino per poter essere avvertito, e dopo la quale invece c’è una distanza considerevole tra la tua vita di prima e la vita di adesso. E nella mia vita di oggi, quanto al cinema, alla tv, alla musica, alle serie è cambiato tutto. Per un’incredibile congiunzione astrale, mi sembra che tutto ciò che di rilevante sia accaduto quest’anno fino a ora mi abbia portato indietro lì, ai miei anni da preadolescente e da teenager. Cito, in ordine sparso: l’annuncio del sequel di Il diavolo veste Prada, il video in cui le Spice Girls si riuniscono per il compleanno di Victoria, il nuovo capitolo della saga di Bad Boys, il sequel di Quel pazzo venerdì (ancora in produzione), Natasha Bedingfield e Sophie Ellis-Bextor che rientrano in classifica con le loro vecchie hit, il nuovo tour di Lenny Kravitz, il secondo matrimonio di Jennifer Lopez e Ben Affleck, il reboot (remake?) di Mean Girls, il ritorno alla musica di Justin Timberlake, l’inattesissimo ritorno di Hugh Jackman nei panni di Wolverine, Cameron Diaz che torna a recitare a dieci anni esatti dall’ultimo film, Beyoncé, Shakira e Taylor Swift più in forma che mai (sì, avete letto bene, Taylor Swift: la ragazza ha quasi vent’anni di carriera sul groppone), Kylie Minogue eletta una delle persone più influenti dell’anno, la reunion degli Oasis, e persino una nuova edizione de La Talpa. Last but not least, la scomparsa di Shannen Doherty.
Ora, provate a darmi torto, ma mi sembra che si sia aperto un varco nel continuum spazio-temporale che ci riporta costantemente ai Duemila, e quel varco ha ovviamente un’insegna luminosa al neon. Su cui, altrettanto ovviamente, c’è la scritta NOSTALGIA. È lo stesso effetto ricercato da quei post che girano sui social, che idealizzano un periodo in cui le vacanze si chiamavano villeggiatura e duravano tutta l’estate, distorcendo il ricordo di un passato che probabilmente non abbiamo mai vissuto e in cui “eri felice ma non lo sapevi”.
Ma io lo so quando sono stato felice, e non è che fosse per forza quando avevo dieci anni. Certo, sono convinto che le scuole medie siano stati uno dei periodi più felici della mia vita, ma non lo baratterei mai con quello che sto vivendo adesso. Anche se non dovevo preoccuparmi di pagare l’affitto, non conoscevo il timore di aprire l’app del conto in banca, non sapevo quanto sarebbe stato difficile trovare un lavoro equamente retribuito: però non avevo neanche la capacità di rispondere al bullismo, non avevo ancora imparato ad accettare il mio corpo, non conoscevo la gioia che dà la libertà di viaggiare, di guadagnarsi i propri soldi, di vivere da soli.
Secondo me, il miglior modo per difendersi dalla nostalgia sta nel riconoscere la differenza tra ricordo e ritorno. Mi spiego meglio: dopo il video del compleanno di Victoria Beckham circolato in rete, ho ripreso ad ascoltare le Spice Girls. E, vi dirò, semmai decidessero di fare un tour, penso che proverei ad acquistare un biglietto. Ma francamente non sento il bisogno che facciano nuova musica. Provate a darmi torto, ma le minestre riscaldate non sono mai buone come la prima volta: dio ce ne scampi e liberi nella vita privata (hai capito, J.Lo?), ma pure nell’industria dell’intrattenimento. Citatemi una sola reunion di una band che abbia portato a un album interessante, un solo reboot di una serie che sia stato all’altezza dell’originale, una sola saga ripresa dopo anni dalla sua interruzione perché avesse ancora qualcosa da dire (e non vale Star Wars). Ecco, questo è il punto: riconoscere quando qualcosa o qualcuno non ci parla più come prima. Io sono contento di vedere Will Smith back in action, anche dopo l’affaire dello schiaffo agli Oscar, ma vorrei che fosse in un film nuovo di zecca, non in un franchise ripescato per far leva sulla nostra nostalgia.
Tanto lo sappiamo che non smetteremo di sentirci nostalgici. Lo so anch’io che sarò lì, seduto in poltrona, quando il prossimo capitolo di Shrek arriverà al cinema. Ma lo farò soltanto per il piacere di rivivere un bel ricordo, non perché voglia tornare al 2001. Jennifer Garner ce lo ha insegnato, in 30 anni in 1 secondo, che ogni cosa ha il suo tempo. Semmai, vorrei non dover andare avanti così velocemente e avere il potere di fermarmi qui, almeno per un po’. È per questo che quando se ne va una celebrity a noi cara fa doppiamente male: non solo perché ci lascia un amico a cui abbiamo voluto bene, ma perché la loro morte ci sbatte brutalmente in faccia che è impossibile fermare il tempo. Quando Shannen Doherty ci ha lasciato, anch’io ho pensato di concedermi un rewatch di Beverly Hills, 90210, come facevo quelle estati di molti anni fa, guardandone le repliche in tv. Ma poi ho rinunciato all’idea, come avevo già fatto dopo la morte di Luke Perry: preferisco conservare il ricordo che ho di loro così com’è, e non dover scoprire che le serie tv che guardavo da piccolo sono invecchiate male come i loro protagonisti.
Andrea Vitale
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