Quest’estate sono entrato in una libreria con la semplice intenzione di dare un’occhiata in giro, pensando che, se qualcosa mi avesse colpito, sarei andato alla cassa. Colpirmi, quando si tratta di libri, significa due cose: che il libro deve avere la copertina giusta, secondo un’idea di giustezza che è ovviamente tutta mia personale (bella per i miei occhi, adeguata alla tipologia di libro), e il titolo deve rimanermi in mente anche dopo un giro completo tra gli scaffali. A quel punto, non m’interessa del genere o della trama: la prima impressione ha già vinto.
C’era un espositore in bella vista, di quelli per le novità o i titoli di richiamo. Ne ho visto uno: si chiamava Parlarne tra amici. La copertina andava bene, ma è stato il titolo a conquistarmi, con quell’infinito che apriva a molteplici possibilità: parlare di che cosa? Già il fatto che ci fosse qualcosa di cui parlare – qualcosa di serio, ho pensato – mi sembrava sufficiente. E così l’ho preso. Chissà chi è quest’autrice, Sally Rooney. Mai sentita.
Tornato a casa, ho scoperto che il romanzo che avevo appena acquistato non era esattamente una novità: Parlarne tra amici è uscito nel 2017, non proprio tanto tempo fa, ma neanche l’altro ieri. Nel mondo editoriale, sette anni possono servire a mandarti nel dimenticatoio. A Sally Rooney, invece, sono serviti a farsi notare. Se fosse stata una canzone, l’avremmo definita una sleeper hit, una di quelle che escono in sordina e poi pian piano scalano le classifiche. Allo stesso modo, è bastato il passaparola perché Parlarne tra amici continuasse a vendere migliaia di copie, così che a tutt’ora, nel 2024, la gente si aggiri per i festival letterari portandoselo sottobraccio e i librai continuino a tenerlo in bella vista.
Ho scoperto pure che Sally Rooney non è mica una sconosciuta: colpa mia, che chissà dove avevo vissuto fino a quel momento. Perché pare che non sia solo una scrittrice semplicemente famosa: sul web ci sono diversi articoli che definiscono Sally Rooney, trentatré anni, irlandese, un fenomeno, e se ne chiedono il perché. C’è chi la paragona a Taylor Swift per i medesimi effetti ottenuti dalla loro attività, l’una con numeri da capogiro negli stadi, e l’altra con stuoli di lettori affamati pronti ad accamparsi fuori alle librerie (come nei nostri ricordi avveniva soltanto per Harry Potter) in attesa del suo nuovo romanzo – che, tra l’altro, e anche questo l’ho scoperto solo adesso, si chiama Intermezzo e uscirà in Italia il prossimo mese.
Che poi, Taylor Swift fa pure parte del suo endorsement, che annovera personcine del calibro di Sarah Jessica Parker, Lena Dunham ed Emily Ratajkowski. Insomma, famosa è famosa. Ma non solo: è andata oltre la celebrità, diventando uno status. Un’icona. In soli sette anni di carriera, dalla pubblicazione del primo romanzo – che è, appunto, Parlarne tra amici – Sally Rooney è diventata un simbolo di una generazione: la nostra, quella allargata di tutti coloro che hanno dai venti ai (quasi) quarant’anni. Quella dei nuovi, giovani adulti. E non è una cosa che capita tutti i giorni.
Ma perché, tutto questo successo, mi chiedevo. Ero alle prime pagine del libro, e non riuscivo a immaginarlo. Mi ero accorto, però, che aveva una scrittura piacevolissima, con un discorso portato avanti a suon di proposizioni brevi e immediate, scarne e senza orpelli, pure nelle descrizioni. Essenziale, si potrebbe dire, ma come di chi non avesse bisogno di altre parole. Mi ha ricordato subito che la comunicazione che usiamo tutti i giorni sui social e su whatsapp è fatta così, stringata e diretta, ma senza – ovviamente – la stessa complessità. Breve non vuol dire banale, ma in questo caso è sinonimo di comune, di ordinario. Era già un primo campanello.
Intanto, leggevo che il secondo romanzo di Rooney, Persone normali, è lo stesso da cui hanno ricavato la miniserie Normal People, laureata al banco della critica e candidata agli Emmy. Anche Parlarne tra amici ha avuto la sua trasposizione televisiva. A un certo punto, però, Sally Rooney ha deciso che i suoi romanzi dovessero rimanere tali, e ha detto basta agli adattamenti: chi fa una cosa del genere, oggi che i guadagni maggiori arrivano più dalla vendita dei diritti che da quella delle singole copie? Nessuno, ma Sally Rooney sì. In tempi non sospetti, era il 2021 e il conflitto israelo-palestinese non era ancora scoppiato, esce pure il terzo romanzo, Dove sei, mondo bello, e l’autrice si rifiuta di venderne i diritti alle case editrici israeliane. Stiamo parlando di tre anni fa, e lei si era già schierata dalla parte della Palestina.
