Categorie: Cultura

I giovani hanno riscoperto il cinema

Bestia feroce e implacabile, animale in continua evoluzione, oggetto del desiderio sfrenato, ma anche tanto temuto e rispettato. Sto parlando del box office cinematografico. In particolare del botteghino italiano, essere sempre più mitologico, per metà prevedibile e metà incontrollabile. Non è la prima volta che la classifica dei più visti in sala passa per una metamorfosi che sorprende e meraviglia. L’anno scorso, infatti, esattamente di questi tempi, succedeva qualcosa di analogo, con il pubblico che prendeva d’assalto i cinema per assistere ai lavori di Kaurismäki, Wenders e Miyazaki. Fu un evento straordinario, proprio nel senso letterale del termine, così tanto che sembrava che, a memoria d’uomo, non fosse mai accaduto qualcosa di simile.

Facciamo un passo indietro, una bella falcata di dodici mesi. Lo scorso inverno, a cavallo tra un anno e l’altro, ci si chiedeva se l’effetto Cortellesi avrebbe attecchito anche sulla produzione cosiddetta d’autore. Non fu così: il cinema italiano continuò a rantolare, mentre gli eroi delle festività natalizie (Pieraccioni e Siani su tutti) continuavano a difendersi bene. Sul versante internazionale, però, qualcosa si smosse: e fu così che cineasti europei ed orientali varcarono la soglia inaspettata del milione. Foglie al vento, Il ragazzo e l’airone, Perfect Days – ma anche Past Lives, chi l’avrebbe mai detto? – hanno combattuto coi blockbuster e i cinecomic, e ne sono usciti vincitori. Insieme ai film candidati all’Oscar, poi, hanno conquistato il mercato.

Mentre stavamo vivendo una simile singolarità, era impossibile stabilire se si trattasse di un’inversione di tendenza o se, appunto, fosse nient’altro che questo: un’eccezione alla regola. Dodici mesi sono passati, e ci troviamo nella stessa condizione: l’horror d’autore di Robert Eggers supera ogni aspettativa, Maria del cileno Larrain ha già incassato più del precedente Spencer, un film in odore di Oscar come Conclave si è rivelato più prolifico di un cinepanettone (e se state pensando a Cortina Express, avete ragione). Le circostanze sembrano ripetersi, solo che ora possiamo dirlo con maggiore certezza: l’inversione c’è stata, e il pubblico ha intrapreso una nuova rotta.

Già, ma perché?

Conclave (Edward Berger, 2024)

La commedia e gli altri: il cinema in crisi

Non è facile stabilirlo da subito, ma almeno una cosa appare chiara. L’altro cinema, quello che da ormai vent’anni deteneva lo scettro – e che pareva non dovesse deporlo mai – appare stanco. Una volta chiuso il capitolo dei supereroi vendicatori, con la supersquadra Marvel in ogni angolo del multiverso, nessun altro è stato in grado di rimpiazzarli. Il ricambio non è stato accolto con calore, e vedremo presto se i nuovi Superman e Captain America sapranno farsi amare, ma per ora il posto resta scoperto. In casa Disney le cose non vanno meglio, con l’operazione dei remake in live action che rischia di rivelarsi una grossa cialtroneria (vedi alla voce Biancaneve, già più volte rimandato). E in generale, nella categoria delle produzioni ad alto impatto visivo, dell’action o del fantasy, nell’ultimo biennio non c’è stato nessun titolo in grado di imprimersi nell’immaginario collettivo. Harry Potter o i Pirati dei Caraibi appaiono lontanissimi, e solo Tom Cruise può salvarci dalla noia dell’ennesimo sequel non richiesto.

