Il rito del caffè – Samuele Colombo

Ogni mattino inizia con il caffè fumante, che sgorga dalla caffettiera. Ogni lista di cose da portare in viaggio inizia dalla caffettiera, la stessa da dieci anni, e dal caffè, almeno una confezione. Il vero oro nero. E quella macchina alchemica capace di trasformare l’acqua, trasparente, in scura essenza del risveglio. Requisito indispensabile affinché la parola giorno possa permettersi il prefisso positivo.
Le componenti metalliche, ormai opache, sono tutte posizionate per l’assemblaggio, in prossimità anche le materie prime. Solitamente è la sorgente d’acqua, la tiranna, a imporre la localizzazione. Difficilmente sarà possibile farlo seduti sul bordo del letto.
La moka rappresenta uno ottimo caso di biomimetica rispetto al vulcano, se non fosse per l’aggiunta di barriere contenitive di quell’eruzione di energia liquida. Si inizia dalla caldaia. Una sezione trasversale cava di un poligono regolare, solitamente una piramide ottagonale, chiusa sulla base maggiore e filettata in corrispondenza degli ultimi centimetri verso l’assente base minore. Da qui è riempita d’acqua. Né troppa, né poca. La valvola di sicurezza è il segnale di pericolo isolato, di cui la caldaia è accessoriata su un lato, ad un’altezza di circa quattro quinti. Così viene insegnato, con la solennità del Sole seduto al centro del Sistema Solare. La caldaia è la camera magmatica, l’acqua il magma e la valvola di sicurezza la fumarola. L’esperimento di scienze è a buon punto.
Riempita d’acqua, la caldaia può essere riposta su una superficie stabile e la presa può essere lasciata. Una piccola pausa, per non mettere troppa fretta ai neuroni stanchi, consente poi di chiudere la caldaia con un imbuto filtrante a base cilindrica, contenuto interamente dalla caldaia, con la sezione di raggio minore rivolta verso il basso.
Un disco sottile con superficie piana bucherellata lascerà passare l’acqua, ma non il caffè, perché proprio al di sopra di questa superficie deve essere riposto il caffè. Macinato, in precedenza, possibilmente con una grana fine e uniforme. Fine, ma non troppo, altrimenti potrebbe ostruire il passaggio dell’acqua. La chimica e la fantasia si sono separate, dopo Mendeleev. Come la confezione è maneggiata, l’aroma si espande. Una sensazione simile all’entrare sotto il piumone in una notte invernale. Il caffè macinato è adagiato sul disco metallico, con l’ausilio di qualche strumento di raccolta di piccola taglia. Un cucchiaino è ideale.
Deve essere raso, con superficie uniforme, livellato all’altezza della caldaia. Non pressato, però, mai pressato. Occorre, poi, verificare che il bordo, condiviso tra imbuto e caldaia, sia libero da qualsiasi granello di caffè. Come il pittore guarda il quadro prima dell’ultima pennellata, si poggia un dito sul bordo e, con una rotazione completa e decisa, è possibile rimuovere il caffè.
Infine, un raccoglitore sigilla la caldaia. Anch’esso è cavo, con forma corrispondente alla caldaia, tuttavia di un altro colore: meticcia. In corrispondenza della base minore, il raccoglitore è filettato, per potersi avvitare alla parte inferiore. Nell’avvitamento il cigolio di qualche granello di troppo ha l’effetto del dosso preso con troppa, non eccessiva, velocità. La base maggiore è invece chiusa in maniera non permanente, con un coperchio fissato solo su un lato, per aprirlo alla necessità. Questo sì che è un cigolio. Proprio dove è fissato il coperchio era posizionata una maniglia, ormai sciolta, svanita.
Il raccoglitore, nella parte interna, è caratterizzato da un camino centrale che ricorda, sia per forma sia per funzione, quello del vulcano. Rispetto alla potenziale tragedia connessa al vulcano, qui risiede la gioia del pozzo petrolifero.
La chiusura tra caldaia e raccoglitore deve essere ermetica. Per questo, si passa al risveglio muscolare: con tutte le forze accessibili, si avvitano i due corpi metallici. Una sicura eredità della mascolinità tossica, che, come tutto il resto ovviamente, non funziona. Occorre dunque riporre la moca, ormai assemblata, sui fornelli. Sono piastre a induzione con le quali non va d’accordo. Servirà una pentola con due dita d’acqua come caldaia esterna in cui poggiare la moca. La manopola della piastra viene ruotata verso un equilibrio instabile. Durerà qualche minuto, il tempo di vestirmi.
Stretta quanto vuoi, qualche goccia di vapore durante l’ebollizione si insinuerà in quelle microscopiche fessure lasciate dal dosso e uscirà sotto forma liquida, per poi ri-evaporare in un istante, emettendo il suono di una zanzara, allontanata bruscamente da un riflesso incondizionato. L’ansia è simile: l’esito potrebbe volgere al peggio.
L’odore pervade l’appartamento. Suoni gutturali indicano il bisogno di un panno per rimuoverla dal calore e versare il prezioso nella mia tazza. Terzo punto della mia lista di cose da portare in viaggio. La manopola della piastra torna al suo equilibrio stabile.
Non resta che berlo. Ecco il prefisso: Buongiorno!


Samuele Colombo è un curioso, affascinato dalle decisioni, tanto da farne il suo mestiere, oscillando tra esistenzialismo e leggerezza.


L’illustrazione è di Avitha Panazzi.

Serena Nadal

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Serena Nadal

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