Stavo cominciando a capire. Questa non è soltanto una scrittrice: è una personalità. È una che si schiera, che prende posizioni. È una voce. Dopo il primo giorno, avevo letto già quasi cento pagine. Rooney ha quella capacità di farti immedesimare nelle cose che racconta come se ci stesse mettendo davanti a uno specchio. La stessa capacità che avevo trovato in Eggers, e Franzen, e ora lei. Un po’ alla volta mi stavo riconoscendo in Frances, la protagonista, con cui all’inizio avrei giurato di non avere niente a che fare. A questo punto, vorrei anche dire qualcosa della trama di questo libro, ma sono arrivato così tardi su tutto che sono certo la conosciate già.
È una cosa che accade davvero di rado, quella di rivedersi. Perlopiù le storie ci appassionano, ma è difficile trovare di quelle che parlano di noi, più che a noi. Sally Rooney non stava dando soltanto spazio alla sua voce, ma – ormai, sul finale, ne ero certo – a quella di tanti altri come lei. Dà la voce a Frances per parlare di indolenza giovanile, di precarietà economica e professionale, di sfiducia nel futuro, di famiglie basate sull’amicizia che funzionano meglio di quelle originarie con mamma e papà. E poi, di rapporti, d’amore e sessuali. Rooney racconta il sesso con la naturalezza con cui racconta ogni altra cosa: ha una parte importante, sì, ma fa comunque parte della vita. Non è sgradevole, non è tormentato, non è peccaminoso, non è eccitante, insomma, tutti quei motivi per cui di solito si descrive un incontro di sesso. Semmai, è politico: ridefinisce i rapporti tra le parti, ma anche – e soprattutto – il ruolo della donna.
Frances usa il sesso per dominare il partner, per ammaliarlo, come pure per esplorare sé stessa, per conoscere, per consolarsi: lo vive con intenzionalità, necessità e maturità (nel senso che è per lei strumento di crescita e scoperta). Anche se, a conti fatti, c’è ben poco di crescita e maturazione, qui. Il vero fulcro di Parlarne tra amici – ma, mi pare d’aver capito, dell’opera di Rooney in generale – sta nei personaggi, non nelle storie. In queste, non succede granché. Potrebbe essere un punto a favore dei suoi detrattori (che sono comunque pochi), e invece gioca anche questo a suo vantaggio.
La vita, di Frances come di tutti noi, è fatta di ordinarietà. Di routine. Di pochi eventi. Siamo talmente assuefatti alle storie di episodi straordinari che ci dimentichiamo che in realtà nelle nostre vite va sempre avanti tutto uguale. Ogni tanto succede qualcosa, e poi ritorna tutto come prima. In Parlarne tra amici è esattamente così: Frances inizia una relazione, che evolve, e poi ritorna allo stesso punto di partenza. Non cambia assolutamente nulla. E ciò si dica anche per il senso di minaccia incombente, che a me pare sia la vera cifra narrativa del romanzo: a ogni pagina c’è la sensazione che qualcosa di terribile, di drasticamente sconvolgente, stia per accadere. Di quelle che cambiano completamente le carte in tavole. Dopotutto, gli elementi ci sono tutti: Frances ha un padre alcolizzato che vive sul filo del rasoio, intraprende una relazione con un uomo sposato, mente alla sua migliore amica, scopre di avere l’endometriosi. Eppure non aspettatevi che saltino le crinoline, le scenate in pubblica piazza o drammatiche corse lungo le banchine verso treni in partenza. Il dramma c’è, ma non esplode: e forse questa è la più grande crudeltà che possa farci, quella di tenerci perennemente in agguato senza darci mai riposo.
Dicono che il nuovo romanzo abbia soddisfatto le aspettative di pubblico e critica, e che Sally Rooney ce l’abbia fatta ancora una volta. Che non ci si debba aspettare niente di più dei precedenti lavori, dei suoi personaggi, del mondo che è solita raccontare, e in fondo, poi, è quello che vogliamo. Intermezzo uscirà in Italia il 12 novembre. Il titolo è uguale a quello originale. Ho scoperto, invece, che la traduzione letterale di Parlarne tra amici sarebbe stata conversazioni tra amici: per una volta, secondo me, è meglio il titolo italiano.
Andrea Vitale
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