Ma veniamo anche a noi. Il genere più italiano per eccellenza, come se non potessimo più fare cinema se non tramite le sue lenti – la commedia – si sta infine affievolendo. Persino nonostante gli ottimi incassi del nuovissimo duo Pieraccioni-Siani, per la prima volta insieme, e che separati sembrava non avessero più tanto da dire. Carlo Verdone ha trasferito la sua attività in televisione, Checco Zalone non si vede dal 2020, Aldo, Giovanni e Giacomo hanno virato su toni più seriosi, e nel complesso il nuovo millennio non ci ha regalato nessun altro all’altezza di questi (e altri) grandi mattatori. Neanche Antonio Albanese, Ficarra e Picone e la stessa Cortellesi, divisi a metà coi ruoli drammatici e i film d’autore.

Per qualche strana ragione, il tracollo della commedia italiana ha aperto la strada a una produzione diversificata, ai titoli da festival, ma, attenzione: soltanto a quelli internazionali. Forse perché ancora deluso da anni e anni di appiattimento, il nostro pubblico non è ancora disposto ad accordare fiducia al cinema italiano di genere o d’essai. Come se pensassimo di non essere più in grado di farlo, e andassimo a cercarlo al di fuori.

Nosferatu (Robert Eggers, 2024)

I ragazzi tornano al cinema

C’è anche un’altra ragione, però. I sondaggi ci dicono che il pubblico in sala è sempre più giovane e che gli under 35 ora giocano una grossissima parte. In una sola parola, tutto questo significa rinnovamento. Gli adolescenti che solo da poco hanno iniziato a metter piede fuori di casa hanno scelto il cinema come una delle loro mete preferite. E chi pensava che sarebbero stati impigliati nello streaming, troppo pigri per preferire il grande al piccolo schermo, s’è sbagliato. Anzi, è assai probabile che proprio le piattaforme abbiano dato una spinta in tal senso, coi loro immensi cataloghi, sempre più variegati e cosmopoliti, molto più di quanto non fosse l’offerta televisiva al tempo dei cosiddetti boomer. Sono le piattaforme che hanno contribuito a plasmare un nuovo gusto degli spettatori più giovani e, insieme ai social, ne hanno aperto lo sguardo sul resto del mondo.

E quel nuovo gusto adesso è senza frontiere. La riprova si ha in ambito musicale, dove, dopo la pandemia, gli ascoltatori hanno iniziato a consumare musica più intimista, canzoni strutturalmente insolite, generi mai usciti prima dai propri confini. Una hit adesso può suonare anche country o folk, roba impensabile fino a qualche mese fa. E anche lì, le barriere sono definitivamente cadute, permettendo alla Corea, alla Nigeria e a tutta l’America latina di farsi strada nelle nostre playlist, così come adesso si accoglie con meno riserve un film tedesco o giapponese.

Questioni di reperibilità

Infine, c’è ancora una terza ragione. Se un film deve attrarre il pubblico e convincerlo a dargli una chance, quel pubblico, poi, deve a sua volta poterci arrivare. Ricordo bene quando, neanche troppi anni fa, certi titoli candidati agli Oscar erano irreperibili, proiettati al massimo in una sola sala cittadina in un orario difficile. Oggi, invece, quei film si accaparrano pure trecento schermi contemporaneamente: e questa, signori miei, è una bella novità. L’offerta non è più circoscritta solo ad alcuni mesi dell’anno, ma ci si è accorti che le stagioni sono effettivamente quattro. I film in concorso ai festival escono a pochi giorni dal debutto, senza dover aspettare un’infinità di settimane, che li faccia finire nell’oblio.

È come se l’intera filiera fosse d’un tratto diventata più consapevole, e avesse deciso di investire anche in un certo cinema, quello che non molto tempo fa si pensava non facesse guadagnare un soldo. La terza ragione, in realtà, potrebbe anche essere riassunta così: forse, bisognava solo crederci.

Andrea Vitale

Andrea Vitale

Napoletano di nascita, correva l'anno 1990. Studia discipline umanistiche e poi inizia a lavorare nel cinema. Nel frattempo scrive, scrive, scrive sempre. Ama la musica e la nobile arte delle serie tv, ma il cinema è la sua prima passione. Qualunque cosa verrà in futuro, non abbandonerà la penna. Meglio se ci sia anche un film di mezzo.

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