Questione di coordinazione – Camilla Loglisci

La nonna armeggia in cucina mentre me ne sto seduta con le gambe incrociate sulla sedia, il gomito destro sul tavolo, il mento affossato nel palmo della mano e l’unghia del mignolo tra i denti che si chiudono e riaprono senza sosta. Quando ero piccola facevo fatica a masticare, ma avevo imparato in fretta la tecnica di mangiarmi le unghie. Era solo questione di ritmo e coordinazione: arcata inferiore che si alza, dente superiore che scivola sull’unghia tonda e incontra il dente inferiore ancorato tra unghia e polpastrello, dente contro dente, pausa, arcata inferiore che si abbassa appena, pausa, ripeti da capo.
Sono le 16:45 e, come ogni pomeriggio, ha inizio il rituale. La nonna apre l’anta sinistra del pensile sopra al lavello e ne estrae il pentolino del tè, lo riempie d’acqua e lo mette sul fornello; con le dita esili spinge in basso la manopola e la gira di 45 gradi a sinistra. Poi apre l’anta destra, prende due tazzine di porcellana con i piattini abbinati e dispone tutto sulla tovaglia che ricopre il grande tavolo in noce su cui è ancora appoggiato il mio gomito destro.
«Smetti di mangiarti le unghie e vieni a darmi una mano.»
Sposto il libro di biologia dal tavolo e finisco di apparecchiare. Recupero da un cassetto due cucchiaini, da un altro due tovaglioli di cotone bianco, e li metto di fianco alle tazzine; prima i tovaglioli, piegati a formare due rettangoli in verticale, poi i cucchiaini, ciascuno ordinatamente sdraiato sui rettangoli. La zuccheriera – di porcellana, con fiorellini rosa che corrono lungo il bordo, al di sotto di una sottile riga dorata – è già sulla tavola. Dalla dispensa prendo il barattolo dei biscotti al burro fatti in casa, dal frigorifero la bottiglia di latte fresco alta qualità 100% italiano.
Non appena l’acqua arriva a bollore, la nonna gira la manopola di 45 gradi a destra e prende la scatola di latta di Earl Grey flavored black tea 100% inglese; raccoglie due misurini di miscela e li rovescia nell’infusore, che chiude e mette in ammollo nell’acqua. Dopo cinque minuti toglie l’infusore e mi passa le presine: da qualche tempo questo passaggio tocca a me, così non me ne sto con le mani in mano, dice.
Avvolgo con la presina il manico del pentolino e lo stringo forte per non farlo cadere; mi avvicino al tavolo e lentamente verso il liquido ambrato: prima la tazza della nonna, che riempio a metà, poi la mia, fino all’orlo. Riporto il pentolino sul fornello spento e mi siedo vicino alla nonna, che si è già messa in postazione.
Prende il cucchiaino e lo affonda nella zuccheriera, per poi tirarlo fuori ricolmo e rovesciarlo dentro al suo tè. Ripete quest’operazione due volte, spargendo granelli di zucchero sulla tovaglia, e mescola per una ventina di secondi. Solo allora prende la bottiglia del latte e ne versa un dito e mezzo – movimenti lenti, le rughe della fronte aggrottate, la punta della lingua schiacciata tra i denti –, poi rimescola per un’altra ventina di secondi.
«Quando studiavo in Inghilterra prendevamo il tè tutti i giorni alle cinque in punto» mi dice guardandomi con quei suoi occhietti scuri, nascosti dalla palpebra cadente macchiata dal mascara che impregna le sue ciglia cortissime.
È una storia che le piaceva ricordare a ogni Natale. Ora me la racconta tutti i giorni, alle cinque in punto.
Le sue dita con le unghie laccate di rosso afferrano instabili il manico della tazzina, il contenuto ondeggia mentre l’avvicina piano alla bocca; soffia alcune volte, vi appoggia le labbra e inizia a bere, emettendo un risucchio rumoroso; poi fa schioccare le labbra, la lingua che guizza leggermente a ogni schiocco. E riappoggia la tazzina sul piattino, il bordo macchiato di rossetto.
I capelli vaporosi le ricadono sulle spalle, con l’attaccatura che parte tre dita sopra l’estremità della fronte. Le labbra sottili ricoperte di rossetto color malva. La pelle bruciata dal sole ispessita da uno strato di fondotinta un po’ troppo arancione – la vedo, la mattina, applicare il fondotinta col pennello, la pelle raggrinzita che si distende e si richiude, accartocciandosi con la lentezza di una molla lesa.
I miei occhi raggiungono il libro che ho abbandonato sulla credenza; domani ho la verifica di biologia.
Ho ripreso a mangiarmi l’unghia del mignolo destro. Il rumore dei miei denti accompagna il risucchio della nonna.
«Smetti di mangiarti le unghie, ho detto. Non sei più una bambina.»
Guardo in silenzio i grumi del fondotinta in mezzo alle rughe, il rossetto sbavato, i granelli di zucchero quasi invisibili sulla tovaglia bianca.
La mia mano scorre verso sinistra, i miei denti si spostano dall’unghia del mignolo a quella dell’anulare.


Camilla Loglisci è nata nel 1994 sotto il segno della Vergine, è solita incolpare l’astrologia per il suo pessimo carattere. Ama i profumi – dei libri, della neve, della legna che brucia –, le passeggiate in solitaria e i gatti. Ogni tanto scribacchia; più di frequente, bisticcia con le parole e con sé stessa.


L’illustrazione è di Fabiana Taglione.

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